L’albero e la foresta, la casalinga e la rete
È possibile dare a smart city una struttura logica di riferimento, un’armatura concettuale fondata su una vision condivisa della città smart da parte di amministratori, aziende, professionisti, cittadini? Un’armatura dotata di un impianto che collochi ogni buona pratica, ogni prodotto, ogni sperimentazione nel giusto posto e non induca a confondere i sostantivi con gli aggettivi, ciò che è strutturale con ciò che è secondario? Mario Spada ci propone una riflessione in nove punti, per contribuire alla formazione di una struttura concettuale che consenta a tutti di partecipare alla costruzione di una smart city.
9 Settembre 2013
Mario Spada*
È possibile dare a smart city una struttura logica di riferimento, un’armatura concettuale fondata su una vision condivisa della città smart da parte di amministratori, aziende, professionisti, cittadini? Un’armatura dotata di un impianto che collochi ogni buona pratica, ogni prodotto, ogni sperimentazione nel giusto posto e non induca a confondere i sostantivi con gli aggettivi, ciò che è strutturale con ciò che è secondario? Mario Spada ci propone una riflessione in nove punti, per contribuire alla formazione di una struttura concettuale che consenta a tutti di partecipare alla costruzione di una smart city.
Ogni giorno vediamo un nuovo prodotto commerciale pubblicizzato come “smart” a conferma dell’efficacia semantica del termine. Nello specifico delle smart city si sta accumulando una gran quantità di materiale, tra studi, ricerche, prodotti materiali e immateriali delle aziende. In tanta sovrabbondanza di smart c’è il rischio che ciascuno, sulla base delle sue competenze professionali o predilezioni culturali, veda l’albero (o addirittura solo il “suo” albero) e non veda la foresta. O, se vede la foresta, non veda la città. Gli urbanisti hanno quasi del tutto perso il primato culturale e disciplinare sul tema della città, i saperi urbani che concorrono all’analisi e al progetto sono molteplici. Ma a volte sembra che si dimentichi che ci si riferisce ad un fenomeno circoscritto e particolare: la città. È possibile dare a smart city una struttura logica di riferimento, un’armatura concettuale fondata su una vision condivisa della città smart da parte di amministratori, aziende, professionisti, cittadini? Un’armatura dotata di un impianto che collochi ogni buona pratica, ogni prodotto, ogni sperimentazione nel giusto posto e non induca a confondere i sostantivi con gli aggettivi, ciò che è strutturale con ciò che è secondario?
1. La vision
Una prima comune acquisizione, che sembra scontata ma non lo è, è quella di puntare sulle aree urbane. Il XXVIII congresso nazionale dell’INU (Istituto Nazionale Urbanistica) che si svolgerà a Salerno in ottobre, dopo SCE, è stato lanciato da un position paper che titola ”Città come motore di sviluppo del paese”. Se il concetto fosse scontato, il titolo non avrebbe senso. Lo sprawl si è esteso su tutto il territorio nazionale ma storicamente è nelle città che si sviluppa innovazione per via della molteplicità degli scambi possibili. Ad esse è affidato il compito di costituirsi come nodi di una rete in grado di riammagliare tessuti incoerenti sparsi sul territorio. Temi come l’efficienza amministrativa (snellimento procedure, lavorare per obiettivi, informatizzazione), la sostenibilità ambientale (smaltimento rifiuti, mobilità, paesaggio), l’inclusione sociale (casa, lavoro, partecipazione civica) comportano una progettazione di area vasta, o metropolitana, che si incardina sui centri principali. È quindi indispensabile avere una vision, una visione strategica unitaria che va dal quartiere all’area vasta. Senza una vision è difficile mettere al giusto posto le tessere del puzzle chiamato “smart city”.
