Accountability e open data: i 7 punti di contatto
L’apertura dei dati ambientali in un ente locale migliora i processi organizzativi e ampia le modalità di partecipazione dei cittadini, ma i processi di open data e i relativi impatti in termini di innovazione sociale, necessitano di sistemi di rendicontazione e nuove metriche, sia dal punto di vista delle politiche sociali che ambientali. Questa reciprocità genera alcuni effetti concreti e alquanto pragmatici.
15 Aprile 2013
*Alessandra Vaccari
L’apertura dei dati ambientali in un ente locale migliora i processi organizzativi e ampia le modalità di partecipazione dei cittadini, ma i processi di open data e i relativi impatti in termini di innovazione sociale, necessitano di sistemi di rendicontazione e nuove metriche, sia dal punto di vista delle politiche sociali che ambientali. Questa reciprocità genera alcuni effetti concreti e alquanto pragmatici.
I processi di accountability (in particolare ambientale) introdotti in Italia all’inizio degli anni ’90 si ponevano l’obiettivo di aumentare la fiducia tra cittadini e pubblica amministrazione locale, di fronte ad un mutato contesto economico e normativo e alla conseguente necessità di innovazione dei sistemi di governance ambientale. Nel 2003 oltre 50 Enti locali iniziarono a produrre annualmente un bilancio ambientale (con il metodo Clear) discusso e approvato nelle giunte, commissioni e consigli comunali, sottoponendo un set di indicatori di esito, metrica condivisa del risultato dell’azione pubblica sul territorio
Alcuni giorni fa questo gruppo di Comuni e Province ha tenuto il seminario “Open data e accountability ambientale”, organizzato da Coordinamento Agende 21, Comune di Reggio Emilia e Indica, in collaborazione con Arpa e Regione Emilia Romagna.
Massimo Fustini e Dimitri Tartari della Regione Emilia Romagna hanno presentato l’Agenda digitale e i suoi 5 assi, dalla lotta al digital divide all’intelligenza diffusa.
Miche D’Alena ci ha spiegato come con la democratizzazione dell’uso delle tecnologie della comunicazione ogni giorno si genera un patrimonio di dati che ci permette di ripensare la governance.
Vincenzo Patruno (ISTAT) ha spiegato come sia possibile riprodurre, distribuire, trasmettere e adattare liberamente, anche a scopi commerciali, a condizione che venga citata la fonte (creative commons attribution licence) e come questo rappresenti una grande opportunità di espressione della cultura collettiva. Molto interessante, nell’intervento di Patrono, il riferimento agli Indicatori BES messi a punto da ISTAT e CNEL, che rappresentano il set di esiti rispetto ai quali tutte le politiche pubbliche locali possono misurarsi e rispetto ai quali costruire robusti sistemi di accountabillity sociale e ambientale.
Anche l’Agenzia regionale Arpa, che ha la funzione di garantire il diritto all’accesso alle informazioni ambientale, ha contribuito con la descrizione della complessa e solida architettura dell’informazione ambientale necessaria per fornire dati e servizi ai cittadini e alle istituzioni.
Elisabetta Tola e Ernesto Belisario hanno invece trattato il tema dal punto di vista dell’informazione (data journalism), della sicurezza e del diritto, mentre Raffaella Gueze del Comune di Bologna ha raccontato come ha aperto i dati del suo Bilancio Ambientale e come questa operazione abbia prodotto effetti positivi soprattutto nelle procedure di raccolta dati. Io naturalmente, ho parlato di Accountability.
Dal seminario sono emersi 7 aspetti che PRAGMATICAMENTE collegano Open Data e Accountability. Eccoli:
1. La costruzione del “senso” e la giusta metrica
I processi di accountability nascono per rendicontare gli esiti rispetto agli impegni assunti. L’accountability ambientale negli ultimi 20 anni ha rappresentato un’innovazione dei normali sistemi di rendicontazione che trattavano solo di dati e informazioni economiche, metrica del tutto insufficiente a descrivere l’operato di un ente pubblico. Per fare ciò si sono usati dei modelli che tentavano di ricostruire il senso dell’azione pubblica (nel caso del bilancio ambientale, le azioni sono le politiche e le misure ambientali degli enti) mettendo in fila gli obiettivi, le azioni e i risultati. In questi processi, tuttavia, il coinvolgimento dei cittadini e degli stakeholder, seppur considerato fondamentale, è sempre stato insufficiente. Per rafforzare la capacità dei bilanci ambientali di qualificare i processi democratici molto spesso si è optato per percorsi di democrazia rappresentativa, quindi di discussione e approvazione all’interno delle commissioni e dei consigli comunali. Open data e open government cambiano la prospettiva perché permettono di costruire un sistema di accountability a partire da una diversa aggregazione di informazioni (e da diverse, molteplici e collettive fonti) e non necessariamente attraverso un modello gerarchico della “ricostruzione del senso” (programma di mandato, programma, Peg, Bilancio, Consiglio comunale Commissioni, Giunta, Settori, Forum Agenda 21).
E’ abbastanza evidente come, se si aprono i dati, ci sia un maggiore equilibrio tra democrazia rappresentativa e democrazia partecipativa (non diretta, ma inclusiva), perché cambia l’architettura e soprattutto i cittadini vengono coinvolti e possono portare il loro contributo usando quei dati, commentandoli, fornendoli a loro volta (i cittadini come produttori di contenuti).
