Come spesso succede, molti degli spunti di queste poche righe nascono da conversazioni tra amici. La prima che ricordo è un hangout con Gianni Dominici, in cui si è parlato della prossima edizione del FORUM PA e di quanto sia importante affrontare, ancora una volta, l’argomento dei dati aperti; la seconda, in realtà, non è proprio una conversazione, ma un ragionamento costante con il mio “fratellino” Francesco Minazzi, con il quale da mesi ci divertiamo a fare le ipotesi giuridiche più disparate sui dati aperti, spesso tirando ad indovinare su quelle che saranno le questioni più dibattute.Ho raccolto, così, una serie di osservazioni, a mio avviso interessanti, su quelle che ritengo essere le problematiche giuridiche ancora irrisolte sui dati aperti, di cui non solo è bene parlare, ma di cui sicuramente si parlerà nell’immediato futuro.
Primo punto: le licenze
Per quanto la normativa, a partire dal
decreto legislativo n. 36/2006 – di recepimento della
Direttiva europea 2003/98/CE sul riutilizzo delle informazioni del settore pubblico – fino all’art. 68 del
Codice dell’Amministrazione digitale ci evidenzi la presenza di un quadro notevolmente stratificato in materia, molte restano le questioni irrisolte. Per esempio, se sia preferibile utilizzare una licenza tipo per tutti i dati, o se, piuttosto, la licenza vada scelta diversamente a seconda della tipologia dei dati che accompagna. Il problema principale sembra essersi spostato dal “perché una licenza aperta” a “quale licenza aperta”, e vede spesso contrapposti i sostenitori del pubblico dominio – o, meglio, della
pseudo-licenza cc0 – contro i sostenitori dell’attribuzione “a tutti i costi”, in qualsiasi forma (rectius: licenza) essa si manifesti – anche se chi scrive non ha mai nascosto una personale predilezione per la
cc-by.La questione si pone in termini ancora più ficcanti laddove si considerino gli OGD – i dati aperti governativi – e ci si chieda se sia possibile che la pubblica amministrazione – al di là del riferimento a presunti diritti morali (uso il termine “presunti” perché dovremmo definire, una volta per tutte, se operiamo nell’ambito dell’art. 5 della LdA o, invece, nell’ambito definito dall’art. 11 della stessa legge, o non, piuttosto, in una zona di confine/sconfinamento) rinunci ai propri diritti.Guardando all’Europa, il dubbio resta, laddove la direttiva di rifoma della PSI – la
2013/37/UE – parla di possibilità di attribuzione – senza incoraggiarla o escluderla – salvo poi sviluppare progetti come Europeana, basati sull’uso della cc0, con le problematiche che ben conosciamo in tema di diritti morali d’autore.
Rapporto tra dati e diritto d’autore
Secondo punto per connessione con quanto appena detto, in particolare riguardo alla multiforme composizione dei dataset – con licenze di input e di output – ai diritti morali, al diritto sui generis.
La questione si pone espressamente rispetto alla trasparenza, laddove l’art. 6 del
decreto legislativo n. 33/2013 obbliga ad una garanzia dei dati esposti talmente ampia, da rendere quantomeno necessario precisarne ogni singolo elemento. Cosa siano, quindi “l’integrità, il costante aggiornamento, la completezza, la tempestività, la semplicità di consultazione, la comprensibilità, l’omogeneità, la facile accessibilità, nonché la conformità ai documenti originali in possesso dell’amministrazione, l’indicazione della loro provenienza e la riutilizzabilità secondo quanto previsto dall’articolo 7” che l’amministrazione deve assicurare diviene oggetto di analisi e dibattito.Di conseguenza, in caso di mancanza di qualità e di danno prodotto a terzi, in quale tipo di responsabilità incorrerà la pubblica amministrazione che avrà rilasciato i dati? Civile, penale, amministrativa? In quali altre ipotesi la pubblica amministrazione verrà riconosciuta responsabile? Entro quali limiti?E come faranno le pubbliche amministrazioni e garantire, nel concreto, il rispetto dell’articolo 6 del decreto trasparenza?
