L’Angelo e la PA: articolo 118 o chiamata al 113?
Il paradigma del civic engagement, che sviluppa il principio costituzionale di sussidiarietà, è entrato con forza negli ultimi anni nel dibattito pubblico, soprattutto in riferimento ai contesti locali. Il caso dell’Angelo Mai di Roma, un laboratorio di innovazione culturale sequestrato della Magistratura in netto contrasto con le valutazioni di merito dell’Amministrazione Capitolina, evidenzia il paradosso di un Paese che sembra incapace di mettere a frutto le proprie energie migliori.
29 Aprile 2014
Andrea Mochi Sismondi*
Il paradigma del civic engagement, che sviluppa il principio costituzionale di sussidiarietà, è entrato con forza negli ultimi anni nel dibattito pubblico, soprattutto in riferimento ai contesti locali. Il caso dell’Angelo Mai di Roma, un laboratorio di innovazione culturale sequestrato della Magistratura in netto contrasto con le valutazioni di merito dell’Amministrazione Capitolina, evidenzia il paradosso di un Paese che sembra incapace di mettere a frutto le proprie energie migliori.
“Stato, Regioni, Province, Città Metropolitane e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio della sussidiarietà”: l’articolo 118 della Costituzione lo citiamo e lo sentiamo citare da più di un decennio. Sappiamo poi che il principio di sussidiarietà, inteso in senso orizzontale, prevede che “il cittadino, sia come singolo sia attraverso i corpi intermedi, deve avere la possibilità di cooperare con le istituzioni nel definire gli interventi che incidano sulle realtà sociali a lui più vicine.”[1]
Alla luce del principio costituzionale abbiamo visto nascere molte iniziative a livello locale e centrale[2], mentre più ardua è sembrata la sfida di concretizzare l’indicazione a livello di singole norme applicative, anche per le diverse interpretazioni che ne ha dato la giurisprudenza. Un’importante novità ha rappresentato il percorso condotto da Labsus/Laboratorio per la Sussidiarietà insieme al Comune di Bologna per la stesura del Le occupazioni abitative a cui si fa riferimento sono quelle dell’ex Scuola Elementare Amerigo Vespucci a Centocelle e dell’ex Istituto Tecnico Hertz dell’Anagnina: esperienze che si contraddistinguono per la logica dell’autocostruzione, della responsabilizzazione individuale e soprattutto per l’innovazione nei modelli di frazionamento architettonico a favore dell’integrazione culturale, della costruzione comunitaria e della difesa della dignità della persona. Iniziative certamente illegali, ma che hanno saputo rispondere a situazioni di emergenza recuperando luoghi in stato di abbandono: sì è messa a disposizione una risorsa al momento non utilizzata per la soddisfazione di un bisogno immediato. Parliamo di fenomeni con cui crediamo l’Amministrazione Pubblica abbia il dovere di mettersi in dialogo per l’individuazione di percorsi di riconoscimento e – certamente – regolamentazione, ma che non possono essere risolti come questioni di ordine pubblico. Riguardo alle somme di denaro a cui si riferisce l’inchiesta, si tratta dell’autotassazione per l’acquisto dei materiali necessari alle attività murarie e di costruzione degli impianti: certamente anche qui ci si deve porre il problema della regolarità, ma l’accusa di estorsione appare eccessiva (aspettiamo il processo perché emergano le dinamiche reali) e rappresenta forse un’occasione persa per l’approfondimento di un modello virtuoso del tutto peculiare all’interno del controverso mondo delle occupazioni abitative romane.
Dalla questione delle irregolarità amministrative parte la riflessione suscitata dalle vicende all’Angelo Mai, un laboratorio culturale d’eccellenza, riconosciuto come tale non solo dai moltissimi artisti che si sono mobilitati in suo sostegno, ma dalla stessa amministrazione comunale[3]. Un centro culturale completamente costruito grazie al lavoro degli attivisti, che dopo aver ricevuto un rudere in convenzione nel 2006, grazie all’autofinanziamento del bar e degli spettacoli hanno bonificato l’ambiente dall’Eternit e realizzato un palco mobile, una sala polifunzionale, un sistema di condizionamento, una platea e un’impiantistica nuova completamente a norma.
L’Angelo Mai è tornato forzatamente in stato di occupazione nell’ottobre del 2012, quando invece di attivare un percorso di regolarizzazione per la concessione delle licenze necessarie alla somministrazione di cibi e bevande che, in mancanza di alcun sostegno pubblico, potesse legittimare il meccanismo di autofinanziamento, la Giunta di allora non prese alcun impegno e l’iniziativa fu lasciata alla Polizia Municipale che intervenne con multe salatissime e la minaccia dei sigilli.
Il sequestro preventivo per “esercizio recettivo abusivo” del 19 marzo arriva nel momento in cui nel nostro Paese si chiede ai soggetti produttori di arte e cultura di “imparare a mangiare con esse”, di immaginare modelli che alla creazione artistica sappiano affiancare la sostenibilità economica dei progetti. Ci sembra che quella dell’Angelo Mai sia una situazione da legittimare attraverso un percorso condiviso di regolarizzazione dell’attività capace di mantenere il valore della programmazione proposta. E invece no: lo spazio è stato chiuso senza che l’amministrazione comunale sia stata neanche avvertita dell’operazione. Si è gestito il fenomeno attraverso un’imponente azione repressiva intesa come semplice soppressione dell’irregolarità.
L’accaduto rappresenta non solo una sfida per gli attivisti dell’Angelo Mai e per l’amministrazione della Capitale, che si trova (o forse è stata messa ad arte?) tra due fuochi, ma pone tutti noi – amministratori e cittadini attivi – di fronte alla necessità di interpretare la relazione tra legalità e illegalità a livello sostanziale e non solo formale. Una necessità che, nel rispetto della separazione dei poteri dello Stato, deve portare a progettare l’ignoto perché – come ci ha ricordato Charles Landry nella prima edizione di Smart City Exhibition – compito di una città intelligente è quello “rendere visibile l’invisibile per utilizzare l’ambiente fisico come stimolo di cambiamento dei pattern comportamentali”.
Bisogna che la politica riacquisti il coraggio di esprimere una visione del mondo andando ad analizzare i singoli casi ed elaborando – in collaborazione con i cittadini coinvolti – percorsi capaci di valutare le esperienze di autorganizzazione e autogestione in termini di costi e benefici per le comunità di riferimento. Una valutazione di impatto a valle della quale rivendicare la legittimità di atti discrezionali (perché è compito della politica proporre gli indirizzi), assolutamente trasparenti e valutabili, dei quali il decisore si assume le responsabilità e dei quali rende conto di fronte ai cittadini.
*Direttore Operativo Smart City Exhibition
[1] Riprendiamo qui la sintesi definitoria proposta da Cittadinanzattiva
[2] Si vedano a tale proposito le numerose best practice raccolte – a partire dal 2006 – sul sito di Labsus
[3] Si vedano a tale proposito le dichiarazioni del Sindaco Ignazio Marino e dell’Assessore alla Cultura Flavia Barca