Open Data davvero per tutti: ecco i consigli pratici per avvicinare i cittadini

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La diffusione dei dati pubblici, ma soprattutto il loro utilizzo è ormai comunemente riconosciuto come fondamentale per migliorare la qualità della vita dei cittadini. Eppure, nel nostro paese, l’accesso e la condivisione dei dati pubblici resta ancora una un argomento per esperti

24 Luglio 2019

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Domenico Pennone

Capo ufficio stampa Città Metropolitana di Napoli

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La diffusione dei dati pubblici, ma soprattutto il loro utilizzo è ormai comunemente riconosciuto come fondamentale per migliorare la qualità della vita dei cittadini. I dati ci aiutano a comprendere meglio la realtà in cui operiamo, informano correttamente sulla vita amministrativa e politica e quando è necessario, consentono anche di scoprire errori ed irregolarità. In Italia esiste un quadro normativo abbastanza avanzato sul tema dei dati pubblici e buoni risultati quantitativi si sono ottenuti in termini di pubblicazione sui portali di tutte le Regioni.

Eppure, nel nostro paese, l’accesso e la condivisione dei dati pubblici resta ancora una un argomento per esperti. Certo, tocca soprattutto a tecnici e aziende utilizzare i dati per renderli accessibili e utilizzabili, ma i dati possono essere anche un mezzo diretto di comunicazione con i cittadini? Sia la legislazione Europea, che quella nazionale, non pongono limiti a un tale utilizzo, anzi, una lettura corretta delle norme ci porta senza ombra di dubbio a rispondere di sì. L’Unione Europea definisce in modo chiaro l’implementazione generalizzata di dati aperti nelle sue direttive: “Qualsiasi condizione applicabile per il riutilizzo dei documenti deve essere non discriminatoria, consentendo a tutti di utilizzare le informazioni per scopi commerciali o non commerciali”.

Per la legislazione nazionale le condizioni di trasparenza, non discriminatorie e non restrittive per l’uso dei dati significa: dati accessibili a tutti e non solo per chi detiene conoscenze tecnologiche. “Un atto, che non sia corredato da un supporto comunicativo, può essere considerato nullo”. Questo sosteneva, più o meno, negli anni 90, una sentenza della Cassazione che smentiva per sempre l’assunto mai scritto “della legge che non ammette ignoranza”.

La legislazione italiana prevede, inoltre, l’obbligo di aggiungere, alla pubblicazione degli atti, un quantum di comunicazione. In particolare, la legge 150/2000 sancisce il principio che non basta affiggere all’albo pretorio un provvedimento per renderlo efficace. La PA, secondo quel principio, ha l’obbligo di corredare la pubblicazione dei suoi provvedimenti con azioni di comunicazione a supporto, come la pubblicazione di comunicati stampa o la costituzione di uffici di relazioni con il pubblico. Insomma, la PA ha l’obbligo di stabilire il dialogo diretto con i cittadini, informandolo in maniera esaustiva e chiara su quanto produce. Quel principio, che oggi appare piuttosto datato, è comunque ribadito e rafforzato sia dalle recenti norme in materia di trasparenza e accessibilità che dallo stesso Codice dell’Amministrazione Digitale. Codice che tiene ovviamente conto della rivoluzione tecnologica che ha a trasformato in questi anni la comunicazione della PA.

Il principio di obbligo comunicativo sancito 20 anni orsono, probabilmente andrebbe in qualche modo ripreso ed esteso anche per la pubblicazione degli Open Data.

Semplificando, potremmo sostenere che i dati pubblici, senza un buon supporto di comunicazione, non servono o servono a pochi. Ma la PA non lavora, o non dovrebbe lavorare, per pochi.

Gli esperti, dotati di competenze tecniche, oggi hanno la piena libertà di accesso dei dati pubblici, li possono utilizzare, riutilizzare, mixare e ridistribuire senza ostacoli burocratici. Ma il cittadino medio è messo realmente in grado di accedere direttamente a queste fonti senza intermediazione? Purtroppo, a mio modo di vedere, questo ancora non è possibile.

I portali dei dati sono oggettivamente in gran parte predisposti per tecnici, sono poco accattivanti e non hanno, tranne rare eccezioni, alcun supporto di comunicatori esperti. Una diffusione diretta e generalizzata dei dati, che non si limiti a curare solo gli aspetti tecnologici e che si aggiunga a quella che già può venire dall’utilizzo che ne possono fare le aziende, rappresenterebbe invece, una modalità di governance più corretta e democratica degli Open Data.  Affinché i dati siano però effettivamente utilizzabili come strumento di comunicazione diretta con i cittadini, anche senza intermediazione di aziende esterne, impone un ripensamento sulle modalità stesse con cui la PA oggi li condivide.

Innanzitutto, non basta o non è sufficiente che i dati siano forniti in formato aperto. Occorre che i dati siano corredati, come abbiamo accennato, da un lavoro di accompagnamento comunicativo, che li renda, per così dire, interessanti.Le autorità pubbliche dovrebbero invitare e sollecitare tutti cittadini ad accedere ai set di dati in loro possesso, avviando un’opera di restyling dei portali e campagne di comunicazione.

Si potrebbe partire dallo stabilire da alcuni principi guida che potrebbero così essere riassunti:

  1. Le modalità di condivisione dei dati dovrebbero essere sempre accessibili e comprensibili a tutti, non solo agli esperti; 
  2. La diffusione dei dati dovrebbe puntare a coinvolgere tutti i cittadini e sollecitare sempre un feedback;
  3. Non pretendere di stabilire a priori cosa è interessante e utile per i cittadini o per le aziende;
  4. Pubblicare sempre informazioni aggiuntive e non solo dati anche se in formato aperto e leggibile;
  5. Creare, sviluppare e valutare strategie di comunicazione sui dati che puntino a coinvolgere la massima gamma di utenti;
  6. Non pensare che pubblicare qualcosa sia meglio di non pubblicare niente.

In questi anni, la politica degli Open Data, ha consentito la condivisione, la trasparenza ed anche la crescita per aziende e territorio. Ha soprattutto impedito di tenere nascoste all’interno reti di computer o da qualche parte sugli scaffali degli uffici pubblici, l’enorme patrimonio che i dati rappresentano. Ma Open Data deve significare, condivisione vera, democratica e generalizzata. Ai tecnici e alle aziende, l’opportunità di riutilizzarli al meglio, anche per scopi commerciali.

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