2. La carta di Lipsia
Una vision strategica che può essere patrimonio comune di tutti coloro che si occupano di smart city è la carta di Lipsia, documento programmatico approvato nel 2007 dai ministri delle aree urbane e inclusione sociale della UE. È un documento importante dell’Unione europea che, sia detto per inciso, si invoca per le erogazioni che concede ma raramente per gli indirizzi programmatici. La carta dovrebbe essere conosciuta, metabolizzata e usata come riferimento da chiunque si occupi di smart city. È un’efficace sintesi su come affrontare i problemi delle città in termini strategici. Dà il giusto rilievo allo sviluppo digitale:
….Le città devono contribuire ad assicurare e accrescere la qualità di vita dei loro residenti e la loro rifrattività per le imprese attraverso l’utilizzo di sofisticate tecnologie di informazione e comunicazione nei campi dell’istruzione, impiego, servizi, salute, sicurezza, e nei mezzi per migliorare la governance urbana.
Raccomanda: politiche integrate, coordinamento di progetti settoriali, efficace rapporto pubblico-privato, partecipazione dei cittadini:
……Noi raccomandiamo che le città europee attuino programmi di sviluppo urbano integrato per la città nella sua totalità. Questi strumenti di pianificazione orientati all’attuazione dovrebbero:
• individuare i punti di forza e di debolezza delle città e dei quartieri basandosi su un’analisi della situazione attuale
• coordinare le politiche e i progetti settoriali e tecnici dei diversi quartieri e assicurare che gli investimenti programmati aiuteranno a promuovere uno sviluppo equilibrato dell’area urbana,
• coordinare e far convergere nei diversi spazi urbani l’uso di fondi da attori del settore pubblico e privato.
• essere coordinati a livello locale, e di città-regione, e coinvolgere i cittadini e gli altri partner che possono contribuire sostanzialmente a determinare la futura qualità economica, sociale, culturale ed ambientale di ogni area.
3. Strategie condivise
La carta di Lipsia è il condensato di idee, strategie, azioni che sono state al centro di sperimentazioni degli ultimi 20 anni in Europa riguardanti l’inclusione sociale,la partecipazione, l’ambiente, la pianificazione strategica integrata e condivisa: A21, Urban, contratti di quartiere, piani strategici. Dimenticare o trascurare queste esperienze, nei risultati positivi e in quelli negativi, sarebbe un errore. Tutti dovrebbero conoscerle,almeno nelle linee generali.
Il filo conduttore che lega tutte queste esperienze è la condivisone delle scelte con gli stakeholders. Qualunque amministrazione che non voglia solo introdurre un po’ di informatica per snellire procedure ma intenda realizzare una strategia smart non può limitarsi ad alcune pratiche partecipative, dovrà realizzare strutture di condivisione con gli stakeholders.
“Genova smart city” è da questo punto di vista un’esperienza interessante con il limite che ha coinvolto stakeholders forti (più stockholders che stakeholders) e non quelli economicamente deboli (cittadini, associazioni di quartiere ecc.). Ma è quella che ha cercato di affrontare il tema con una vision strategica condivisa. È possibile un’analisi critica di questa esperienza? E fare un repertorio di esperienze degli ultimi 20 anni di: A21, Urban, Contratti di quartiere, Piani strategici, bilanci partecipati?
4. Quale intelligenza
Ogni innovazione intelligente che si voglia introdurre in qualunque campo deve avere un piano di applicazione. Il piano può essere top-down, di tipo razional-comprensivo o bottom up di tipo interattivo. La città è un sistema complesso, si evolve secondo leggi non lineari, è instabile e fluttuante, è un flusso di eventi dinamicamente interagenti tra loro. Città sostenibili come Masdar negli Emirati Arabi sono, come tutte le città di fondazione, state costruite top-down secondo un criterio razional-comprensivo non applicabile alle città esistenti che hanno logiche di funzionamento complesse e dinamiche e devono per forza adottare criteri bottom up.
