Alessio Butti: “Intelligenza artificiale, ecco cosa ci aspetta nei prossimi mesi”

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In una lunga intervista ad Alessio Butti, Sottosegretario di Stato alla presidenza del Consiglio dei Ministri con delega all’Innovazione tecnologica, facciamo il punto sul fronte intelligenza artificiale analizzando in particolare l’impatto dell’AI Act europeo e il coordinamento con il disegno di legge italiano, i temi centrali della Strategia Italiana per l’Intelligenza Artificiale 2024-2026, le peculiarità del DDL italiano e le prossime tappe per l’adozione dell’IA nei settori pubblico e privato

2 Agosto 2024

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Michela Stentella

Direttrice testata www.forumpa.it

Foto di Rina Ciampolillo - https://flic.kr/p/2pSWCwm

La pubblicazione dell’AI Act sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, l’inizio delle audizioni in commissione, presso il Senato, del disegno di legge sull’intelligenza artificiale, la pubblicazione online del documento integrale della “Strategia Italiana per l’Intelligenza Artificiale 2024-2026“. Sono state settimane intense sul tema IA. Per fare il punto su documenti e prossime scadenze abbiamo intervistato Alessio Butti, Sottosegretario di Stato alla presidenza del Consiglio dei Ministri con delega all’Innovazione tecnologica e transizione digitale.

Sottosegretario, partiamo dalla regolamentazione, europea e nazionale, in materia di intelligenza artificiale. La pubblicazione ed entrata in vigore dell’AI Act come impatta, come si inserisce sul percorso del disegno di legge italiano sull’intelligenza artificiale? Ora che è stato pubblicato l’AI ACT sono previsti emendamenti per coordinare e armonizzare le due fonti?

Sono stati, e continueranno a esserlo, mesi e anni intensi sul fronte dell’intelligenza artificiale. Siamo entrati oramai pienamente in quella che molti definiscono “quarta rivoluzione industriale”. Mentre le precedenti rivoluzioni sono state caratterizzate dalla meccanizzazione, elettrificazione e informatizzazione, questa rivoluzione è dominata dall’automazione e, come tutte quelle che l’hanno preceduta, scardina i modelli sociali ed economici, rendendoli improvvisamente inadeguati a gestire le trasformazioni in corso – e dunque obsoleti.

Come le rivoluzioni passate, inoltre, porta immense opportunità di crescita e benessere, ma anche alcuni rischi. Direi che è proprio questo il principale punto di convergenza tra l’AI Act europeo e il disegno di legge governativo sull’intelligenza artificiale.

Ce ne sono altri due. Anzitutto, la lungimiranza. Bruxelles prima, e subito dopo il governo Meloni, hanno compreso l’importanza delle regole, battendo sul tempo paesi che possono contare su un ecosistema industriale ad alto tasso di crescita e innovazione e, su alcuni fronti (tra cui quello dell’intelligenza artificiale) decisamente più performante di quello europeo. Non è una gara, ovviamente. Ma il fatto che oggi l’Unione europea – e presto l’Italia – abbiano il loro perimetro di regole chiare sull’intelligenza artificiale pone un precedente per tutti i Paesi che seguiranno. Questi dovranno scegliere: replicare i modelli già esistenti, legittimandoli; oppure provare a distaccarsene, affrontando tutte le incertezze che comporta una scelta simile; o anche decidere di non regolare fino in fondo in nome della crescita. A mio avviso, c’è la concreta possibilità che accada qualcosa di molto simile a quanto avvenuto in tema di GDPR, con decine di paesi che, dopo qualche esitazione iniziale, hanno seguito il modello europeo.

Il terzo elemento di continuità tra i due atti normativi è nella grande attenzione alla sicurezza, sotto tutti i punti di vista. Dunque, anzitutto, la garanzia che l’utilizzo dei sistemi di intelligenza artificiale rispetti il trattamento lecito, corretto e trasparente dei dati personali, conforme alle normative europee sulla protezione dei dati​. Poi, l’attenzione posta alla sicurezza e alla robustezza dei sistemi di intelligenza artificiale, attraverso misure per assicurare la resilienza contro tentativi di alterazione e garantendo la qualità e l’affidabilità dei dati utilizzati. Infine, le misure sul fronte della sicurezza cyber.

