Acquisti ICT, perché bisogna lavorare sulla domanda
Il modello proposto nel corso dell’ultimo incontro del tavolo di lavoro dei Cantieri ridiscute i rapporti tra gli attori coinvolti nel processo di procurement, fino a incidere l’attuale impianto di governance della domanda, in direzione di una gestione a più livelli, in un contesto ormai decisamente improntato sui fenomeni di aggregazione della domanda. Si avverte inoltre l’esigenza di valorizzare il dialogo tra gli attori coinvolti nel processo di procurement
28 Luglio 2016
Cristian Campagna
Il dibattito sviluppatosi nella terza riunione del tavolo di lavoro sul Procurement dell’innovazione, nell’ambito dell’iniziativa Cantieri della PA digitale di FPA, consegna la proposta di un nuovo modello di demand management . Motivo di fondo è creare le condizioni per agevolare l’emersione del fabbisogno innovativo da parte delle amministrazioni pubbliche. Due i profili su cui si dipana l’impianto del nuovo modello proposto, l’uno oggettivo, l’altro soggettivo.
Per il primo versante, si evidenzia la necessità che la domanda di innovazione sia formulata in termini di bisogni, in luogo della tradizionale descrizione degli oggetti che – si presume – possano soddisfare i primi. È compito del fornitore, infatti, interpretare le esigenze espresse dalla domanda in termini di funzioni d’uso, corrispondenti al ruolo che la tecnologia può svolgere nel soddisfacimento dei bisogni stessi. Nell’ottica del fornitore di servizi innovativi, è la fase strategico-progettuale del procurement (preparazione della gara) a rappresentare il momento genetico dell’intervento innovativo, essendo la fase operativa (gestione della gara) una commodity. In altri termini, la funzione d’uso diviene il criterio discretivo della domanda di innovazione [1]. Dal lato dell’acquirente pubblico di soluzioni innovative, un ragionamento analogo conduce alla constatazione di come sia auspicabile una demand strategy improntata sulla determinazione degli obiettivi che si vogliono raggiungere e sui livelli di qualità prestazionali che si intendono garantire con l’intervento innovativo. Un metodo può essere rappresentato dalla stipula di pacchetti service level agreement (SLA) con i fornitori.
In ordine al profilo soggettivo il nuovo modello proposto ridiscute i rapporti tra gli attori coinvolti nel processo di procurement, fino a incidere l’attuale impianto di governance della domanda, in direzione di una gestione a più livelli, in un contesto ormai decisamente improntato sui fenomeni di aggregazione della domanda.
Per il primo aspetto si avverte l’esigenza di valorizzare il dialogo tra gli attori coinvolti nel processo di procurement. Quando si compra innovazione occorre garantire, a monte, un confronto più aperto con il mercato, al fine di rispondere all’esigenza di amministrazioni che hanno difficoltà a esprimere i propri bisogni. Pertanto è richiesto un dialogo ben costruito tra committente, fornitore e utilizzatore finale: tenere insieme queste tre dimensioni è un modo per co-progettare l’innovazione. La sfida è contemperare questa esigenza con i principi di trasparenza e integrità, esigenze oggi giustamente preordinate alle altre ma il cui perseguimento non deve inficiare l’efficacia dell’intervento innovativo.
Per l’altro aspetto, la proposta di una nuova governance della domanda viene in rilievo rispetto all’attività di valutazione (ex post) dell’intervento innovativo, e pone la questione del rapporto tra le figure di aggregazione della domanda (centrale di committenza, soggetto aggregatore, stazione appaltante unica) e le amministrazioni beneficiarie dell’acquisto, teorizzando una governance multi livello. Affinché l’intervento sia efficace, è importante che il mercato percepisca la valutazione come credibile. È all’utente-beneficiario dell’intervento innovativo che deve spettare – in concorso con il committente (figura di aggregazione) – il compito di monitorare il fornitore, in quanto è il primo il responsabile del servizio pubblico al cui interno si inserisce il procedimento di acquisto. Escludere l’amministrazione beneficiaria dalla valutazione del fornitore significa deresponsabilizzare chi ha la responsabilità gestionale di un determinato servizio o di una determinata azienda pubblica. La prospettiva alternativa, in cui la valutazione è operata solamente dalla centrale di committenza/soggetto aggregatore, non rende la valutazione credibile e rappresenta una soluzione antieconomica.
Nondimeno emerge, come altrettanto congeniale al perseguimento dell’efficienza della performance innovativa, il tema dell’ accountability delle centrali di committenza e dei soggetti aggregatori . L’esigenza muove dalla constatazione che l’attuale contesto normativo, in cui le amministrazione sono obbligate dalle norme ad affidarsi alle centrali di acquisto, favorisca un regime di captive business per queste ultime. In simili condizioni le centrali di committenza e i soggetti aggregatori sono privi di un incentivo al miglioramento della performance. L’ipotesi di valutazione ex post, da parte delle stazioni appaltanti, dei servizi resi dalle centrali di acquisto, muove in direzione opposta.
[1] Il concetto di funzione d’uso, in questo contesto, corrisponde a una delle tre componenti del noto Abell’s Framework, il modello teorico di business a tre dimensioni, caposaldo della marketing strategico, utilizzato per l’individuazione dell’area strategica d’affari (ASA) di un’impresa. Si veda ABELL, D. F. (1980), Defining the Business: The Starting Point of Strategic Planning.