Un sistema di accountability, all’interno di un percorso di natura rappresentativa, rimane comunque necessario, perché open data ci dice “cosa” ma non ci dice “perché”. La metrica sulla quale si costruisce il sistema di rendicontazione, pur generandosi in modo collaborativo, necessità di esser rappresentata e sintetizzata in un percorso decisionale di tipo istituzionale.
2. Da accesso ad uso dei dati
L’informazione pubblica è sempre stata accessibile in quando diritto del cittadino ad avere accesso ai dati importanti come la salute, le pratiche burocratiche, i servizi. Open data fa cambiare prospettiva perché il cittadino può accedere ai dati per conoscerli, per usarli, per metterli a disposizione di altri cittadini, per riaggregarli. Open data è trasparenza, ma è anche fornire risorse, dare valore al dato.
I dati ambientali che si possono aprire, a titolo esemplificativo possono essere i CO2 microdata (nonostante siano in Europa oltre 10mila le industrie soggette alla ETS, i dati sono a disposizione solo per aggregati settoriali o per paesi) o tutti i dati del mercato dell’energia, che ha una infinità di dati (costi, tariffe, investimenti in rinnovabili), ma pochissimi sono aperti e a disposizione dei cittadini per capire e decidere (e scegliere). Spesso sono aggregati e diffusi nei bilanci di sostenibilità o nei sistemi tradizionali di accountability ambientale.
3. Da richiesta a prelevamento
Banalmente là dove per accedere ai dati bisognava fare addirittura una richiesta, ora semplicemente ci si collega e si scaricano. Questo aspetto è molto utile nei processi operativi interni all’organizzazione: ad esempio per redigere un bilancio ambientale spesso si passavano ore al telefono per farsi dare le informazioni dopo aver mandato molte mail, con open data tutto ciò in teoria non è più necessario.
4. I dati si usano, ma soprattutto si riusano creativamente e non serve pianificare troppo
I dati hanno un potenziale molto elevato per diversi tipo di uso e spesso sono riusati per scopi anche diversi da quelli originari per cui sono stati rilasciati. Questo aspetto ha una natura tale per cui l’approccio da usare è “liberiamo e vediamo cosa succede”. Un po’ come avviene nel riuso o riciclo dei rifiuti, la creatività non può essere pianificata, ma vanno create le condizioni affinché si possa esprimere.
5. Le nuove competenze e nuove opportunità di lavoro (e conciliazione)
E’ emerso chiaramente dalle discussioni che aprire i dati sia possibile solo se esistono competenze in grado di farlo e che usare i dati significhi avere una capacità di cogliere e dare risposta ai bisogni informativi della città e dei cittadini.
Infine proprio perché fortemente connesso all’innovazione sociale, probabilmente il campo open data possiede alcune caratteristiche che lo rendono più attrattivo per figure professionali che necessitano di flessibilità di tempo lavorativo (genitoriale) e questo è un elemento importantissimo di innovazione sia per la categoria giovani che per quella delle donne anche al rientro lavorativo post maternità.
6. La tecnologia e l’uso dei social network: nuove incoerenze
Indubbio che la componente tecnologica sia fondamentale. Sono emerse sotto questo aspetto anche le contraddizioni: coloro che dovrebbero occuparsi di partecipazione e di trasparenza spesso non possono avere accesso libero ai social network. La PA a volte non riesce ad anticipare i processi di innovazione, rispetto a questo sicuramente le città che hanno avviato percorsi di smart cities innovation e hanno realizzato attività specifiche di capacity building, sono più pronte e manifestano minori incoerenze
7. L’adattamento civico
Infine abbiamo osservato che i prodotti servizi che vengono generati da open data non sono mai compiuti, ma evolvono e si trasformano nel tempo, fornendo via via le risposte alle domande di informazione che emergono, nutrendosi dei contributi generati dalla rete che ne plasma e modifica progressivamente il profilo.
Il modello di processo produttivo dei servizi si modifica: di fatto si può stare in beta permanente e la qualità può aumentare e non diminuire.
La versione beta permanente, se viva, rappresenta una forma di adattamento ai bisogni della comunità, una sorta di “adattamento civico”.
Nel campo ambientale, il governo dei processi attraverso applicazioni e “aggregazioni” di valutazioni collettive può di fatto non coincidere con la policy di mandato o istituzionale (e quindi non è coerente con quel “senso” che i processi di accountability vorrebbero ricostruire). Non sono certa che gli Enti locali siano in grado di governare processi di valutazione collettivi, superando gli organismi di democrazia rappresentativa e le funzioni preposte alla valutazione delle politiche pubbliche. Né se questo rappresenti di per sé un passo avanti per la democrazia.
Sicuramente però Open data e Open government possono essere un potente strumento di avvicinamento dei cittadini alla pubblica amministrazione. Aprire i dati è di per sé un atto di fiducia, è un tendere la mano, un tentativo di avvicinamento, un esempio.
In un precedente articolo ho scritto che la fiducia è pragmatica. Bene dimenticavo di scrivere che la fiducia è anche aperta.
*Alessandra Vaccari è Amministratore Delegato di Indica srl, professore a contratto presso l’università di Ferrara (Sviluppo sostenibile, contabilità ambientale e nuovi strumenti di gestione), membro della commissione del Ministero dell’Economia sulla contabilità ambientale e del gruppo di lavoro CLEAR, esperta di sistemi di accountability per il programma Cantieri, co-fondatrice del gruppo GBS per la statuizione dei principi contabili del bilancio sociale.