Le città intelligenti di fondazione hanno una ottima A.I. (Artificial Intelligence) ma hanno caratteristiche autistiche, non comunicano con il resto del territorio, sono “gated community” che hanno estromesso (artificialmente) tanti aspetti della vita urbana tra i quali il conflitto, che nelle comunità umane è un fattore complesso di lacerazione in prima istanza, di progresso in ultima analisi. È assodato che il conflitto tra operai ed impresa sull’organizzazione del lavoro è stato un fattore di sviluppo: il 90% delle innovazioni “intelligenti” introdotte nei sistemi produttivi sono state “inventate” dagli operai semplicemente per faticare di meno. Grande intuizione della Toyota (ancor prima di esperti come Ohno e Ishikawa) è stata quella di fare di questa opportunità un sistema: la “qualità totale”, alimentata dall’intelligenza di tutti a tutti i livelli. Non a caso l’operaio è chiamato “piccolo genio”, che diventa anche slogan pubblicitario dell’azienda che predilige dare di sé un’idea di “intelligenza” nominando un modello di automobile I.Q. (Intelligent Quotient). È pur sempre un modello aziendale, quindi di democrazia autoritaria, ma che ha ragionato sull’intelligenza del prodotto e del processo.
Riportando il ragionamento sulla città andrebbe indagato su quanti piani intelligenti e articolati razional-comprensivi hanno fallito e invece quante “invenzioni” spontanee hanno avuto successo (pensiamo ad es. quanto macchinosi piani di emergenza sono meno efficaci di una rete spontanea di telefonia mobile). Per essere intelligente la città deve funzionare come il cervello, una rete di neuroni collegati da sinapsi ,in grado di modificarsi di continuo in base alle circostanze che mutano. Affinché una città sia intelligente è necessario costruire una rete efficiente di interazioni tra tutti gli attori.
5. Rapporto pubblico-privato
Davide Dattoli, 22 anni, fondatore di TAG (Talent garden), affitta locali attrezzati a giovani smanettoni, hacker, designer, architetti, creativi in genere. The HUB e altre esperienze di coworking indicano il fermento delle nuove generazioni. Il concorso promosso dalla Biennale dello spazio pubblico ( spazio pubblico-network-innovazione sociale) ha mostrato una notevole creatività così come la call promossa da SCE. In che misura SCE, fiera dei saperi digitali orientati alla intelligenza urbana, intercetta e offre spazi alle innovazioni che provengono dal libero pensiero del mondo digitale? L’esperienza di TAG, Hub e simili dimostra che c’è una domanda forte: esperti, innovatori, designer, hacker che cercano spazi di condivisione,coworking ecc. In che misura le Istituzioni e la Pubblica Amministrazione favoriscono un rapporto virtuoso tra pubblico e privato e offrono spazi pubblici che consentano la proliferazione di buone pratiche?
6. Spazi fisici di relazione
Le reti digitali non annullano l’esigenza sociale e culturale di avere a disposizione spazi fisici pubblici. Più in generale l’esperienza di TAG e Hub dimostra che senza incontro fisico il mondo digitale si vaporizza, non si implementa. Non va mai dimenticata l’importanza degli spazi fisici di relazione, di luoghi di incontro liberi che possono essere anche di proprietà privata ma che debbono avere le caratteristiche di libertà, accessibilità, non esclusione propri dello spazio pubblico.
La qualità degli spazi pubblici, dei paesaggi urbani fatti dall’uomo e dello sviluppo architettonico e urbano ha un ruolo importante nel determinare le condizioni di vita delle popolazioni urbane. Come fattore di localizzazione, la qualità dello spazio urbano è importante per attrarre gli investimenti industriali ad alto contenuto di know how, risorse umane qualificate e creative, e per incrementare il turismo. Inoltre si deve accrescere l’interazione tra architettura, pianificazione infrastrutturale e urbanistica se si vogliono creare spazi attrattivi e orientati verso i fruitori e se si vuole raggiungere un alto standard in termini di ambiente in cui si vive, una “Baukultur”. La Baukultur va intesa nel significato più ampio della parola, come la somma di tutti gli aspetti culturali, economici, tecnologici, sociali ed ecologici che influenzano la qualità e il processo di pianificazione e costruzione.
(Carta di Lipsia, cit.)