Sempre nei giorni scorsi si è molto parlato della Strategia Italiana per l’Intelligenza Artificiale 2024-2026. In realtà non si tratta di un nuovo documento, visto che la Strategia era già stata redatta ed era stato diffuso ad aprile un executive summary. Ora è stato però reso disponibile a tutti il documento integrale nella logica della trasparenza che deve accompagnare un percorso così importante. In questi mesi che ruolo ha avuto la Strategia, che sviluppi ci sono stati e che orizzonte apre da qui al 2026?

Il documento, redatto da un comitato di esperti guidato dal Prof. Gianluigi Greco, si sta dimostrando un valido supporto al lavoro del governo sul ddl intelligenza artificiale e alle politiche necessarie allo sviluppo di questa tecnologia.

Una buona strategia nazionale è infatti un documento che sostanzialmente fa tre cose: la prima e più importante è definire una visione di lungo periodo. La seconda è prendere atto delle debolezze strutturali del tessuto economico, produttivo e sociale e suggerire le misure adatte a ridurre o eliminare quelle debolezze. Chi legge la strategia italiana troverà elencati con grande chiarezza i nostri punti deboli, ma anche in modo altrettanto chiaro le idee e progettualità che abbiamo pensato per aggredire queste debolezze e trasformarle in punti a nostro favore. Infine, una strategia è uno degli elementi a disposizione del governo per proporre una normazione efficace.

Ciò detto, vorrei evitare di fare la classica “lista della spesa” delle moltissime cose indicate dalla strategia nazionale. Mi limito a indicare tre punti che trovo davvero cruciali. Primo: il potenziamento delle infrastrutture fisiche e digitali per supportare lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, attraverso un registro di dati e modelli per facilitare la condivisione e il riuso delle risorse, favorendo la standardizzazione e accelerando lo sviluppo di soluzioni innovative​. Secondo: il rafforzamento degli investimenti nella ricerca, la promozione di applicazioni di intelligenza artificiale per migliorare i servizi pubblici e privati, e l’implementazione di programmi di formazione per sviluppare competenze avanzate nel settore dell’intelligenza artificiale​. Terzo: il contenimento dei rischi, come il potenziale aumento del digital divide e l’impatto sul mondo del lavoro.

Torniamo al disegno di legge italiano. Volendo riassumere le peculiarità di questo DDL, quali sono i punti che si sente di evidenziare?

Come dicevo prima, è un provvedimento che si pone in continuità e sintonia con il Regolamento europeo. Anche perché, è bene sottolinearlo, l’apporto del governo italiano è stato cruciale per arrivare all’approvazione del testo finale di quest’ultimo. In estrema sintesi, possiamo dire che il nostro ddl somma tre elementi: l’attenzione ai principi che devono guidare l’intelligenza artificiale, una grande attenzione sul contenimento dei rischi di questa tecnologia e la promozione dell’innovazione.

Quanto ai primi, i principi, quelli indicati dal DDL riguardano la trasparenza, la sicurezza, la protezione dei dati personali, l’eticità dei sistemi di intelligenza artificiale e la non discriminazione. Se dovessi sintetizzare questi principi in una sola frase direi che mettono saldamente l’essere umano al centro della rivoluzione dell’intelligenza artificiale. Difatti ritroviamo gli stessi principi sviluppati in modo più circostanziato all’interno del DDL in diversi settori di applicazione per la vita delle persone. Si parla ad esempio di monitoraggio e promozione dell’intelligenza artificiale nel mondo del lavoro e delle professioni intellettuali, ma anche di pubblica amministrazione, soprattutto in settori ad alto rischio come quello dell’attività giudiziaria. Fondamentale, poi, il tema dell’uso dei dati nei sistemi IA volti a migliorare il sistema sanitario e le condizioni di vita delle persone con disabilità. L’articolo 8 specifica che i trattamenti di dati, anche personali, da parte di soggetti pubblici e privati senza scopo di lucro per la realizzazione di sistemi di IA per prevenzione, diagnosi e cura di malattie, sviluppo di farmaci e tecnologie riabilitative, sono dichiarati di rilevante interesse pubblico. Questo avviene in attuazione dell’articolo 32 della Costituzione e nel rispetto del regolamento (UE) 2016/679.

