Brunetta e internet sul posto di lavoro. Ma insomma: si può chattare o no?
Il 27 maggio il Ministro per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione Renato Brunetta ha firmato una direttiva che regola l’utilizzo di internet e dell’e-mail dal luogo di lavoro per i pubblici dipendenti, incaricando le amministrazioni di stendere delle vere e proprie black list di siti vietati.
3 Giugno 2009
Tommaso Del Lungo
Il 27 maggio il Ministro per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione Renato Brunetta ha firmato una direttiva che regola l’utilizzo di internet e dell’e-mail dal luogo di lavoro per i pubblici dipendenti, incaricando le amministrazioni di stendere delle vere e proprie black list di siti vietati.
È della settimana scorsa la direttiva del Ministro Brunetta dal titolo: “Utilizzo di internet e della casella di posta istituzionale sul luogo di lavoro”. Intendiamoci, non si tratta di nulla di drammatico o di lesivo delle libertà civili come qualcuno ha paventato.
Nella direttiva Brunetta si fa semplicemente riferimento al fatto che un pubblico dipendente non può e non deve utilizzare risorse dell’amministrazione per fini personali e, a tale proposito, l’amministrazione stessa è “obbligata” a vigilare, ovviamente nel rispetto delle norme sulla tutela della privacy della “dignità” del lavoratore. In questo senso, quindi, gli intenti del documento vanno intesi, probabilmente, come un monito alle amministrazioni a non adottare comportamenti repressivi o lesivi nei confronti dei dipendenti seguendo le indicazioni del Garante.
Tuttavia occorre fare una distinzione tra gli intenti della comunicazione e i pericoli derivanti da una possibile interpretazione letteraria della stessa da parte delle amministrazioni.
I primi infatti sono sicuramente positivi: oltre a contenere un richiamo al “datore di lavoro” a sistemi lesivi della libertà personale, la Direttiva afferma che il tempo trascorso su internet non è necessariamente un danno per il sistema pubblico e, anzi, potrebbe essere un fattore incentivante per i dipendenti. Da tempo, infatti, il canone internet è quasi esclusivamente “flat” e, quindi, indipendente dal traffico e dal tempo di utilizzo. In particolare nel documento si legge esplicitamente che “…l’utilizzo di internet per attività non legate ai compiti istituzionali potrebbe essere regolamentato e consentito per assolvere incombenze o adempimenti burocratici senza allontanarsi dai luoghi di lavoro”. È il caso di adempimenti on line con la pubblica amministrazione, con banche o assicurazioni che potrebbero, quindi, essere permessi a patto che occupino un periodo di tempo “strettamente necessario allo svolgimento delle transazioni”.
Appurato ciò, tuttavia non si può tralasciare che nel punto tre della Direttiva il Ministro elenca quali utilizzi di internet sono vietati:
- visione di siti non pertinenti
- upload e downolad di files
- uso dei servizi di rete con finalità ludiche
A tal proposito si “raccomanda all’amministrazione di dotarsi di soluzioni software idonee a impedire l’accesso ai siti internet aventi contenuti e/o finalità vietati dalla legge”.
Ora, a parte le difficoltà terminologiche che si incontrano nello stabilire i siti pertinenti e no, o nell’individuare che tipo di file è possibile scaricare e quale invece no (difficoltà che la direttiva lascia completamente alle singole amministrazioni), una lettura esclusivamente formale della direttiva potrebbe far prevalere questa parte “distruttiva” su quella più propositiva che abbiamo poc’anzi illustrato.
In parole povere, sembrerebbe che il Ministro voglia dire: “Cari amministratori fate attenzione perché andare su internet non equivale ad essere fannulloni, però ricordatevi di controllare che i veri fannulloni, non utilizzino internet per il proprio tornaconti personali”.
Una distinzione un po’ troppo sottile, soprattutto per l’organizzazione attuale della PA.
L’unico modo per misurare l’eventuale “fannullonaggine” dei lavoratori e punirla, è, infatti, valutare il risultato. Se un dipendente raggiunge tutti gli obiettivi che gli sono stati assegnati, al cittadino, e quindi al dirigente e al Ministro stesso non interessa se quel dipendente passa mezz’ora al giorno su facebook o sul suo blog. Ma allo stato attuale, come abbiamo più volte ripetuto, in una pa, dove è quasi completamente assente una cultura del risultato e della misurazione ex post sul raggiungimento degli obiettivi, come si possono valutare il merito o il torto di ciascun lavoratore?
Stando così le cose il vero rischio è che, ancora una volta, si identifichi lo strumento con il male e si arrivi ad una demonizzazione di internet mandando all’aria tutti i discorsi sulla creazione di una cultura dell’amministrare 2.0 che vede nella rete non una perdita di tempo, ma una risorsa per la pa, una possibilità per stabilire un contatto vero e utile, non solo tra le proprie strutture e i cittadini, ma anche tra i propri dipendenti.
Intranet aziendali in cui i funzionari dialogano e si supportano l’un l’altro svolgendo un ruolo di “micro helpdesk” o “micro formazione” completamente auto organizzata e volontaria; comunità di pratica in cui si condividono progetti e visioni e nascono sinergie; azioni di comunicazione e di e-democracy in cui l’amministrazione esce dal "burocratese" e si trova a dialogare con la gente, ascoltandola e dando risposte, sono esperienze che più di una volta ci siamo trovati a raccontare come FORUM PA. Bene, tutta roba nata da strumenti ludici come il blog, facebook, youtube, la chat, twitter, e via di seguito, ma nata in contesti dove la cultura del risultato è radicata e dove vengono soddisfatte due condizioni fondamentali di partenza:
1 – la presenza di obiettivi di risultato individuati dall’amministrazione;
2 – l’interesse, da parte della dirigenza e della politica, a verificare questi obiettivi.
Fare in altro modo non è possibile.
Scarica la direttiva 02/2009 del Ministro per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione: “Utilizzo di internet e della casella di posta istituzionale sul luogo di lavoro”