Agenda digitale e programmazione europea: i conti non tornano

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I soldi si sa sono sempre pochi e gli obiettivi ambiziosi, ma quando si parla di un obiettivo primario, come quello di rimettere il Paese al passo dell’innovazione con il resto del mondo avanzato, non possiamo ripetere i troppi passi falsi fatti in passato. Stiamo parlando dell’accesso all’economia digitale e quindi di una cosa che vale, almeno e subito, un paio di punti di PIL e soprattutto permetterebbe una ripresa dell’occupazione in un settore ad altra professionalità. Ho visto quindi con particolare interesse le preoccupate reazioni di molti operatori che, leggendo il documento base per la programmazione dei fondi europei 2014-2020, hanno rilevato un’attenzione marginale alla cosiddetta Agenda Digitale…e i conti non mi tornano.

16 Gennaio 2014

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Carlo Mochi Sismondi

I soldi si sa sono sempre pochi e gli obiettivi ambiziosi, ma quando si parla di un obiettivo primario, come quello di rimettere il Paese al passo dell’innovazione con il resto del mondo avanzato, non possiamo ripetere i troppi passi falsi fatti in passato. Stiamo parlando dell’accesso all’economia digitale e quindi di una cosa che vale, almeno e subito, un paio di punti di PIL e soprattutto permetterebbe una ripresa dell’occupazione in un settore ad altra professionalità. Ho visto quindi con particolare interesse sia le preoccupate reazioni di molti operatori che, leggendo il documento base per la programmazione dei fondi europei 2014-2020, hanno rilevato un’attenzione marginale alla cosiddetta Agenda Digitale (valga per tutti il commento di Rossella Lehnus della Fondazione Bordoni-MISE), sia l’appello del Direttore dell’Agenzia per l’Italia Digitale, sia infine la replica del Ministro Trigilia… e i conti non mi tornano.

Partiamo dalla politica: lo scorso 21 ottobre, nel meeting organizzato da Confindustria digitale, il capo del Governo ha detto che è prioritario per l’Italia agganciare il treno dell’innovazione digitale e che l’Agenda digitale deve essere intesa come la vera “riforma dello Stato”. L’esecutivo sembra quindi dare priorità uno al tema. Gli fa eco Agostino Ragosa a capo dell’Agenzia per l’Italia Digitale (quella che non ha ancora lo Statuto dopo quasi due anni dall’istituzione) che dice di avere ragionevoli speranze di dirottare dieci miliardi di euro della programmazione europea sull’Agenda Digitale.

Decine di studi, più volte citati anche da noi, confermano che sarebbe un investimento assolutamente conveniente, sia in termini di PIL, sia in termini di occupazione.

Quando andiamo però a vedere come sono allocate le risorse europee scopriamo che per questo obiettivo tematico (il cosiddetto OT2 nel complesso gergo della programmazione) restano le briciole. Basta guardare il grafico per rendercene conto (per un esame più approfondito va letto il documento di partenariato; la sintesi che ne ha fatto il Ministero; il comunicato specifico dell’Ufficio stampa di Trigilia):

Non solo: la digitalizzazione del Paese non è un programma organico (un cosiddetto Piano Operativo Nazionale o PON) come ad esempio, l’istruzione o le città metropolitane o la ricerca, quindi questo obiettivo avrà più difficoltà a vedere un approccio unitario e sistemico, ma rischierà di essere spezzettato in innumerevoli interventi settoriali e locali, perdendo di vista gli obiettivi strategici. Appare poi particolarmente preoccupante la decisione di non assegnare fondi della programmazione al piano di infrastrutturazione del Paese con reti telematiche a banda larga (i 2 mbit/s attualmente disponibili, seppur non dovunque, non sono più un obiettivo attuale in un’Europa che dispone ormai largamente di banda a 10 mb/s), ma di finanziare questo investimento essenziale, che costituisce una precondizione a qualsiasi ragionamento sull’economia digitale, solo con fondi interni. E troppo fresca è la memoria di come andò a finire con gli ottocento milioni di euro che erano stati destinati a questo dall’ultimo Governo Berlusconi (con tanto di assicurazione sia di Paolo Romani sia di Gianni Letta che fossero fondi certi, “messi in cassaforte”).

Infine un’ulteriore e grave elemento di preoccupazione è dato dall’ammissione fatta dallo stesso Ministro per la coesione territoriale nel suo comunicato stampa citato, che praticamente dice che è attualmente impossibile stanziare fondi europei per una seria politica di riduzione del divario digitale in Italia (e ben sappiamo quanto ne avremmo bisogno vista la miserevole posizione che abbiamo in tutte le classifiche sull’uso delle tecnologie che non siano il telefonino) perché non è soddisfatta una “condizionalità ex-ante” fondamentale, ossia quella di avere “una Strategia nazionale e regionale per la crescita digitale volta a stimolare la domanda di servizi di ICT”. Insomma non possiamo stanziare fondi europei perché non c’è ancora “un documento strategico nazionale coerente con quanto richiesto dalla condizionalità ex ante di riferimento”. Il Ministro Trigilia, come abbiamo visto fortemente criticato, rimanda quindi la palla e conclude con un energico invito alla Presidenza del Consiglio, in quanto responsabile della strategia dell’Agenda Digitale a darsi una mossa.

Roba da matti.

Quo usquetandem abutere, Catilina, patientia nostra?

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