Antonio Cisternino, presidente del Sistema informatico dell’Università di Pisa, racconta l’esperienza dell’Ateneo in risposta all’emergenza e riflette poi, in senso più ampio, sul processo di trasformazione digitale della PA. Un percorso che va portato avanti un pezzo alla volta, con grande attenzione alle tecnologie utilizzate, al disegno dei processi, all’approccio culturale e alle competenze, all’analisi dei risultati
6 Maggio 2021
Redazione FPA
L’esperienza della pandemia è riuscita a spingere davvero la transizione al digitale in tutti gli ambiti e anche nel mondo dell’Università. È cambiata l’organizzazione del lavoro ed è cambiato l’approccio alla didattica, un passo forzato ma che sicuramente lascia anche molti insegnamenti rispetto all’impostazione e alle strategie per il futuro. Ne parla in quest’intervista Antonio Cisternino, presidente del Sistema informatico dell’Università di Pisa, partendo ovviamente dall’esperienza dell’Ateneo in cui lavora, per spaziare poi su considerazioni più ampie e generali rispetto al processo di trasformazione digitale nella PA.
Ecco alcuni spunti emersi dall’intervista.
Smart working e didattica a distanze come “palestre” di cambiamento
Il passaggio repentino e massivo allo smart working e alla didattica a distanza ha avuto un forte impatto non solo sui sistemi informatici dell’Ateneo, ma anche dal punto di vista culturale. “Il personale tecnico amministrativo e il personale docente in poche settimane ha dovuto cominciare a utilizzare strumenti diversi e ha dimostrato una capacità di reazione straordinaria – sottolinea Cisternino – dal 9 marzo dello scorso anno, su piattaforme miste presenza e distanza, abbiamo circa 80mila utenti mensili, praticamente più del cento per cento dell’utenza, considerando anche gli ospiti esterni”. Cisternino sottolinea come, dal punto di vista della didattica, sia nata una spinta a creare contenuti nuovi, che non siano la semplice trasposizione in digitale della lezione in presenza. Da una parte, quindi, un miglioramento dei servizi digitali connessi a queste esigenze, dall’altra un nuovo approccio e un cambiamento culturale, accettando la sfida di ridisegnare l’esperienza didattica attraverso l’interazione a distanza. Il dibattito ora è aperto su come continuare questo percorso una volta che si potrà tornare in presenza.
Dalla cultura dell’adempimento a quella degli obiettivi
Lo smart working potrebbe essere il “grimaldello” per introdurre PA una cultura basata sugli obiettivi, invece che sulla presenza e sull’adempimento? Secondo Cisternino gli elementi culturali consolidati nella PA sono ancora un ostacolo per fare questo passaggio, che comunque è necessario. “Il vero problema è far comprendere che la verifica del conseguimento dell’obiettivo è un dovere primario di chi segue il processo, mentre spesso viene vista come un costo piuttosto che come un’opportunità. Il disegno è molto sensato, non credo che vi siano alternative, dobbiamo però capire come si declina nella realtà della nostra PA”.
Disegnare i servizi sulla base dell’utenza
“Il bonus mobilità è stato un tipico esempio di quando si prende un processo che nel mondo analogico funziona bene e lo si traspone direttamente così com’è nel mondo digitale. Non può funzionare, le interfacce e l’interazione con la macchina va pensato utilizzando il metodo personas, cioè immaginando chi si troverà dall’altra parte e cercando di semplificare la sua vita e non il nostro lavoro” sottolinea Cisternino. Insomma, non dobbiamo scaricare sul digitale un problema che spesso nasce altrove, perché compito di chi disegna i processi sapere che il cambio di mezzo pone nuove sfide. Dobbiamo fare formazione su questo. Riconoscendo però che dal punto di vista dei servizi digitali sono stati fatti molti passi avanti negli ultimi anni.
Per chiudere…tre raccomandazioni
Punto primo: la trasformazione digitale e dei processi si fa un pezzo per volta, non esiste la bacchetta magica. Secondo spunto: la tecnica supporta le soluzioni, non è una soluzione e ogni scelta deve essere oculata e non scaricata sull’utente. Infine, bisogna sempre guardare a dove siamo arrivati, non partire sempre da zero: capire cosa è andato male aiuta a individuare azioni collettive per il futuro.