Il modo migliore per rompere la resistenza al cambiamento è raccontare le esperienze di successo. In questa nuova puntata della Rubrica “I protagonisti del cambiamento”, Gianni Dominici, Direttore generale di FPA, intervista Andrea Vian, Ricercatore Dipartimento architettura e design (DAD) in Disegno industriale ICAR/13 dell’Università degli studi di Genova, che ci spiega come sia stato possibile trasformare un progetto di visual design in un progetto di trasformazione digitale a 360°
10 Febbraio 2023
A volte bastano pochi elementi – governance, libertà d’azione, finanziamento – per tradurre un progetto nato in sordina in una leva che consente di superare le resistenze al cambiamento. È quello che è accaduto con la riprogettazione dell’infrastruttura dati dell’Università degli studi di Genova: a raccontarlo Andrea Vian, Ricercatore Dipartimento architettura e design (DAD) in Disegno industriale ICAR/13 dell’ateneo genovese, intervistato da Gianni Dominici, Direttore generale di FPA, all’interno della Rubrica “I protagonisti del cambiamento”.
Concepito nel 2014 come progetto di visual design di tutti i siti web di ogni singolo dipartimento dell’università, maturato nell’arco di sei anni come riprogettazione dei servizi per la didattica, per poi essersi concluso come progetto di trasformazione digitale dei servizi informativi, è arrivato finalista alla seconda edizione del Premio di FPA “Rompiamo gli schemi”, assegnato nel giugno scorso a FORUM PA 2022.
Dall’analisi dei bisogni a un approccio di co-design
All’avvio dell’attività di ricerca c’era una quantità di informazioni che appariva affastellata, il sito web di un solo dipartimento (l’università di Genova ne ha 22) aveva circa 50mila pagine e un’interfaccia di fruizione che non proiettava la totalità degli argomenti. L’informazione, spezzettata, atomizzata, caricata da più uffici, risultava disponibile solo ai motori di ricerca e non compariva nei menù di navigazione. Questo è quanto è emerso dall’analisi dei dati raccolti su un campione rappresentativo di studenti, attraverso gli strumenti di user research (questionari, test di usabilità, interviste). Studenti privi di competenze specifiche perché cresciuti nell’epoca dell’usabilità già eccelsa, ma desiderosi e inclini a partecipare alle attività di co-design.
Soluzioni di intelligenza artificiale
Si è cercato di costruire una stele di rosetta delle informazioni dell’università su tutti i processi – immatricolarsi, laurearsi, andare in Erasmus -, progettando un unico touchpoint dove trovare tutte le informazioni, corrette e aggiornate, interconnesse secondo dei percorsi di fruizione degli utenti. “Questo principio, che ha guidato il progetto di trasformazione, ha permesso di modificare il modo in cui tutti i creatori di informazione coinvolti – dall’Unione Europea per il progetto Erasmus al Ministero dell’università e della ricerca, dall’ateneo alle scuole, dai dipartimenti fino ai corsi di laurea – avessero un posto dove queste informazioni potessero confluire”, sottolinea Vian. Per realizzare tutto questo sono state fatte alcune scelte tecnologiche ed è stata fondamentale la collaborazione con Annalisa Barla, data scientist e professoressa di informatica dell’ateneo genovese. L’intelligenza artificiale, ad esempio, ha consentito con tecniche di natural language processing (NLP) di analizzare grandi quantità di informazioni e tirare fuori l’analisi dei topics.
Trasformare l’esperienza in patrimonio comune
In un paese come il nostro, dove si ha difficoltà a fare sistema, come si può portare queste soluzioni all’interno di altre istituzioni? La difficoltà nel fare rete è, per Andrea Vian, legata a tre punti: il primo è che la pubblica amministrazione continua a dare conto all’esterno della propria organizzazione interna, invece che disegnare i propri processi intorno ai bisogni degli utenti, finendo così per produrre servizi che non sono su misura; il secondo punto riguarda il debito di integrazione, che frena qualsiasi processo digitale, mentre è necessario integrare i diversi micro sistemi che adottano tecnologie chiuse; il terzo punto riguarda il debito tecnologico che attiene a una cultura di resistenza al cambiamento e che raccoglie il comune sentire “abbiamo sempre fatto così”.
Il problema principale affrontato nei sei anni di lavoro è legato proprio alla resistenza al cambiamento. Andrea Vian ritiene che “il modo migliore per rompere questa superficie di cristallo sia proprio il raccontare le esperienze di successo perché abbiamo bisogno di condizioni favorevoli, condizioni in cui la governance sia in grado di comprendere l’importanza di attività di trasformazione e sia in grado di finanziarle”.