Ecco come fare buoni dati aperti
La spinta e l’interesse sui dati aperti in Italia è ancora vivo, nonostante siano oggi altri temi a fare i titoli delle notizie sul digitale. C’è stato, sicuramente, un cambio di marcia, ma le iniziative di interesse sono molteplici e da valorizzare
29 Luglio 2016
Salvatore Marras, FormezPA, responsabile ufficio per l'Innovazione digitale
La spinta e l’interesse sui dati aperti in Italia è ancora vivo, nonostante siano oggi altri temi a fare i titoli delle notizie sul digitale. C’è stato, sicuramente, un cambio di marcia rispetto a quattro anni fa, quando parlare di open data era in cima agli interessi di chi lavorava per innovare la pubblica amministrazione.
Per riflettere su questo cambiamento è utile partire dal documento sulle strategie digitali dove open e big data sono considerati una piattaforma abilitante. Abilitante significa che in assenza di essa non dovrebbe essere possibile attivare altre azioni. Quindi da una fase iniziale nella quale prevaleva l’iniziativa di alcune amministrazioni più innovative stiamo passando a una fase nella quale tutta la PA è tenuta a rendere pubblico il proprio patrimonio informativo. I dati aperti italiani devono passare dal caos creativo iniziale all’ordine e all’omogeneità che deve avere ogni servizio pubblico
In realtà questo passaggio deve ancora fare della strada! E servono azioni di accompagnamento che rendano questa strada ampia e praticabile. Innanzitutto, l’aver superato la fase pionieristica, non rende meno necessario e urgente investire nella diffusione della cultura dei dati aperti tra tutti i dipendenti pubblici. Forse una buona parte di loro ha colto il senso di questa parola chiave, ma per superare le diffidenze e resistenze all’apertura dei dati è necessario che siano ben chiari i vantaggi che l’open data porta ai cittadini, alle imprese e alla stessa PA.
Per fare buoni dati aperti si deve lavorare sui processi che li generano. Pochi dati pubblici nascono per essere liberi. La maggior parte sono dati funzionali alle procedure interne, poco integrati e aggiornati, poco documentati, spesso incompleti e con errori. Il grosso lavoro di apertura dei dati si fa dietro le quinte dei cataloghi on line, attivando collegamenti tra diverse banche dati e, a volte, tra diverse amministrazioni, verificando le fonti e la coerenza, definendo i concetti e i metadati.
Per fare questo oltre a una cultura diffusa servono competenze specialistiche che, senza arrivare al data scientist, devono essere messe a disposizione di programmatori, analisti e amministratori dei sistemi informativi pubblici per supportare le amministrazioni nel processo di apertura.
Molto, inoltre, si può fare per migliorare la qualità dei dati. In particolare si dovrebbe dare priorità a due aspetti: standardizzare la struttura dei dataset, di ambiti tematici simili, prodotti da diverse amministrazioni e identificare panieri di dataset strategici per settore e livello amministrativo.
Un esempio, non nuovo, riguarda i dati sul sistema di trasporto pubblico, la cui utilità penso non richieda spiegazioni! Linee, fermate e orari di bus, treni, autolinee e altri mezzi sono gestite da un numero elevato di operatori pubblici e privati. Le amministrazioni che gestiscono le concessioni potrebbero obbligare la comunicazione in tempo reale di questi dati in un formato omogeneo (non mancano gli standard in questo campo) e dialogare tra di loro per consolidarle in un unico database aperto. Il risultato potrebbero essere app che forniscono percorsi che ottimizzano l’intermodalità, sistemi di analisi che confrontano l’offerta di trasposti con la domanda, mappe on line (streetmap, google), che riportano i punti di accesso e gli orari dei servizi e altro che potete immaginare.
Pensate anche ai dati prodotti da sensori che rilevano energia, idrologia, illuminazione, precipitazioni, pressione, qualità dell’aria, sole, temperatura, umidità, vento. Se venissero raccolti a livello comunale e regionale nello stesso standard e consolidati in tempo reale sarebbero dati di base, sull’internet delle cose, veramente grandi.
Prima o poi accadrà! Ma perché sia prima, che poi, servono progetti che spingano e accompagnino i diversi soggetti che producono e trattano questi dati a lavorare insieme nell’interesse comune.
AgID sta, con il supporto di Formez PA, preparando il terreno con l’individuazione e la definizione di panieri di dati omogenei e con l’adozione del profilo DCAT-AP IT. Una spinta alla PA centrale, regionale e locale perché ciascuno pubblichi i propri cataloghi secondo regole comuni, facendo leva sugli standard europei.
Particolarmente interessante è anche l’iniziativa avviata, a supporto del Dipartimento della Funzione Pubblica che coordina il comitato di pilotaggio del PON Governance, di definizione di un paniere di dataset rilevanti a livello regionale. In modo collaborativo, tutte le regioni sono invitate a indicare quali dataset sono più rilevanti, per poi verificare come renderli omogenei e interoperabili.
Un’altra iniziativa che sta prendendo forma è il collegamento tra il catalogo dei dati aperti (dati.gov.it) e il catalogo di tutte le basi dati della PA (basidati.agid.gov.it). Immaginate che gli open data siano un tipo particolare di dataset, quello con una licenza open e un formato elaborabile disponibile in rete, e che nello stesso catalogo sia possibile vedere quello che una certa amministrazione detiene e non ha ancora pubblicato. I cittadini armati di CAD e FOIA possono procedere alla loro liberazione…
Un’altra leva, che potrebbe agire all’interno dell’amministrazione, è la figura del responsabile della transizione digitale, prevista dal nuovo CAD. Una figura che, rispondendo al vertice politico, è sintesi tra la capacità manageriale e la capacità di innovare, tra la capacità di gestire le persone e riorganizzare i processi e la capacità di gestire le tecnologie. Il responsabile della transizione digitale dovrebbe essere anche il responsabile dell’apertura di dati. Apertura dei dati che non è la pubblicazione di un dataset o di un catalogo, ma il governo del processo di generazione del singolo dato pensando al suo riuso, pensando all’obiettivo di dare conto di cosa fa e come opera la pubblica amministrazione.