Nel ddl, la parte del contenimento dei rischi spazia dalle misure in tema di cybersicurezza a quelle sulla protezione dei dati (definendo anche un sistema di governance chiaro, con al centro l’Agenzia Nazionale per la Cybersecurezza e AGID) all’obbligo di identificare chiaramente i contenuti generati o modificati dall’intelligenza artificiale (introducendo nuove fattispecie di reato e aggravanti per l’uso illecito dell’intelligenza artificiale).

Quanto alla promozione dell’innovazione, segnalo l’articolo 20 (Misure di sostegno ai giovani sull’intelligenza artificiale), che promuove iniziative per favorire l’apprendimento e l’uso dell’intelligenza artificiale, soprattutto tra i giovani. Ma soprattutto l’articolo 21 (Investimenti nei settori di intelligenza artificiale della cybersicurezza e quantum computing) apre la strada agli investimenti per supportare lo sviluppo di imprese nei settori dell’intelligenza artificiale. Queste norme sono la base giuridica per iniziative come il fondo di investimento di venture capital promosso insieme a Cassa Depositi e Prestiti, del valore di 1 miliardo di euro, per sostenere le startup italiane operanti nel settore.

Il DDL sta quindi proseguendo il proprio iter…quali saranno i prossimi passi e che tempi si prevedono per l’entrata in vigore?

Facciamo il punto: il disegno di legge sull’intelligenza artificiale del governo italiano, n. 1146, è stato presentato in Senato il 20 maggio 2024. Attualmente, in esame presso le commissioni riunite dell’8ª Commissione (Ambiente, transizione ecologica, energia, lavori pubblici, comunicazioni, innovazione tecnologica) e della 10ª Commissione (Affari sociali, sanità, lavoro pubblico e privato, previdenza sociale). L’iter è iniziato ufficialmente il 29 maggio 2024. La discussione in commissione è iniziata il 13 giugno 2024​ e c’è una lunga lista di audizioni da portare a termine. Ora, tenuto conto della pausa estiva dei lavori parlamentari, il nostro auspicio è pervenire alla conclusione dell’esame in commissione in autunno, per poi chiudere con l’approvazione del provvedimento. Le condizioni politiche per riuscire ci sono. Sono fiducioso del buon esito di questo percorso. Anche perché, raggiungere un risultato importante in termini di adozione della IA da parte di PA, cittadini e imprese è una questione che va oltre le divisioni che possono esserci tra destra e sinistra.

Sono diversi i settori esplicitamente citati nel DDL, nei quali l’utilizzo dell’IA potrebbe avere un impatto significativo a livello sociale ed economico, dalla sanità alla giustizia, ad alcune professioni come quelle intellettuali. Rispetto alla PA in senso ampio (Art. 13) viene caldeggiato l’impiego di sistemi di IA per incrementare l’efficienza della macchina amministrativa, prevedendo al contempo specifiche garanzie. Lei vede una PA pronta a recepire questa innovazione e farla propria?

Certamente sì, a condizione di avere un piano chiaro e massima attenzione alle competenze umane. La strategia nazionale e il piano triennale per la digitalizzazione della pubblica amministrazione licenziato da AGID pochi mesi fa dettano i tempi e definiscono gli obiettivi in modo chiaro: entro il 2025 l’obiettivo è raggiungere almeno 150 progetti di intelligenza artificiale già avviati dalla pubblica amministrazione. Entro il 2026 dovranno essere aumentati a 400. Queste sperimentazioni andranno ad aggiungersi ai casi di eccellenza che sono già attivi presso le strutture pubbliche. L’Agenzia delle Entrate, ad esempio, utilizza algoritmi di machine learning per analizzare comportamenti sospetti e individuare possibili frodi. INPS utilizza chatbot per interagire con gli utenti e migliorare l’accessibilità ai servizi. ISTAT usa foundation models per migliorare la qualità dei dati.

