cheFare: la cultura che reinventa il territorio

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In che modo supportare progetti culturali e sociali? L’associazione Doppiozero ci sta provando con cheFare, una piattaforma che premia l’impatto sociale segnalando e raccontando i progetti culturali ad alto grado di innovazione, ma soprattutto uno strumento di dibattito sul tema cultura e sviluppo del territorio. Come sta andando la seconda edizione? Ve lo raccontiamo in una serie di appuntamenti a partire da questo.

30 Gennaio 2014

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Francesca Battistoni

In che modo supportare progetti culturali e sociali? L’associazione Doppiozero ci sta provando con cheFare, una piattaforma che premia l’impatto sociale segnalando e raccontando i progetti culturali ad alto grado di innovazione, ma soprattutto uno strumento di dibattito sul tema cultura e sviluppo del territorio. Come sta andando la seconda edizione? Ve lo raccontiamo in una serie di appuntamenti a partire da questo.

Gli ultimi anni, a causa della forte crisi del settore pubblico e della mancanza di risorse economiche, hanno visto il fiorire di bandi e progetti che utilizzano premi in denaro o in servizi per far emergere risposte efficaci alle sfide poste dalla società.  Parliamo per esempio della European Social Innovation Competition, del bando Culturability o del Sodalitas Challenge [senza dimenticare le sfide proposte da FORUM PA] .

La proliferazione di questi strumenti è una risposta al mondo che cambia: la sharing economy si diffonde e dà vita a nuove forme di relazione e di innovazione sociale; cambiano i cittadini che si auto-organizzano per trovare risposte economiche sulla base di un nuovo mutualismo che tenga conto del bene comune; cambiano gli spazi che da luoghi degenerati diventano occasioni dove progettare nuove relazioni e contaminazioni, combinare risorse e dare vita ad un nuovo welfare.

Sono questi i mondi che i 40 progetti selezionati dal bando cheFare interpretano alla perfezione.

Bertram Niessen, project manager del bando ci racconta: “Abbiamo preso il modello dell’anno scorso che era molto sperimentale e lo abbiamo messo a regime in una struttura più organizzata, sia dal punto di vista interno che rispetto ai 40 progetti selezionati, con cui abbiamo costruito in dettaglio un percorso che ci ha permesso di avere proposte di alta qualità e a cui abbiamo dato una mano ad ottimizzare gli strumenti attraverso cui raccontarsi”.

cheFare nasce da una piccola associazione, Doppiozero, un gruppo di autori, editori, studiosi, critici e non solo, che ha a cuore le sorti della cultura in Italia. Non si tratta di una grande fondazione d’impresa o di una storica istituzione, ma di un gruppo di persone che grazie ad una raccolta fondi da filantropi riesce a mettere in piedi con grande libertà uno strumento per costruire un dibattito attorno ai temi dell’economia collaborativa, dell’innovazione sociale, della rigenerazione urbana facendo da ponte tra mondi che tendenzialmente non si parlano tra di loro. “Che fare vuole mettere in relazione il mondo della cooperazione e del terzo settore, il mondo delle start up, del digitale e quello delle imprese culturali; mondi che forse vivono un po’ arroccati sulle loro posizioni” ci racconta Niessen.

Dei 40 progetti selezionati esiste una tipizzazione che non è stata progettuale, ma che interpreta sicuramente le 4, 5 tendenze più importanti nel mondo culturale e sociale di oggi: troviamo start up tecnologiche come mUseX, una piattaforma di design partecipato che mette in relazione i musei e le istituzioni culturali aperte al pubblico con i visitatori.

Troviamo gli spazi del CO (coworking, shared spaces, fablabs) come Terra Piatta, unHub di ricerca e produzione artistica, sociale e culturale in uno spazio abbandonato della borgata di Capitanata a Foggia, ma anche progetti che cercano di far emergere spazi della cultura in modo nuovo come il Kinodromo aBologna, che affianca all’esercente della sala cinematografica Europa, un’associazione culturale per creare una programmazione congiunta, al fine di rinnovare la fruizione dello “spazio cinema”.

Quello che colpisce di sicuro quest’anno è la quantità di progetti che hanno come obiettivo la rigenerazione urbana e lo sviluppo del territorio con la convinzione che bisogna attivare le comunità locali, fonti di energie latenti, per far rivivere contesti e luoghi abbandonati. Stiamo parlando ad esempio di Farm Cultural Park, la riqualificazione di uno spazio attraverso un processo di arte partecipata che si concentra in tutte le sue fasi di realizzazione sul diretto coinvolgimento di chi vive la città di Favara (Sicilia), o di Central Market Giambellino, che fa del Mercato Comunale del Giambellino (Milano) il luogo dove mettere in atto un processo concreto di rigenerazione della periferia, facendo leva su cultura e creatività come chiavi di volta.

Il bando così diventa modo per attirare l’attenzione su un problema, quello della generazione e della sostenibilità di progetti culturali nel nostro paese e dare visibilità a chi ha le competenze per agire nei territori.

Volevamo scombinare le carte rispetto al panorama dei bandi più istituzionali, perché in ambito culturale la situazione fuori dalle istituzioni è da anni omologata dalle azioni di associazioni culturali con bassissimo giro di introito e tanto lavoro volontario. Questo ha spesso un effetto perverso, (autosfruttamento, gestioni poco trasparenti delle piccole economie) quando sono proprio questi attori a costruire il tessuto culturale del paese” ci dice Marco Liberatore, responsabile della comunicazione.

Il valore aggiunto di questa iniziativa sta anche nella rete che si crea tra i progetti selezionati, ossia nello scambio orizzontale di esperienze che permette di creare un bagaglio di relazioni utili per affrontare il futuro dei progetti insieme. È la dimensione collettiva che permette di migliorare i singoli progetti, di accedere ai bandi insieme, di riprogettare in base a ciò che si apprende gli uni dagli altri.

Cosa bolle in pentola ora?

La costituzione di un tavolo congiunto per parlare con altre istituzioni che si occupano di bandi come questi e lo studio di metodi, strumenti e dispositivi sociali per prendersi cura anche delle proposte non passate, relazionarsi con chi è stato escluso e sprigionare la potenzialità delle progettualità sociali che emerge dalle tantissime proposte che hanno aderito al bando.

Siamo pronti a seguire e monitorare questo processo. Nella prossima puntata.

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