Articolo 29: facciamo chiarezza e avanziamo proposte
Impazza da due giorni la notizia in
base alla quale la Legge di Stabilità nel suo testo trasmesso al Quirinale e
successivamente al Senato contiene un provvedimento (art. 29, comma 3) la cui
attuazione provocherebbe effetti disastrosi rispetto al futuro dell’innovazione
tecnologica nella PA italiana.
29 Ottobre 2015
Paolo Colli Franzone
Impazza da due giorni la notizia in base alla quale la Legge di Stabilità nel suo testo trasmesso al Quirinale e successivamente al Senato contiene un provvedimento (art. 29, comma 3) la cui attuazione provocherebbe effetti disastrosi rispetto al futuro dell’innovazione tecnologica nella PA italiana.
In effetti il testo diffuso da
Palazzo Chigi non lascia spazio a dubbi o interpretazioni: sotto il titolo
“Razionalizzazione dei processi di approvvigionamento di beni e servizi in
materia informatica nelle pubbliche amministrazioni” (art. 29) si
introduce il
principio di obbligatorietà nel ricorso a Consip e/o agli altri soggetti
aggregatori della domanda
(ivi comprese le centrali regionali di committenza) per
tutte le amministrazioni e le società pubbliche inserite nel conto economico
consolidato della PA.
E fin qui, tutto bene: l’intento è
evidente e condivisibile, e va nella direzione di quella drastica riduzione del
numero di stazioni appaltanti e di accrescimento del potere negoziale della
domanda nei confronti dell’offerta che già dai tempi della “prima” spending
review veniva posta alla base di qualsiasi ragionamento serio si volesse fare
con l’obiettivo di contenere la spesa pubblica.
Le cose si fanno più complicate
quando si arriva al “famigerato” comma 3, il quale stabilisce in modo piuttosto
perentorio l’obiettivo di risparmio a valere già sull’esercizio finanziario
2016:
le amministrazioni devono tagliare del 50% i loro budget informatici,
assumendo come base per il computo il valore medio triennale di spesa IT
2013-2015. Senza se e senza ma.
Tradotto in Euro, questo obiettivo
vale
circa 2,8 miliardi all’anno. Lo possiamo meglio comprendere guardando la
tabella sottostante, che riporta in dettaglio la spesa IT (escluse quindi le
spese per telecomunicazioni) di tutto il “sistema PA” compreso nel perimetro
del conto consolidato dello Stato.
I dati inseriti in tabella fanno
riferimento a spese per acquisto di beni e servizi IT negli anni 2013-2015, e
sono comprensivi di IVA (la quale è notoriamente un costo per la PA).
Non sono stati presi in
considerazione i dati relativi alla spesa TLC in quanto nel testo del
provvedimento “incriminato” si parla esclusivamente di “riduzione della spesa
informatica”.
Che un simile provvedimento non piaccia al sistema dell’offerta è del tutto evidente: tradotto in posti di lavoro a rischio, stiamo parlando di non meno di 40.000 unità di personale (fino a 60.000 secondo i più pessimisti) e di parecchie decine di aziende a rischio di chiusura in quanto attive esclusivamente sul mercato PA e Sanità.
La notizia vera è che se davvero
questa norma entrasse in vigore senza gli auspicati e radicali ripensamenti del
caso, sarebbe un colpo durissimo per la stessa PA. La quale si troverebbe a
dover dar corso a quell’epocale “ridisegno” sancito dalla Riforma Madia (la PA
“digital first”, ricordate?) dovendo contemporaneamente tagliare budget che già
sono stati oggetto di una sequenza impressionante di tagli negli anni passati
(la spesa IT della PA nel 2010 superava abbondantemente i 6,5 miliardi di Euro
a parità di perimetro considerato, contro i 5,2 previsti a chiusura del 2015) e
ormai in molti settori (la Giustizia, per citare il più clamoroso) non
garantiscono neppure la sola copertura dei costi teorici necessari a garantire
la normale conduzione dei sistemi informatizzati.
