Per progettare una città a misura d’uomo occorre saper ascoltare

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La progettazione partecipata di abitazioni, spazi e servizi è un grande esercizio di cittadinanza, in cui entrano in relazione persone, competenze e professioni. Una piccola rivoluzione, in cui alle idee dei cittadini si attribuisce legittimazione, importanza e interesse. Richiede tempo e ascolto, doti che in una comunità intelligente non possono mancare per guardare ad uno sviluppo urbano sostenibile. Nell’Emilia Romagna c’è chi già ci sta lavorando e la mia casa la decido io.

10 Marzo 2014

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Eleonora Bove

La progettazione partecipata di abitazioni, spazi e servizi è un grande esercizio di cittadinanza, in cui entrano in relazione persone, competenze e professioni. Una piccola rivoluzione, in cui alle idee dei cittadini si attribuisce legittimazione, importanza e interesse. Richiede tempo e ascolto, doti che in una comunità intelligente non possono mancare per guardare ad uno sviluppo urbano sostenibile. Nell’Emilia Romagna c’è chi già ci sta lavorando e la mia casa la decido io.

Le idee e i pensieri hanno il potere di mettere in relazione le persone, di appassionarle a progetti e invogliarle alla partecipazione. Era vero prima, lo è ancor più oggi grazie alle nuove tecnologie digitali, ma non sempre queste sono la discriminante per la nascita di un’esperienza che può apparirci dirompente. Ci sono buone pratiche che nascono dal basso e non hanno bisogno di un tablet o uno smartphone per alimentarsi e svilupparsi. Tuttavia non abbiamo difficoltà a definirle smart.

Termini come co housing e progettazione partecipata, ad esempio, hanno conquistato un posto d’onore all’interno degli ambiti che compongono il paradigma smart city, eppure non bisogna essere digital per prendere parte ai processi partecipativi che sottointendono queste iniziative. Queste sono prima di tutto uno snodo di relazioni: relazioni interpersonali, relazioni tra i diversi ambiti professionali e relazioni tra le competenze coinvolte. A mantenere la rotta una visione comune di progetto. Questa è nella fattispecie la progettazione partecipata: un grande esercizio di cittadinanza. Coinvolgendo attivamente tutti i portatori di interesse (impiegati, partner, clienti, cittadini, utenti finali) nel processo di progettazione urbana, queste esperienze non fanno altro che creare relazioni, connessioni potremmo dire, al fine garantire che il prodotto risponda ai bisogni dell’utente che ne usufruisce.

“L’architettura è in profonda crisi; la rivoluzione che può avvenire nei prossimi anni sarà prodotta dalla partecipazione delle persone e dalla capacità di ascolto dei progettisti. Ascolto soprattutto delle fasce più deboli, che non sono mai state ascoltate: nella nostra esperienza le giovani coppie, i bambini o gli anziani. Fare ciò che chiedevano è stata la vera rivoluzione” così ci risponde l’architetto Luciano Pantaleoni, della cooperativa di abitanti ANDRIA, fautrice di diversi interessanti progetti di coprogettazione in Emilia Romagna, dove ha sede la cooperativa, alla nostra domanda se la partecipazione potesse davvero produrre un forte cambiamento in architettura.

Pataleoni è talmente convinto di quel che dice che la cooperativa fondata nel 1975, agli inizi degli anni’90 ha cambiato nome: da cooperativa edilizia di abitazione a cooperativa di abitanti. Il nuovo nome rispecchiava ciò che stava davvero cambiando: i contenuti. Al centro non più le case, ma le persone. “Abbiamo comunque cercato di andare oltre il modello della partecipazione spontanea – continua Pantaleoni – che troppo spesso è stato caratterizzato da molto entusiasmo e da idee innovative affiancate da cocenti delusioni, per un modello di partecipazione organizzata in cui siano ben chiari iprocessi decisionali, gli obiettivi strategici e la quantità e qualità dei risultati”.In questo modello una forte rilevanza è dato all’elemento “imprevisto”, le idee di cui parlavamo prima: spesso alcune soluzioni non sono mai stati adottate perché il pensiero del progettista non le aveva colte come opportunità, non le aveva rilevate come esigenze.

Da qui nasce il progetto più famoso della cooperativa, vincitore nel 2001 del premio Peggy Guggenheim per la sua “capacità di interpretazione poetica del quotidiano”: Coriandoline, un quartiere a misura di bambino realizzato a Correggio. Un lavoro complesso durato 13 anni e che ha coinvolto 12 scuole, 700 bambini, 50 maestre, 2 pedagogiste e un gruppo di circa 20 professionisti tra architetti, progettisti, geometri e artigiani. Il cammino è iniziato nel 1995, ma i lavori sono iniziati solo dopo un lungo processo di ascolto e ricerca, i cui risultati sono stati pubblicati nel ’99 in un Manifesto delle esigenze abitative dei bambini, nel 2003 per concludersi nel 2008.

Coriandoline è un quartiere in cui le esigenze dei bambini si sono sposate con quelle degli adulti. Non sono case giocattolo o ludoteche, ma case coloratissime, grazie all’opera del maestro d’arte Emanuele Luzzati, in un quartiere vivibile con spazi comuni in cui riunirsi. “Il nodo di tutto – continua Pataleoni – è un ascolto vero. I bambini chiedevano una casa trasparente, una casa magica, una casa in cui poter giocare. Occorreva capire cosa c’era dietro quelle parole. Perché trasparente? ‘Per vedere fuori il cambio delle stagioni’. Spiegata in questi termini acquista tutto un altro significato… Bisogna avere il tempo di ascoltare per progettare a misura d’uomo (o di bambino)”.

Da non trascurare è il valore aggiunto che tali attività apportano al territorio in termini di occupazione e servizi. Sempre la cooperativa ANDRIA, in alcuni dei suoi interventi più grandi, ha inserito delle scuole dell’infanzia che permettono di estendere il servizio anche attraverso gestioni innovative. Le strutture si presentano molto flessibili, possono essere adibite a scuole materne o asili nido, secondo le esigenze delle amministrazioni. Ad oggi sono 8 le scuole che la cooperativa gestisce con l’amministrazioni comunali e 120 le nuove maestre assunte per le nuove strutture, che vengono gestite da una seconda cooperativa nata proprio per assicurare i massimi livelli di qualità nella gestione.

Nei paesi del terzo mondo, come ci ricorda l’architetto Pantaleoni, l’autocostruzione viene spesso proposta perché permette una forte riduzione dei costi. In Italia certo è diverso, ma perché non declinare questo modello alla realtà in cui viviamo? L’idea che si ha dell’architetto non è quella di un professionista al servizio della comunità, ma di un’artista, forse è ora di cambiare perché: “La rivoluzione è fare ciò che le persone chiedono”.

 

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