Barack e burattini. L’open politic di Obama e la distanza dell’Italia
Il 4 novembre scorso si è conclusa la battaglia politica che ha cambiato i confini della mappa elettorale statunitense, decretando la vittoria di Barack Obama. Quale ruolo ha avuto, durante la sua campagna elettorale, l’utilizzo di media non tradizionali, internet in testa? Quale il peso dato ai social network? E quanto è lontana l’Italia da questa impostazione, che vuole facilitare la partecipazione dal basso? Ne abbiamo parlato con Antonio Sofi, professore di Sociologia della Comunicazione all’Università di Firenze e autore di spindoc.it.
3 Dicembre 2008
Letizia Pica
Il 4 novembre scorso si è conclusa la battaglia politica che ha cambiato i confini della mappa elettorale statunitense, decretando la vittoria di Barack Obama.
Il New York Times il giorno successivo scriveva: “oggi è uno di quei momenti della storia in cui vale la pena di fermarsi a riflettere su alcuni fatti fondamentali. Un americano che si chiama Barack Hussein Obama, figlio di una bianca e di un nero, che a malapena ha conosciuto suo padre, che è stato cresciuto dai nonni, molto lontani dai centri del potere, è stato eletto quarantaquattresimo presidente degli Stati Uniti”. Certo passando per la carica di senatore dell’Illinois, certo muovendosi dall’interno del ventre politico, ma questo fatto da solo non giustifica e non basta a spiegare la vittoria, l’entusiasmo, la speranza.
L’alternativa che Barack Hussein Obama ha saputo proporre non garantiva di risolvere tutti i problemi del Paese, ma di agire laddove i singoli cittadini non potevano e non possono intervenire: nella regolazione dell’economia e nella definizione di politiche ambientali ed energetiche che promettono di risollevare il paese dalla crisi; puntando su una scuola che sia in grado di preparare i giovani a competere in un mercato globale; restituire al mondo l’immagine degli Stati Uniti come la culla della democrazia, annunciandone limiti nelle esportazioni.
Il tempo e i fatti ci diranno quanti di questi che sono solo alcuni dei punti del programma elettorale di Obama verranno realizzati, attraverso quali strumenti e con quali risultati. Sta di fatto che il filo rosso, lo slogan, di tutta la campagna elettorale è stato “change”, a cui rispondeva l’eco di milioni di cittadini “yes, we can”, come a racchiudere in una parola una promessa, e in questa un intero programma elettorale. E se le promesse dovranno superare il vaglio dei fatti, una prima e radicale novità è innegabile e risiede nell’uso, durante la campagna elettorale, dei media non tradizionali: internet in testa a tutti.
Un primo elemento estremamente significativo è che l’attività di fundraising di Obama, peraltro ancora in corso, è stata molto più efficace di quella dello sfidante McCain, grazie soprattutto alle donazioni pervenute attraverso il sito internet mybarackobama.com.
La coda lunga dei sostenitori ha contribuito a incoronare il futuro presidente, come il candidato da un miliardo di dollari.
Le potenzialità della rete sono state intuite e utilizzate con estrema professionalità dallo staff di Obama durante tutta la campagna elettorale. A partire da youtube su cui sono stati pubblicati spot elettorali e video, più o meno indipendenti, che hanno raggiunto milioni di utenti, praticamente a costo zero.
L’altra grande intuizione, perseguita con successo, è stata la possibilità di utilizzare i social network come strumento di diffusione, ad effetto moltiplicatore, di informazioni e messaggi in grado di raggiungere un pubblico vastissimo di internauti, distanti anche ideologicamente dai tradizionali mezzi di comunicazione di massa. A questo proposito abbiamo chiesto ad Antonio Sofi, professore di Sociologia della Comunicazione all’Università di Firenze e autore di spindoc.it, di fornirci una chiave interpretativa di questo fenomeno in cui il medium, oltre a essere messaggio diventa qualcos’altro, innescando meccanismi che seppure nati nella realtà e tra relazioni virtuali, si sviluppano e vivono nella first life.
“Dietro i nuovi media non c’era solo un nuovo canale, ma un blocco sociale in deficit di rappresentanza poiché nessuno fino ad allora era stato in grado di interpretarne lo stile di comunicazione. Si tratta, per lo più, di giovani con un buon livello di istruzione e che fanno un uso intenso delle nuove tecnologie. La campagna elettorale è stata il centro di gravità di tutte queste energie che si sono, poi, trasferite sul territorio.
La vera innovazione di Barack Obama è stata utilizzare questi nuovi media come facilitatori di partecipazione, in grado di sfruttare quei meccanismi psicologici che vanno dalla percezione di aumentata prossimità alla causa a cui si aderisce, fino all’intimità digitale che si stabilisce grazie ad essa. Obama ha saputo aprire le porte della partecipazione dal basso anche alla definizione dei temi e delle tappe della propria campagna elettorale, per esempio, attraverso un social network dedicato agli eventi, i cittadini hanno proposto i contenuti della discussione e contribuito a definirne le tappe.
Obama è riuscito a rendere i suoi sostenitori parte attiva della campagna elettorale, attraverso la promozione di iniziative, comitati e addirittura il porta a porta nelle ultime settimane”.
