TAV in Val di Susa: comunque vada abbiamo perso. Tutti
Avevo programmato di dedicare questo editoriale all’interessante relazione annuale del Garante dei Dati personali, lavoro di grande peso e impatto, anche futuro, sulle politiche di innovazione, ma irrompe nella cronaca l’azione di polizia in Val di Susa e non posso evitare di condividere con voi il profondo senso di fallimento che quelle immagini mi hanno suscitato. Parleremo della relazione di Franco Pizzetti la settimana prossima.
28 Giugno 2011
Carlo Mochi Sismondi
Avevo programmato di dedicare questo editoriale all’interessante relazione annuale del Garante dei Dati personali, lavoro di grande peso e impatto, anche futuro, sulle politiche di innovazione, ma irrompe nella cronaca l’azione di polizia in Val di Susa e non posso evitare di condividere con voi il profondo senso di fallimento che quelle immagini mi hanno suscitato. Parleremo della relazione di Franco Pizzetti la settimana prossima.
Non è possibile qui elencare le ragioni per il sì alla Torino-Lione né quelle per il no. Chi è interessato le conosce già, chi vuol farsene una prima idea può leggere:
- per il “No TAV” i documenti riportati nel sito spintadalbass.org già in home page
- per il “Sì TAV” la lettera del Commissario di Governo per la Torino-Lione, Mario Virano, che trovate qui
Per quel che mi riguarda, dopo aver letto le carte, trovo l’opera necessaria e coerente se accettiamo il modello di sviluppo che ha accompagnato la crescita, tumultuosa eppur contraddittoria, delle civiltà occidentali negli ultimi decenni. Io non credo che sia l’unico modello che abbiamo davanti, né il migliore da perseguire per i decenni prossimi, e quindi se si votasse sulla TAV voterei no, ma questo sarebbe un discorso che ci porta lontano e soprattutto ci distoglie dal tema che, come osservatore partecipe dell’azione pubblica, mi angoscia: come si è potuto arrivare a pensare di forzare il consenso delle popolazioni locali con la forza? Come si è potuto gestire così male la relazione da dare spazio allo scontro, in cui, per principio, le argomentazioni, la ragione, le visioni del mondo non contano più e i deboli, da entrambe le parti, soccombono insieme ai ragionevoli?
Partiamo dai fondamentali: è, a mio parere, indubitabilmente vero che le comunità locali stanno agendo su cose che non sono totalmente a loro disposizione, che non possiamo far dipendere le politiche di governo su grande temi nazionali come energia, trasporto, cultura, protezione ambientale dalle decisioni delle popolazioni – che ne direste se la popolazione di una valle incontaminata decidesse di insediarci una enorme colata di cemento turistico-residenziale? -, che un governo ha il dovere di portare avanti le scelte su cui è stato eletto e la Torino-Lione era nel programma di questo Governo (come per altro del precedente). In una parola che la Val di Susa, come qualsiasi altra area geografica, non è solo di chi ci abita e che lo slogan “Padroni a casa nostra” è stupido ed eversivo in Piemonte quanto a Pontida o nei sobborghi di Napoli.
Altrettanto è senza dubbio vero che opere di enorme impatto su un ecosistema fortemente antropizzato come la Val di Susa non si possono fare senza il consenso della popolazione. Non è proprio materialmente possibile farle senza che siano condivise da chi ci dovrà convivere. E’ matematico: fallirà qualsiasi progetto, così come fallirebbe un imprenditore che volesse ristrutturare una fabbrica “contro” gli operai o un riformatore che volesse riformare la PA “contro” i dipendenti pubblici. Non si può vivere continuamente sotto la pressione ostile della popolazione.
E allora che si fa? siamo condannati all’immobilismo? No davvero: allora si lavora sin da subito, prima ancora di annunciare mirabolanti e impossibili decisionismi, all’informazione, all’ascolto, alla negoziazione.
E qui casca l’asino: sono andato con pazienza a ricercare tutti i pregressi, ma di puntuale, oggettiva, “neutrale” informazione non ne ho vista che pochissima, di negoziazione poi neanche l’ombra se non in situazioni in cui si cercava di chiudere precipitosamente la stalla dopo che erano scappati i buoi.
Ho visto piuttosto indecisione sia della politica (in forma abbastanza trasversale rispetto agli schieramenti), sia delle strutture amministrative. Ho visto il contrario di quel “Governo con la rete” su cui da tempo stiamo studiando e lavorando.
Per capire quello di cui sto parlando vi consiglio, se non lo avete già fatto, di leggere l’agile saggio di Mauro Bonaretti, che è la trascrizione della lectio magistralis che ha svolto a FORUM PA 2011. Uno dei primi punti che tratta è fondamentale in questo discorso, lui parla delle città, ma, mutatis mutandis, il discorso calza anche per la gestione di una valle. Ve lo riporto come chiusa di questo editoriale sconfortato.
(…)le città pensano alle persone come “plurali”: portatori di bisogni diversi e coesistenti. Una donna è oggi contemporaneamente madre, lavoratrice, preoccupata per la formazione e la salute dei propri figli, impegnata per l’accudimento dei genitori, appassionata di letteratura. E tra qualche anno le sue esigenze e quelle dei suoi figli saranno altre ancora. È una, ma plurale e come lei ci sono tante persone diverse da lei, e ognuno chiede di essere riconosciuto nella sua unicità e nella sua pluralità.
Per non ripetere fallimenti troppo spesso conosciuti, occorre allora una visione sistemica capace di comprendere le connessioni e le dinamiche esistenti tra le diverse politiche pubbliche.
Nel lungo periodo, ad esempio, alti tassi di sviluppo economico non sono sostenibili sotto numerosi aspetti se collegati ad alti tassi di disuguaglianza, così come sostenibile non è lo sviluppo economico a scapito dei beni e delle risorse comuni. Consumare il territorio e il paesaggio può sì generare ricchezza immediata, ma il territorio e il paesaggio sono risorse finite e non sono rigenerabili nel tempo. Così come non lo è la salute delle persone. La prima linea direttrice è dunque il passaggio dall’attribuire valore alle singole performances settoriali (le eccellenze) al dare valore alla performance complessiva di una città: l’equilibrio del sistema. In altre parole, occorre passare dalla ricerca dei singoli primati settoriali al valore del benessere complessivo per una comunità di cittadini.
(…)
Competenze, responsabilità e relazioni con la comunità sono le caratteristiche che disegnano la nuova cittadinanza. Questo capitale sociale così importante perché crescita intelligente, sostenibile e inclusiva non siano solo mete irraggiungibili non è dato in natura. Richiede il coraggio di tornare a investire sui valori e sulle persone. Si tratta di ricondurre la politica all’assunzione della propria responsabilità nell’indicare il futuro, uscendo dalla gabbia chiusa del consenso fine a stesso. Questa quinta direttrice pone al centro il valore del senso civico e della fiducia tra cittadini e tra i cittadini e le istituzioni, valorizzando e favorendo le forme di protagonismo dal basso e di cittadinanza attiva.
Istituzioni forti sono solo dove esistono comunità forti.
In queste città alla retorica del cittadino-cliente, distante e interessato solo alla propria utilità individuale, viene preferita la figura del cives protagonista responsabile della vita della propria comunità. Al contempo è necessario far evolvere sul piano delle qualità il capitale sociale per adeguarlo al nuovo contesto di riferimento, che richiede non solo abilità di azione, ma anche capacità di pensiero e nuove competenze relazionali a maggiore apertura culturale.