7. Sostenibilità ed intelligenza
Emerge tra le righe di tutti coloro che si occupano di smart city che un tema ineludibile è quello della sostenibilità. Ma forse va dichiarato in modo esplicito che una città sostenibile è intelligente. E quindi perché non mettere in rilievo nella carrellata di buone pratiche le esperienze di quartieri sostenibili come Hammerby a Stoccolma, Solar City a Linz, Millenium village a Londra, Vauban a Friburgo? Sono quartieri di fondazione (ex novo) quindi in alcuni casi possono avere anch’essi il limite autistico del quartiere modello, una “gated community” che non comunica con il resto della città. Ma in alcuni casi, come a Vauban ad es, il quartiere è stato realizzato con un lento meditato processo partecipativo/inclusivo, facendo partecipi tutti gli abitanti delle innovazioni tecnologiche e conferendo loro il ruolo di protagonisti (“piccoli geni”).
8. Le forze endogene e il quartiere
La crisi economica, strutturale e non congiunturale, obbliga a rivedere i parametri di sviluppo produttivo e dei servizi al cittadino e richiede il concorso di risorse economiche umane e professionali per prospettare uno sviluppo sostenibile che deve far leva in primo luogo sulle forze endogene. In questa prospettiva il quartiere assume una rilevanza particolare, è un riferimento territoriale socialmente riconoscibile, con un’economia locale che, per quanto limitata, non è abbastanza esplorata sul piano della domanda ed offerta. Sarebbe opportuna una analisi critica dell’esperienza dei laboratori di quartiere e dei contratti di quartiere: forum locali, progetti condivisi di rigenerazione urbana, analisi di domanda e offerta locale, start up per imprese giovanili ecc..
A titolo di esempio alcune esperienze di laboratori e contratti di quartiere realizzate tra il 1996 e il 2007 sono in: http://stage.spaziopubblico.it/wiki/Piazza_telematica_garbatella
http://stage.spaziopubblico.it/wiki/USPEL
Le misure per salvaguardare la stabilizzazione economica dei quartieri degradati devono anche sfruttare le forze economicheendogene ai quartieri stessi. In questo contesto, mercato del lavoro e politiche economiche su misura per le esigenze dei singoli quartieri saranno gli strumenti appropriati. L’obiettivo è quello di creare e assicurare posti di lavoro e di agevolare la nascita di nuove imprese. In particolare, le opportunità di accesso ai mercati del lavoro locale devono essere migliorate attraverso l’offerta di formazione rivolta alla domanda. Devono anche essere accresciute le opportunità di impiego e di formazione dell’economia etnica.
(Carta di Lipsia, cit.)
9. Scuola e formazione
Non sarebbe il caso di fornire un quadro sufficientemente informato del livello di interazione tra mondo della scuola a tutti i livelli e città ? Quanta intelligenza viene trasmessa dai nuclei “intelligenti”? Quali, quante e come alcune scuole primarie e secondarie sono aperte al quartiere (scuole aperte), formano all’uso della rete coloro che sono di norma esclusi (anziani, immigrati, casalinghe)? Quali, quante e come alcune università ed enti di ricerca dialogano con la città tutta e trasferiscono Know how ad imprese, amministrazioni locali e cittadini?
Le città sono luoghi in cui si crea e si diffonde tanta conoscenza. Il completo sfruttamento del potenziale di conoscenza di una città dipende dalla qualità del sistema prescolastico e scolastico e dalle opportunità di mobilità fornite all’interno dei sistemi educativo e di formazione, così come dalle reti sociali e culturali. Le opportunità di apprendimento permanente, l’eccellenza delle università e degli istituti di ricerca non universitari e dalle reti industria-imprese-comunità scientifica.
(Carta di Lipsia, cit.)
Nove punti di riflessione per contribuire alla formazione di una struttura concettuale che consenta a tutti di partecipare alla costruzione di una smart city. Perché un bravo insegnante che in un quartiere di periferia fa, con i propri alunni, cose intelligenti che si diffondono sul territorio deve sentirsi anche lui un protagonista smart alla stregua dell’esperto digitale che introduce un’innovazione tecnica. E potrà partecipare con pieno diritto ad una edizione di Smart City Exibition.
Parafrasando una celebre frase possiamo concludere che ”la città è smart quando la casalinga sarà protagonista della rete”.
*Mario Spada, un breve profilo