I progetti per il futuro prossimo, a cui stiamo già lavorando, sono anzitutto la realizzazione di un registro nazionale di dataset e modelli, con un focus sulla costruzione di questi secondo principi di trasparenza e fairness. Come ho detto prima, dobbiamo garantirci le condizioni per scalare rapidamente le soluzioni di intelligenza artificiale in tutte le amministrazioni, di modo da renderne l’utilizzo – e quindi i benefici – pervasivo. Stiamo anche ragionando su un’agenzia nazionale del dato, che concentri la governance in un solo posto, migliorando l’efficienza e la sicurezza. Infine, vorrei lanciare un campione nazionale dell’intelligenza artificiale, che faccia da guida e traino a tutte le altre amministrazioni. Faccio notare che quest’ultimo non è solo un obiettivo italiano. È un obiettivo europeo. Nel discorso inaugurale per il nuovo quinquennio di presidenza dell’Unione europea, Ursula Von der Leyen ha richiamato l’idea di creare un “CERN dell’intelligenza artificiale”. Cioè un centro di ricerca altamente specializzato, capace di concentrarsi sulla ricerca avanzata, sullo sviluppo di standard etici e tecnologici, e sulla formazione di talenti nel campo dell’IA.

Il secondo grande tema è quello delle competenze. Partiamo da un dato: nei prossimi dieci anni il 40% della forza lavoro impiegata nel pubblico avrà raggiunto l’età pensionabile. Utilizziamo questa circostanza per quello che è: un’occasione preziosa. Non solo per ringiovanire la forza lavoro pubblica, ma anche per programmare assunzioni che coprano i ruoli di cui abbiamo più bisogno: analisti dei dati, ingegneri, esperti ICT e persone con competenze manageriali.

Nel frattempo, lavoriamo per dotare chi già lavora nelle pubbliche amministrazioni delle competenze più avanzate. Per la parte di competenza del mio Dipartimento, stiamo facendo passi da gigante. Un esempio straordinario è rappresentato senza dubbio dai 311 milioni che abbiamo destinato all’incremento delle competenze digitali dei professionisti del sistema sanitario, che rappresentano uno degli elementi fondamentali del successo del FSE 2.0.

Tra i temi che ha citato e da cui non si può prescindere per supportare il percorso di adozione dell’IA – il tema delle infrastrutture, quello delle risorse, quello delle competenze, quello dei dati che alimentano i sistemi di IA – qual è l’aspetto su cui dobbiamo lavorare di più nel nostro Paese?

L’importanza di infrastrutture, risorse e competenze è già emersa in modo chiaro nelle mie risposte precedenti. Mi limito dunque qui ad aggiungere una breve riflessione su due punti.

Primo: l’importanza dei dati nel contesto dell’intelligenza artificiale. Una delle sfide più difficili che dovremo affrontare è infatti fare in modo che i modelli di IA siano addestrati con un numero adeguato di dati certificati. A prescindere dal complesso discorso relativo a dati reali o sintetici, infatti, ciò che conta veramente è che siano dati di qualità.

