Banda larga: in Italia ci va stretta?

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Qual è il livello dell’offerta relativa a questo servizio nel nostro Paese, anche rapportato alla situazione delle altre nazioni? E quali le conseguenze (non del tutto positive) che se ne posso trarre? A fronte di un buon attivismo in termini di velocità offerta e di costi, il quadro cambia notevolmente in termini di uso del mezzo e di sua corretta “conoscenza”. Questi sono solo alcuni dei dati che emergono grazie ad una comparazione fra diverse fonti e analizzati da FORUM PA in collaborazione con L’Infografico.

12 Marzo 2012

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Redazione FORUM PA

Articolo FPA

Un servizio che viene considerato “universale” in alcune nazioni europee – è l’esempio che viene da Svizzera, Spagna e Finlandia – come si presenta e come evolve in Italia? O ancora: il Paese che può vantare la realizzazione della connessione più veloce al mondo – pochi lo sanno: è proprio il nostro, ed è merito della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e del Cnit – come può essere che si ritrovi nelle “zone basse della classifica” in termini di suo uso e consumo? Stiamo parlando della banda larga, strumento recentemente passato al microscopio grazie alla comparazione di dati forniti da diverse fonti – Ocse, Istat, Eurostat, Dailynet, Nielsen Itu e Gfk – e analizzati da FORUM PA grazie alla collaborazione con L’Infografico.

E pensare che, tralasciando di tentare un raffronto con l’attivismo monstre della Svezia, i cui operatori sono capaci di arrivare a fornire fino a 40 Gbit/s di velocità, la nostra offerta del genere può addirittura raddoppiare esattamente quella che sono capaci di sostenere gli Stati Uniti – 102 Mbit/s contro 51 – e costare in media meno della metà, al mese, di quanto invece pesa per le tasche di un cittadino norvegese: 40 dollari contro 84 e rotti.

Il quadro muta sensibilmente se ad essere analizzata è la percentuale di popolazione che usa almeno una volta alla settimana Internet, e qui comincia senz’altro la nostra discesa nella classifica rispetto alle nazioni più industrializzate. Senza tener conto di situazioni che registrano praticamente il “tutto esaurito”, con abitudine alla connessione superiore al 90% (non sono poche né piccole, visto che comprendono fra le altre Olanda, Svezia, Danimarca e Norvegia), in Germania è l’83% degli abitanti ad usare il mezzo, negli Stati Uniti il 78, in Francia il 76; noi ci fermiamo al 62, un dato troppo basso anche se rapportato alla media dei 27 Paesi Ue, che tocca il 68.

Analizzando la situazione entro i nostri confini, è di notevole importanza scoprire che – contro un digital divide strutturale che impedisce al 7,4% della popolazione di usufruire di un collegamento oltre banda larga – soltanto il 52% degli italiani ne utilizza uno. Le utenze collegate sono, infatti, di poco superiori ai 39 milioni corrispondenti a circa l’88,3% delle imprese, mentre le famiglie si fermano al 45,8%. L’uso principale del mezzo vede l’invio di e-mail come sfruttamento principale (lo fa l’80,7 dei navigatori), ma anche la ricerca di informazioni (53,8%) e la partecipazione a social network (48,1%) rivelano dati interessanti, così come può invece preoccupare che solo l’8,9% scandagli internet per cercare lavoro, o addirittura che l’ancor più basso 8,6% lo faccia per “partecipare” alla vita pubblica.

Ad essere connessa in maniera soddisfacente è la maggioranza dei nostri connazionali, anche se risicata: il 52%; la quota restante prevede un 10% che lo può fare ma usufruendo di un servizio lento, mentre il resto – quindi il 38% – risulta del tutto scollegato. Secondo l’Istat è importante sapere che tra gli Italiani che non si sono collegati ad internet nemmeno una volta negli ultimi 12 mesi, il 41,7% semplicemente non sa come si fa, e al 26,7% pare addirittura non interessare per niente.

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