Lo stesso concetto è ripreso da un interessante articolo di Carola Frediani che evidenzia come "la campagna obamiana sviluppa strumenti web, li incorpora nell’ecologia della rete; ovvero utilizza perfettamente la sua grammatica e alla fine il discorso fila… Il passaggio dal digitale all’analogico, dalla chiacchiera internet ai discorsi tra la gente in carne e ossa, dai clic del mouse alle nocche battute sulla porta è stato fatto. Internet, con la sua ubiquità e i suoi multiformi mezzi, è come se avesse "pompato" le conversazioni analogiche con steroidi digitali. La barriera tra online e offline, da sempre temuta, ma anche da sempre un poco fittizia, è stata abbattuta”.
Change.gov: un nome, un programma.
“Change.gov fornisce le risorse per comprendere meglio il processo di transizione e le decisioni prese in questa direzione. Costituisce, inoltre, un’opportunità di ascolto delle vostre idee su come fronteggiare le sfide che il Paese dovrà affrontare. L’amministrazione di Obama serberà una lezione essenziale derivata dal successo della campagna elettorale: le persone unite intorno a scopi comuni possono ottenere grandi risultati” si legge in una pagina del sito change.gov che accompagnerà il processo di transizione presidenziale.
Compito del sito è da un lato di comunicare in modo informale il processo di transizione, dall’altro di non disperdere e, anzi, tenere vivo l’ampio bacino di partecipazione dal basso.
Change.gov offre ai propri utenti la possibilità di proporsi per diventare parte del personale del team governativo Obama – Biden. Attraverso la compilazione di un modulo online, gli interessati possono candidarsi per le posizioni lavorative disponibili a partire dall’insediamento di Obama.
Di contro a questa iniziativa di reclutamento, degna della Nike o di Procter & Gamble, la veste è molto meno "2.0" delle precedenti iniziative: i contributi sono raccolti attraverso moduli online, non visibili agli elettori fino, presumibilmente, all’approvazione dello staff.
L’agenda politica, in un primo momento trasferita pedissequamente dal sito della campagna elettorale a change.gov è stata successivamente rimossa e poi reintegrata in versione ridotta. Il motivo? “Si è trattato di un errore procedurale – spiega Antonio Sofi – la legge americana non consentiva, infatti, ai siti web governativi di copiare i contenuti di un siti di campagna elettorale perché questi sono sostenuti da finanziamenti pubblici. Così hanno tolto le pagine di programma, le hanno riaggiustate e messe online”.
Al di là del singolo episodio che pure aveva scatenato un gran parlare tra bloggers e abitanti attivi della rete, è certo cosa ben diversa mobilitare forze dal basso per una vittoria elettorale dal portare avanti un’open politic sostanziale, libera da proclami. Obama non potrà trascurare la base elettorale che lo ha sostenuto e che si aspetta azioni coerenti con le aperture annunciate: a cominciare dal gruppo OpenGovernment.us – composto da Doris Lessig, tra i fondatori dei Creative Commons, dagli attivisti di MoveOn.org, dall’evangelista del web 2.0 Tim O’Reilly, da Jimmy Wales di Wikipedia, da Mozilla e molti altri ancora – che ha inviato alla squadra di Obama una lettera aperta, in cui si chiede che vengano sempre adottati tre principi-base per agevolare la condivisione e la circolazione dei contenuti creati durante il periodo di transizione.
Come a dire: la rete non dimentica.
Barack e burattini
E noi quanto siamo lontani da questo modello?
“Anni luce – risponde Antonio Sofi. Obama viene citato, più o meno a proposito, da molti, solo che viene preso a modello il suo carisma senza considerare l’aspetto più importante che risiede nell’innovazione delle prassi politiche che egli ha introdotto. Il modo in cui Obama ha condotto la campagna elettorale è coerente con quello con cui sta iniziando questo interregno. Una open politic che si spera diventerà un open government, aperto alla rete, alla dinamica di internet, al feedback e all’interazione con i cittadini. In Italia oltre alla difficoltà di decollo dei progetti di e-government sembra non esserci neanche attenzione per gli aspetti comunicativi, politico-elettorali che in teoria potrebbero essere efficaci.
Durante l’ultima campagna elettorale il PDL ha scelto di non usare i nuovi media, tranne che per mettere in piedi la Tv delle Libertà, prontamente spenta dopo le elezioni.
Il PD ha provato ad attivare i network sociali, ma l’impatto è stato pressochè nullo anche perché la macchina si è attivata tardivamente. In Italia non mancano solo le idee manca anche un blocco sociale di persone che, consapevole dell’uso di internet, voglia partecipare e magari anche farsi influenzare. In America si è parlato del coinvolgimento nella campagna dei millennials, la generazione dei 18/25 enni che erano al primo voto e che hanno partecipato alla campagna in maniera forte. Evidentemente in Italia manca questo blocco coeso di persone che non è emerso".
Quindi non dobbiamo preoccuparci solo dei recenti dati Eurostat che vedono l’Italia recedere al terzultimo posto in Europa nella diffusione di internet, il nostro è anche un ritardo sociale?
"Le due cose sono strettamente interrelate. I mellennials sono una generazione che è molto definita, tra le altre cose, da una specifica fruizione mediale e tecnologica, dichiaratamente caratterizzata dal rifiuto di televisione e quotidiani, ma altamente fidelizzata all’uso delle tecnologie sociali. Il ritardo tecnologico e infrastrutturale ha portato alla difficoltà di emersione di questo blocco elettorale che d’altronde neanche negli Stati Uniti era così compatto quattro anni fa".