Approvato il nuovo CAD: il più è ancora da fare
Noi abbiamo una proposta di lavoro che abbiamo iniziato a sperimentare, a livello nazionale come a livello locale, e che poggia su una considerazione empirica: qualsiasi processo di innovazione per essere efficace deve essere inserito all’interno di un modello operativo in grado di accompagnarne l’implementazione, il monitoraggio e il successo. Un approccio che, proprio ieri, ha incontrato il riconoscimento del Presidente della Repubblica che, nel premiare il progetto per Open Data Lazio, ha motivato il premio “per la semplificazione del rapporto tra amministrazione e cittadini, per la buona diffusione nel territorio regionale e l’alta replicabilità del modello estendibile ad altre Regioni” . E’ quello che, a FPA, chiamiamo il modello delle 4 E
21 Settembre 2016
Gianni Dominici, Direttore generale FPA
Abbiamo il nuovo Codice dell’Amministrazione Digitale, e ora? Per i commenti tecnici rimando agli autorevoli contributi di questo speciale, mentre voglio concentrare l’attenzione sulle logiche di processo che dovrebbero accompagnare la concreta implementazione del nuovo CAD. Il rischio c’è ed è noto: è possibile che il nuovo CAD diventi l’ennesima rivoluzione annunciata e che venga vissuto, da coloro che poi dovranno gestirne quotidianamente l’implementazione, come un ulteriore adempimento.
Nel linguaggio e nella struttura, infatti, rischia di essere figlio di quel riduzionismo normativo che più volte abbiamo denunciato essere uno dei mali di una PA, la nostra, capace di metabolizzare e ridurre a leggi, norme e scadenze qualsiasi idea innovativa o cultura emergente.
Rischiamo di rivivere quello che è in parte già successo con gli Open Data e con la recente normativa sul FOIA : strumenti ispirati dai valori assoluti di pubblica amministrazione aperta e trasparente, di matrice prevalentemente anglosassone e che, una volta arrivati in Italia, sono stati “trattati” dal nostro frullatore normativo e restituiti in una poltiglia sostanzialmente irriconoscibile dall’originale.
> Questo articolo è parte del dossier “Speciale Cad. Inizia la fase attuativa, l’analisi di FPA e dei nostri esperti”
Che fare? Noi abbiamo una proposta di lavoro che abbiamo iniziato a sperimentare, a livello nazionale come a livello locale, e che poggia su una considerazione empirica: qualsiasi processo di innovazione per essere efficace deve essere inserito all’interno di un modello operativo in grado di accompagnarne l’implementazione, il monitoraggio e il successo. Un approccio che, proprio ieri, ha incontrato il riconoscimento del Presidente della Repubblica che, nel premiare il progetto per Open Data Lazio, ha motivato il premio “per la semplificazione del rapporto tra amministrazione e cittadini, per la buona diffusione nel territorio regionale e l’alta replicabilità del modello estendibile ad altre Regioni” . E’ quello che, a FPA, chiamiamo il modello delle 4 E.
E come Endorsement politico. L’innovazione, soprattutto in questa fase storica che investe la PA del nostro paese, non può essere a singhiozzo. Non può essere la ciliegina sulla torta da mettere in evidenza nelle foto di rito. Non può essere una giornata speciale, magari con cadenza annuale, ma un processo continuo ispirato da un progetto comune. Per fare innovazione nella nostra PA, non è sufficiente mettere a punto, saltuariamente, degli interventi correttivi, fare del fine tuning dell’esistente ma è necessario condividere un nuovo progetto di PA capace di raccogliere e vincere le sfide dell’esistente. Lo scrivemmo anche all’indomani della presentazione della Riforma Madia: “La PA che ne esce è una PA rinnovata ma anche profondamente uguale a se stessa che rischia di rimanere un soggetto diverso e lontano dalle dinamiche sociali e culturali in atto nel paese. La riforma, a nostro avviso, elude una domanda: la PA che abbiamo è quella che ci serve? […] In altri termini, la PA reclamata dalle dinamiche in atto deve necessariamente abbandonare il “paradigma bipolare” a favore del paradigma sussidiario, per cui la partecipazione civica e la collaborazione sono ingredienti indispensabili nella creazione di valore pubblico.”