Privacy
Un problema multiforme, che va analizzato non solo considerando la tipologia di dati da trattare e pubblicare/diffondere, ma anche e soprattutto il rapporto con il cloud, il G-cloud e la gestione dei database pubblici. Si pongono, quindi – e saranno sempre maggiori in futuro – problemi di accesso alle informazioni e di sicurezza di una enorme mole di dati, per la quale vanno stabilite specifiche procedure.
Punto direttamente collegato al precedente, soprattutto in relazione alle nuove figure professionali che opereranno sui dati delle pubbliche amministrazioni, e che saranno necessariamente chiamate a cooperare tra loro. Privacy officer, responsabile della trasparenza, responsabile anticorruzione, responsabile della pubblicazione dei dati, gestore dell’albo telematico, dovranno, a mio avvio, avere competenze specifiche non solo su quanto oggetto del loro incarico, ma sui dati e sulla loro natura e struttura, ed opereranno sempre più come strutture traversali all’interno delle amministrazioni di riferimento e dedicate esclusivamente a tale specifica attività.
Diritto di accesso civico
Nei prossimi anni la casistica ci dirà se e quanto verrà utilizzato, se le amministrazioni avranno ottemperato con regolarità (annuale, o tempestività, a seconda dei casi, alla pubblicazione di informazioni di qualità) o se, al contrario, saranno molte le istanze di accesso presentate e accolte. Interessante sarà anche verificare l’esito delle opposizioni all’eventuale diniego.
Diritto ai dati aperti
Nella forma di un interesse legittimo sotteso alla corretta ed integrale applicazione dell’art. 52 del Codice dell’amministrazione digitale, e la sua tutela in giudizio. Il Giudice amministrativo potrà utilizzare le misure atipiche previste dal nuovo processo amministrativo? lo vedremo.
Il titolare del dato
Il codice dell’amministrazione digitale utilizza la parola titolare con funzione polisemantica – titolare è chi forma il dato, ma anche chi lo detiene perché “lo tratta” ai sensi dell’art. 50. Aggiungiamo che il Codice privacy conosce un’altra definizione di titolare (del dato). Questo può creare difficoltà interpretative, alla luce della precisazione operata dall’art. 5, comma 4 del decreto legislativo n. 36/2006, per il quale “I poteri e le facoltà connessi al riutilizzo spettano unicamente al titolare del dato”, che è la “pubblica amministrazione o l’organismo di diritto pubblico che ha originariamente formato per uso proprio o commissionato ad altro soggetto pubblico o privato il documento che rappresenta il dato”.
I beni culturali
In un settore dove la commistione con le opere tutelate ed i diritti d’autore connessi è ancora più forte, più forti sono le resistenze, anche culturali, al rilascio dei dati in formato aperto ai sensi dell’art. 68 del Cad. In questo senso, un’operazione interessante è quella che abbiamo avviato con
Beniculturaliaperti.it, e che mira proprio a rendere fruibile quell’immenso giacimento di riccezza che è il nostro patrimonio culturale. La questione è giuridica, visto che la prima operazione condotta è stata, appunto, la predisposizione di alcuni emendamenti al Codice dei Beni culturali, il
decreto legislativo n. 42/2004.L’elenco potrebbe continuare, ma mi fermo qui. Quello che vorrei, adesso, è che su queste tematiche si portasse avanti una seria discussione su ogni possibile tavolo, e che da questi tavoli potessero uscire proposte e ipotesi di soluzione. Già a partire da sabato prossimo 22 febbraio (Open Data Day 2014).Morena Ragone è giurista, dottoranda di ricerca presso l’Università di Foggia, studiosa di diritto di Internet e delle nuove tecnologie, diritto d’autore, informatica giuridica, eGovernment e Open Govenment, ha approfondito le problematiche giuridiche connesse alla rete e ai nuovi media, nonché alla tutela e al trattamento dei dati personali. Sito www.morenaragone.it