Alla ricerca dell’equilibrio tra sussidiarietà e digitale
La tecnologia consente di portare il servizio pubblico verso il territorio e il cittadino nella direzione indicata dal principio di sussidiarietà, ma la sua gestione suggerisce di muoversi in direzione contraria, per ricercare un migliore coordinamento e una maggiore razionalizzazione delle risorse: come trovare un nuovo equilibrio tra queste forze solo apparentemente contrastanti?
27 Ottobre 2009
Stefano De Vescovi*
Carlo Mochi Sismondi
La tecnologia consente di portare il servizio pubblico verso il territorio e il cittadino nella direzione indicata dal principio di sussidiarietà, ma la sua gestione suggerisce di muoversi in direzione contraria, per ricercare un migliore coordinamento e una maggiore razionalizzazione delle risorse: come trovare un nuovo equilibrio tra queste forze solo apparentemente contrastanti?
Il recente editoriale di Carlo Mochi Sismondi sul “Moto circolare dell’innovazione” pone una serie di interessanti spunti di riflessione sulle complesse dinamiche che è necessario stimolare tra governo e autonomie locali per garantire un efficace percorso di ammodernamento della Pubblica Amministrazione italiana.
Il tema è ovviamente centrale e richiederà un’attenta analisi delle diverse problematiche da affrontare.
In questo breve contributo mi limiterò a guardare al fenomeno dal punto di vista dell’utente, tentando di analizzare l’impatto che la tecnologia potrebbe esercitare a favore di una nuova dialettica tra centro e periferia, e degli effetti che essa potrebbe produrre sui rapporti tra PA e cittadino.
La “forma” della PA
Dal punto di vista dell’utente la Pubblica Amministrazione appare come un vasto conglomerato di uffici, strutture, competenze e servizi, la cui distribuzione e articolazione tra i diversi livelli dello Stato è spesso difficile da comprendere e conoscere completamente.
Quello che il cittadino “vede”, in realtà, non è che la risultante di una complessa serie di principi, leggi e regolamenti che, nel loro insieme, determinano la struttura della PA, la sua articolazione in ruoli e livelli, la tipologia di servizi che essa eroga, la sua stessa capacità di porsi in ascolto e al servizio della cittadinanza.
In effetti la forma della PA, proprio come il “confine” di una qualunque struttura complessa, appare come un elemento dinamico che evolve nel tempo, al variare di fattori interni (leggi e regolamenti, capacità e risorse), ed esterni (rapporti pubblico-privato, aspettative di cittadini ed imprese, valori e vocazioni del territorio).
Si pensi, a tale riguardo, al progetto “reti amiche” recentemente avviato dal Governo italiano, e a come esso stia contribuendo a ridefinire il perimetro percepito della Pubblica Aministrazione, rendendo disponibili servizi pubblici presso una variegata rete di soggetti privati e alle molteplici possibilità di fusione tra valore publico e valore privato che esso renderà possibili.
Il ruolo del digitale
In questo scenario l’impatto della tecnologia sulla PA, e la sua formidabile capacità di amplificazione, sono sotto gli occhi di tutti: centinaia di siti web (il CNIPA ne ha censiti 1065 nel 2008), decine di servizi con diversi gradi di transazionalità (solo per la PA centrale il CNIPA ne ha identificati 263), un’ampia gamma di modalità di accesso e di servizio… insomma, una tecnologia capace di “espandere” la PA, per renderla sempre più aperta e disponibile ai bisogni del cittadino.
Se, però, guardiamo ai dati di utilizzo, scopriamo che la situazione non è ancora soddisfacente.
In base ai numeri pubblicati a ottobre da Confindustria Servizi Innovativi e Tecnologici, scopriamo che nelle famiglie con accesso ad Internet in banda larga, l’e-government pesa solo per il 39%. E non è che gli italiani non usino la rete, anzi. Sempre più essi usano Internet per comunicare (e-mail 95%), partecipare ai social network (69%, Facebook 68%), comprare e gestire le loro finanze (aste on-line: 56%, e-banking: 49%). Perfino il gioco sembra interessare gli italiani (24%). Capisco che un poker è magari più interessante di un certificato… ma il problema sta probabilmente da qualche altra parte.