E come Engagement. La logica conseguenza dell’approccio auspicato è che le persone, le famiglie e le imprese non siano considerate solo come portatori di bisogni e di problemi ma anche di proposte e soluzioni. Anche qui è necessario far chiarezza e non accontentarci della semplice consultazione il cui ricorso si sta diffondendo sempre più tra i nostri amministratori con il risultato di – come dicono gli anglosassoni – empower the already empowered. Le occasioni di coinvolgimento delle famiglie e delle imprese nei processi decisionali non possono essere sporadiche, occasionali ma devono far parte di un percorso che anche in questo caso deve essere chiaro e lineare. Il primo passo è un’i nformazione bilanciata e oggettiva, che metta in evidenza anche le possibili alternative possibili. Al secondo livello, appunto, ci sono le consultazioni che nella maggior parte dei casi si svolgono oramai esclusivamente on line per poi arrivare al coinvolgimento nelle decisioni e alle azioni finalizzate a favorire l’ autonoma iniziativa per lo svolgimento di attività di interesse generale, realizzando così il principio costituzionale della sussidiarietà orizzontale. Anche in questo c’è bisogno di un cambio di prospettiva radicale: la partecipazione è un’opportunità e non un foglia di fico .
E come Empowerment dei dipendenti pubblici. E’ probabilmente la dimensione più fragile di quelle considerate. Le norme, le leggi i regolamenti rimangono (spesso) solo buoni propositi se poi non vengono applicati da chi tutti i giorni, all’interno di questo corpaccione eterogeneo che è la pubblica amministrazione italiana, le deve rendere operative. Nel nostro lavoro quotidiano con le pubbliche amministrazioni di ogni livello tocchiamo con mano le resistenze che spesso vengono opposte all’introduzione di cambiamenti, di nuovi processi innovativi. E non potrebbe essere diversamente . E’ impensabile ed irresponsabile pensare di fare le riforme calandole dall’alto senza mettere a punto un programma di sensibilizzazione e coinvolgimento dei destinatari, soprattutto se consideriamo la peculiarità del capitale umano della PA italiana: tra i più vecchi d’Europa (ha meno di 35 anni l’8% dei lavoratori, contro il 26% in Francia e il 25% in UK) e tra i meno aggiornati (i dipendenti della PCM e dei Ministeri hanno avuto accesso, nel 2013 a 0,5 giornate di formazione pro capite). Un impianto normativo così articolato e pervasivo come il CAD deve essere interpretato come un’opportunità non solo per i cittadini ma che per coloro che nella PA ci lavorano.
E come Enforcement. Nel ribellarci al riduzionismo normativo, alla bulimia legislativa (un termine che ricorre spesso tra i nostri politici) dobbiamo concentrarci il più possibile sulle azioni che possano rendere efficace e applicato il nostro quadro normativo : meno leggi, più manuali, più monitoraggio, più analisi delle politiche pubbliche. Ad esempio, siamo sicuri che la decisione di introdurre un FOIA nostrano, mutuando un’esperienza molto particolare come quella degli Stati Uniti, sia stata la strada migliore invece che scegliere di potenziare la struttura normativa esistente? Siamo sicuri che gli obiettivi di implementazione che sono stati dati per l’adozione dello SPID siano ben rapportati all’attuale rapporto tra domanda reale e offerta di servizi on line?
Per concludere, credo che al di là dei buoni propositi e degli aspetti tecnici il testo entrato in vigore sia ancora figlio di una cultura di innovazione istituzionale che non sarà in grado di portare all’interno della PA i necessari e radicali cambiamenti, oggi più che mai necessari per permettere alle amministrazioni di “servire” finalmente il paese, in questo periodo di grandi difficoltà ed incertezza. La cultura che ha generato questo CAD è ancora profondamente fondata sulla norma e non sui risultati e trascura il valore fondamentale del capitale umano.
Onestamente, questo sorprende visti il contesto e le opportunità europee: gli strumenti e le risorse per aiutare la PA in questa fase di cambiamento ci sono e si chiamano PON Governance. Stiamo parlando di 827 milioni di euro per il periodo 2014-2020 finalizzati (testuale):
- rafforzare la capacità istituzionale delle autorità pubbliche e delle parti interessate a un’amministrazione pubblica efficiente;
- migliorare l’accesso alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, nonché l’impiego e la qualità delle medesime.
Siamo quasi alla fine del 2016 e le risorse sono sostanzialmente ancora ferme. Non ce lo possiamo permettere, non possiamo sprecare anche questa occasione.