Ci troveremmo a dover proseguire
lungo il cammino tracciato dal “Piano Crescita Digitale” potendo contare su
disponibilità risibili. Una vera e propria Via Crucis Digitale.
Se già oggi siamo fanalino di coda
nella spesa IT della PA e Sanità dei Paesi della “vecchia” UE a 12, domani
finiremmo per giocarcela con la Bulgaria. Con tutto il rispetto per la Bulgaria,
ovviamente.
Ed è particolarmente curioso mettere insieme questa notizia con quella
rimbalzata dal Cile relativa al ruolo di primo piano che il nostro Presidente
del Consiglio assegna alle tecnologie dell’informazione – con particolare
riferimento ai Big Data – nella improcastinabile e imperdibile lotta
all’evasione fiscale.
Perché i big data sono davvero
importanti, ma hanno bisogno di piattaforme e di competenze per poterci svelare
dove si annidano l’evasione e l’elusione fiscale: tutta roba che costa, altro
che tagli del 50%.
Ma smettiamo di fare i gufi: pensiamo positivo.
Che si tratti – come già dice
qualcuno fra i bene informati – di un errore tecnico in fase di stesura del
testo, con un comma 3 “scappato di mano” all’estensore, o che si tratti di un
ancora più banale errore di battitura dove un ragionevole 5% è diventato 50,
poco importa. Siamo umani, e l’errore è insito nella nostra natura.
Un bel segnale arriva dalla lettura
della relazione alla legge di stabilità,
nella
sua versione pubblicata sul sito del Senato
, dove a pag. 38 – commentando l’art. 29 – non
si fa menzione al famigerato comma 3.
Staremo a vedere, affidandoci al
buon senso dei parlamentari e dello stesso Governo in sede di dibattito in
Commissione e in Aula.
In ogni caso, questo che speriamo
di poter archiviare come un momento di suspence e nulla più rappresenta
un’ottima occasione per riprendere un ragionamento serio e approfondito sul vero
grande assente in tutti questi anni di dibattiti sul futuro digitale della
nostra PA: un vero piano industriale.
Perché se non stabiliamo una volta
per tutte “dove vogliamo andare”, quale PA e quale Sanità vogliamo per il
nostro Paese, quale ruolo affidiamo alle tecnologie dell’informazione,
qualsiasi ragionamento sulle cifre della spesa IT è rigorosamente inutile.
Possiamo immaginare un Paese che
ritorna alla carta uso bollo e alla ceralacca, e allora possiamo tagliare anche
dell’80% la spesa informatica avendo solo cura di capire cosa ne facciamo di
decine di migliaia di dipendenti che perdono il posto e di un centinaio di
aziende fallite.
Oppure possiamo immaginare di
andare a giocarcela con l’Estonia, e allora altro che tagli ai budget per
l’informatica.
Il “Piano Crescita Digitale”, in
questo senso, rappresenta la vera occasione perduta: ci si è concentrati
nell’elencare “cose da fare”, nella pressochè completa assenza di una visione
di insieme e – soprattutto – senza minimamente preoccuparsi di identificare
puntualmente i processi da razionalizzare e di tentare di definire il ritorno
puntuale di ogni singolo investimento da prevedere.
Così come nei vari documenti di
indirizzo in materia di spending review si è trascurato un serio
approfondimento sul tema vero:
quanto la spesa pubblica complessiva possa
ridursi a fronte di un completo ridisegno della PA in chiave digitale
.
Niente che si possa fare nello
spazio di un week-end, è ovvio: se l’obiettivo è quello di far cassa domani,
allora vanno benissimo i tagli, purchè si sia tutti quanti consapevoli degli
effetti.
A noi però piace pensare a un
Governo capace di svoltare per davvero: perché – parafrasando Crozza che parafrasa
Bersani – non è che se fai i Big Data coi fichi secchi poi quadri il bilancio
dello Stato.
Netics