Il fatto è che per capire dove sta il problema non si può guardare solo all’offerta di servizi digitali (anche se questi vanno sicuramente migliorati: dei 263 servizi censiti dal CNIPA solo 52 si collocano a livello 4, e 1 solo a livello 5, rispetto agli standard di benchmarking dell’Unione Europea), nè ha senso guardare alla sola domanda (il 55% delle famiglie che non usa la banda larga considera Internet addirittura inutile). Ciò che occorre, piuttosto, è sviluppare una visione complessiva di come la catena del valore della domanda e quella della offerta possono mutuamente influenzarsi ed integrarsi in modo da dare vita ad un processo realmente sostenibile e pervasivo, capace di generare stimoli e benefici per tutto l’ecosistema pubblico.
Dalla “PA come luogo” alla “PA come servizio”
In fondo, a pensarci bene, l’evoluzione verso la PA digitale implica un cambiamento sostanziale del concetto di Pubblica Amministrazione che, nella percezione del cittadino, non è più un “luogo dove si va” per chiedere un servizio ma diventa “l’insieme dei servizi pubblici che vengono messi a sua disposizione”.
Il passaggio alla PA digitale, in altre parole, comporta un ribaltamento radicale tra l’idea di PA come “luogo” e l’idea di PA come “servizio” e suggerisce un approccio completamente diverso alla progettazione dei siti web della PA, che non possono essere più pensati semplicemente come rappresentazioni virtuali delle singole amministrazioni, ma devono cambiare forma diventando sistemi articolati e complessi, potenzialmente multi-ente, capaci di modellarsi attorno al cittadino e ai suoi bisogni.
Da “siti web delle PA” a “siti web per il cittadino”
Per questo motivo, appare fondamentale avviare, attraverso un’azione coordinata e sinergica sul fronte della domanda e su quello dell’offerta, un progressivo ridisegno delle modalità di interazione all’interno dell’ecosistema pubblico al fine di creare nuove strutture digitali di servizio di tipo federato dedicate ai grandi temi della società contemporanea (la sanità, il welfare, l’ambiente, etc.), capaci di porre “al centro” il cittadino e di aggregare attorno a lui i vari attori pubblici e privati interessati a partecipare ai diversi processi di creazione di valore.
Sul fronte della domanda occorrerà, evidentemente, definire linee guida e modelli di riferimento, concordare principi e modalità di segmentazione, stabilire obiettivi e servizi minimi da erogare per i diversi segmenti di utenza e territori e, infine, identificare i soggetti e le strutture responsabili della orchestrazione complessiva dei progetti.
Sul fronte della offerta, occorrerà aumentare e strutturare le modalità di confronto e dialogo con il sistema pubblico, in modo da realizzare, secondo modalità cooperative, le componenti funzionali necessarie ai diversi domini. In questo modo sarà possibile dare vita a piattaforme aperte e standardizzate basate su applicativi intermedi e modulari ri-utilizzabili per una pluralità di servizi e di contesti diversi.
L’uso pervasivo della tecnologia sull’intera demand-supply chain, infine, permetterà di migliorare la visibilità dell’offerta, l’accesso e la partecipazione degli utenti e di incrementare la capacità dell’ecosistema pubblico nel suo complesso di esprimere e qualificare la propria domanda di servizi.
Da “singole PA” alla “PA come sistema”
Per plasmare la forma della PA attorno ai bisogni del cittadino sarà necessario agire, però, anche sul sistema infrastrutturale di supporto, e questo per garantire un adeguato livello di integrazione e sincronizzazione tra le diverse componenti delle strutture di tipo federato sopra descritte.
Se guardiamo alla evoluzione del modello di PA digitale, infatti, ci accorgiamo che, nel tempo, si è andata creando una crescente necessità di servizi trasversali: dalla rilevazione della qualità delle comunicazioni end-to-end del SPC (Sistema Pubblico di Connettività) alla definizione di un sistema efficiente per la gestione degli approvvigionamenti, dalla erogazione dei servizi infrastrutturali di supporto alla cooperazione applicativa (SICA) alla creazione di strutture specializzate per il controllo di ambiti specifici (come la istituenda Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrita’).