Come dicevo prima, tra i rischi associati a questa tecnologia ci sono anche i divari linguistici e culturali, frutto di un predominio eccessivo (e francamente ingiustificato) della lingua inglese. Non si tratta di sterile campanilismo. Qui l’obiettivo è sviluppare tecnologie di intelligenza artificiale che supportino più lingue e che dunque siano culturalmente predisposte verso l’accessibilità. Esistono già realtà molto interessanti come Minerva, il modello di linguaggio di grandi dimensioni sviluppato in Italia iGenius, l’azienda italiana che ha lanciato “ITALIA”, un LLM che parla italiano, e che si appresta a diventare un unicorno, con un round di finanziamenti superiore al miliardo di euro. Il secondo punto riguarda l’indipendenza strategica sulle materie prime, specialmente quelle tecnologiche, cruciale per il futuro dell’Italia e di tutta l’Europa. Attualmente, siamo eccessivamente dipendenti da Paesi terzi, spesso competitivi in modo sleale, favorendo le loro aziende a scapito di quelle europee. Il Parlamento italiano sta approvando una normativa per ridurre queste dipendenze, come ha fatto Bruxelles nella legislatura precedente, ma non basta. La nuova legislatura europea dovrà insistere su questo tema, lavorando perché ci siano condizioni di equità per tutti gli attori economici che vogliono operare nel mercato europeo. Inoltre, sarà necessario migliorare il sistema produttivo europeo per rafforzare la crescita e la competitività delle nostre imprese a livello globale.

Uscendo dal focus IA, quali sono le principali prossime tappe sui temi del digitale, cosa ci aspettiamo per i prossimi mesi, per esempio in tema di Fascicolo Sanitario Elettronico, di semplificazione, di identità digitale?

Mi soccorrono i dati che ho condiviso nell’audizione parlamentare del 31 luglio presso la Commissione bicamerale per la semplificazione. Abbiamo oltre 6 miliardi di euro dedicati alla digitalizzazione della PA, messi a disposizione di oltre 22.000 Pubbliche Amministrazioni, tra cui i quasi 8.000 Comuni italiani, le istituzioni più vicine alle esigenze dei cittadini, a cui il PNRR affida un ruolo centrale. Il Piano prevede oltre 60 milestone e target intermedie fino al 2026. Sono target molto ambiziosi, rispetto ai quali stiamo rendendo bene. siamo riusciti acoinvolgere oltre 17.000 Pubbliche amministrazioni, centrali e locali, in circa 57.000 progetti di digitalizzazione. Questo è un risultato certamente significativo, reso possibile anche grazie al dislocamento di oltre 180 persone su tutto il territorio nazionale. La strategia introdotta ha permesso al Dipartimento di raggiungere ad oggi tutti le milestone e target previsti dal PNRR: 34 dei 67 obiettivi previsti entro la fine del 2026 (il 50% del piano). La bontà del lavoro portato avanti dal governo emerge anche dall’ultimo report sul Decennio Digitale redatto dall’UE, che ci vede sopra la media europea in ambiti quale e-health (dal 71 all’82,7% in un solo anno), il cloud e l’identità digitale. Per intenderci, il DESI 2024 introduce un nuovo parametro, quello AI or Cloud or Data Analytics. Si tratta di un dato che serve a determinare la percentuale di innovazione nelle imprese di un paese considerando la combinazione di tre tecnologie. In questo, l’Italia ha ottenuto un eccellente 63%, mentre gli altri grandi paesi europei hanno ottenuto punteggi inferiori: Germania (58%), Spagna (50%), Francia (45%).

Cosa prevede quindi il futuro prossimo? Anzitutto, il completamento degli obiettivi rimanenti. Sono tutti fondamentali, oltre all’intelligenza artificiale, quelli che lei ha citato nella domanda. Il FSE 2.0, che abbiamo presentato in tre grandi eventi a Roma, Cernobbio e Bari, si sta dimostrando uno dei progetti con la crescita maggiore, ma se dovessi indicare uno tra quelli cui tengo maggiormente – pur essendo particolarmente sfidanti – citerei il caso delle competenze. Diciotto mesi fa abbiamo ereditato una situazione molto difficile, ma stiamo migliorando giorno dopo giorno attraverso progetti come il servizio civile digitale, grazie al quale, nel 2023, 1.900 giovani volontari hanno raggiunto circa 80.000 cittadini; e la rete dei Punti Digitale Facile, che hanno superato le 1.800 unità in poco più di un anno.

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