Archivi digitali, senza standard PA un lavoro inutile
La mancanza di interfacce standard verso i sistemi di
conservazione è già di per se una ammissione del fatto che stiamo lasciando
all’iniziativa dei singoli la effettiva costruzione qualitativa degli archivi
e, di non minore importanza, l’interoperabilità tra i conservatori (e quindi
tra gli archivi stessi)
21 Aprile 2016
Cinzia Amici, Regione Marche
Anche la Regione Marche il 17 Marzo 2016, la Regione Toscana poco prima, sono entrate a far parte dell’elenco dei conservatori accreditati dell’Agenzia per l’Italia Digitale, come previsto dall’art. 44 bis dell’ormai da novellare CAD. Come indica la norma, entrare nell’elenco, che comprende ad oggi 56 conservatori, è il riconoscimento del possesso dei requisiti del livello più elevato in termini di qualità e di sicurezza nel campo specifico della conservazione dei documenti informatici.
E di fatto le procedure e la documentazione prevista dall’Agid richiedono diverse evidenze: dichiarazione che il sistema di conservazione sia coerente con le norme vigenti e gli standard del DPCM 3 dicembre 2013, approvazione del manuale di conservazione e del piano della sicurezza, certificazione ISO 27001 (relativa alla gestione della sicurezza delle informazioni), rispetto della normativa inerente il trattamento dei dati personali, figure professionali qualificate in vari ambiti.
Tuttavia ciò basterà per non avere brutte sorprese tra 20 anni, quando apriremo con fiducia i nostri archivi alla ricerca di documenti? Purtroppo non è semplicemente una tematica da rimandare alla vecchia questione del ‘Garbage In, Garbage Out’ e quindi allo sforzo imprescindibile di inviare in conservazione oggetti significativi (ad esempio documenti in formati idonei alla conservazione e corredati di metadati tra cui, sogno proibito, il relativo fascicolo), ma riguarda più specificatamente la necessità di aggiungere quel livello di dettaglio che a noi italiani, popolo creativo, a volte serve per non perderci.
Gli archivisti ci dicono da tempo che i principi del mondo cartaceo vanno preservati anche in quello digitale e tutti noi, tranne i fautori dell’onnipotenza della tecnologia, ne siamo ben convinti; tuttavia il digitale ha peculiarità proprie e gli standard, per loro natura generali, non ci aiutano ad accertarci che i modi di operare siano effettivamente bastevoli e significativi.
Basta chiedersi ad esempio quanti conservatori hanno i titolari o i massimari di scarto delle amministrazioni per cui conservano i dati, oppure quanto e come la definizione di metadati da associare alle tipologie documentarie sia stata affrontata in termini semantici e sintattici.
La mancanza di interfacce standard verso i sistemi di conservazione è già di per se una ammissione del fatto che stiamo lasciando all’iniziativa dei singoli la effettiva costruzione qualitativa degli archivi e, di non minore importanza, l’interoperabilità tra i conservatori (e quindi tra gli archivi stessi).
Nella speranza che quello che ci resta da costruire sia l’ultima passerella e non il ponte sullo stretto, e nella attesa quindi di linee guida di dettaglio sul tema, non ci rimane che accogliere con sollecitudine le proposte di chi si sta concentrando su questi aspetti come il comitato scientifico del del polo di conservazione marchigiano, il forum dei conservatori organizzato annualmente dall’Agid e tutti quei convegni in cui si affronta in modo non banale il mondo sconosciuto della conservazione digitale.