In questo contesto di crescente strutturazione dell’ecosistema pubblico, la progressiva ibridizzazione della catena del valore, determinata dal sempre più ampio ricorso al modello delle reti amiche, richiederà la definizione di una serie di nuovi servizi infrastrutturali: la gestione delle identità e delle autorizzazioni (anche e soprattutto a supporto degli attori privati partecipanti al progetto reti amiche), la pubblicazione dei metaprocessi e il monitoraggio delle iniziative “allargate”, la condivisione dei dati e la notifica delle variazioni, l’utilizzo dei nuovi modelli di acquisto e di erogazione dei servizi da parte delle singole pubbliche amministrazioni.
Spinte centrifughe e spinte centripete
La tecnologia, in ultima analisi, si configura come un importante fattore di trasformazione perchè, sommandosi ai fattori più tipicamente endogeni, contribuisce a dar vita ad una nuova geometria di servizio dell’ecosistema pubblico, fino ad arrivare a definire sistemi di erogazione modellati attorno alle esigenze degli utenti, servizi sempre più personalizzati e personalizzabili, sistemi infrastrutturali di supporto condivisi.
In questo scenario, ciò che emerge è che mentre la tecnologia agisce nella direzione indicata dal principio di sussidiarietà dal centro alla periferia, facendo in modo che le attività possano essere svolte dall’entità territoriale amministrativa più vicina ai cittadini, dall’altra non si può non rilevare che le logiche che ne governano l’organizzazione e la distribuzione suggeriscano di muoversi in direzione contraria, e questo per la necessità di ricercare economie di scala e forme innovative di coordinamento e condivisione di competenze, linee guida e risorse.
Sono molti gli esempi di quanto importante sarebbe trovare una sintesi ottimale tra spinte centrifughe di servizio e forze centripete di razionalizzazione: forti disomogeneità di approccio, accesso e navigazione, eterogeneità di strumenti e supporti, modalità di gestione differenziate e non sempre congruenti tra loro.
Il problema è che non esiste un livello ottimale nel quale concentrare la gestione delle tecnologie e delle relative competenze che sia comune a tutti i servizi: per alcuni tale punto potrebbe corrispondere con un determinato livello dello Stato federale, per altri potrebbe coincidere con un livello diverso, più adeguato perchè magari più adatto a garantire un più soddisfacente fattore di scala.
Il fatto è che le tecnologie consentono di realizzare una sorta di continuum infrastrutturale che attraversa strutture, enti e territori e non è assolutamente scontato capire dove collocare il punto di sintesi ideale tra spinte centrifughe di servizio e spinte centripete di razionalizzazione.
D’altra parte, l’emergenza del modello di cloud computing sembra suggerire che non abbia poi molto senso puntare ad una distribuzione delle tecnologie statica e predeterminata ma che sia, piuttosto, consigliabile ipotizzare anche per l’ecosistema pubblico un modello cloud capace di mettere a disposizione le risorse necessarie quando e come servono.
In questo contesto, l’elemento chiave non sarebbe tanto la tecnologia (che, secondo il modello cloud, sarebbe disponibile anywhere and anytime), ma le informazioni necessarie per permettere ai responsabili delle singole PA di decidere come e a che livello concentrare il coordinamento delle iniziative, dove collocare la progettazione e l’erogazione dei servizi, quali strutture di costo ipotizzare (sulla base di modelli e serie storiche) per riuscire a centrare gli obiettivi operativi e gestionali prefissati e comunicati al cittadino.
Ecco perchè ritengo che un passo importante da compiere potrebbe essere la creazione di un Osservatorio Nazionale per la Raccolta dei dati di costo sui servizi di e-government, con il compito di raccogliere e strutturare in maniera sistematica gli economics relativi ai servizi erogati dalle diverse amministrazioni (sui diversi bacini d’utenza e sui diversi territori), in modo da consentire ai decisori pubblici di confrontare opportunamente costi e benefici associati ai diversi modelli di erogazione e valutare così gli ambiti ottimali di intervento.
Un centro di questo genere, lungi dall’essere uno strumento di controllo e di indagine, potrebbe diventare il polo di supporto ideale per favorire, attraverso un confronto tra esperienze e risultati, la crescita complessiva dell’ecosistema pubblico.
Può apparire un paradosso ma la vera sfida del digitale non sembra essere la tecnologia, ma la ricerca di un nuovo equilibrio.
E questo Centro potrebbe aiutare a fare la differenza.
*Business Development Executive IBM Global Services