Cad, tutte le figure previste per la conservazione e la gestione dei documenti

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Nonostante non fosse tra le principali materie oggetto di delega, è proprio la conservazione a ricusare uno dei contraccolpi più significativi nella revisione governativa del CAD , nonostante il parere negativo già espresso dal Consiglio di Stato

21 Settembre 2016

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Luigi Foglia a Francesca Cafiero Digital&Law Department, Studio Legale Lisi, Ufficio di Presidenza ANORC Professioni

Corsi e ricorsi storici: la teoria del filosofo Giambattista Vico troverebbe oggi, nel testo di modifica del Codice dell’Amministrazione Digitale, una delle sue più clamorose conferme. Secondo il giurista partenopeo il progresso procede attraverso il ripetersi ciclico dei medesimi accadimenti , le cui dinamiche tornano a riproporsi a distanza di tempo in base a un preciso disegno, dettato dalla provvidenza. Circa un anno fa veniva affidata al Governo la delega per revisionare il Codice dell’Amministrazione Digitale e allinearlo con quanto previsto dal Regolamento europeo 2014/910/UE, così detto eIDAS, nel frattempo entrato in vigore. Tuttavia sembrerebbe che l’attività di aggiornamento sia andata ben oltre i propositi iniziali, innescando invece una rivisitazione del testo di portata decisamente più ampia , culminata con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale di un decreto, il d. lgs. n.179 del 26 agosto 2016. Questa pubblicazione è stata peraltro preceduta dalla sospensione dell’obbligo per le amministrazioni pubbliche di adeguare i propri sistemi di gestione informatica dei documenti all’articolo 17 del DPCM 13 novembre 2014 (obbligo che sarebbe scattato il 12 agosto 2016), nell’attesa che vengano emanate delle regole tecniche aggiornate e coordinate al nuovo testo del CAD. Occorre, tuttavia effettuare una precisazione: secondo le “Disposizioni di coordinamento” riportate all’art. 61 si prevede di fatto la sola sospensione dell’obbligo di adeguamento dei sistemi di gestione ai dettami delle suddette regole tecniche , le quali restano invece pienamente in vigore, assieme ai due dpcm del 3 dicembre 2013 in materia di protocollo e conservazione.

Nonostante non fosse tra le principali materie oggetto di delega, è proprio la conservazione a ricusare uno dei contraccolpi più significativi nella revisione governativa del CAD , nonostante il parere negativo già espresso dal Consiglio di Stato in merito alla modifica degli artt. 43 e 44, attuata rispettivamente con gli artt. 35 e 36 del nuovo decreto.

> Questo articolo è parte del dossier “Speciale Cad. Inizia la fase attuativa, l’analisi di FPA e dei nostri esperti”

Con l’introduzione del comma 1-bis nell’articolo 43 si dispone la cessazione dell’obbligo di conservazione del documento informatico a carico dei cittadini e delle imprese, nei casi in cui esso sia già conservato per legge da una Pubblica Amministrazione , alla quale è possibile richiedere in ogni momento l’accesso [1] al contenuto informativo preservato. A questo punto interviene il ricorso storico: sembrerebbe che il legislatore si sia preoccupato di far ripercorrere agli archivi pubblici informatici lo stesso iter attraversato da quelli analogici nel corso di millenni , riportando in auge il concetto di arkheion (ἀρχεῖον) ossia l’antesignano greco del romano archivium, la roccaforte del potere politico, unico luogo deputato ad accogliere i pubblici archivi, affinché i documenti acquisissero la «pubblica fede». Ebbene, stando al contenuto del nuovo comma, tale facoltà è ben lungi dal rappresentare un alleggerimento degli oneri a carico del cittadino [2], specie in caso di contenzioso con la Pubblica Amministrazione, che sarebbe nello stesso tempo controparte e unica depositaria della documentazione processuale. Questa disposizione deve essere contestualizzata poi nello scenario reale, nel quale si è ben lontani dal poter contare capillarmente su sistemi archivistici in linea con le disposizioni delle regole tecniche e in grado di garantire con sufficiente credibilità al cittadino l’immodificabilità, la reperibilità e l’accessibilità al documento. Il comma 1-bis sembra quindi sgretolarsi assieme a quella stessa roccaforte amministrativa che pretende di ergere, una roccaforte che nella maggioranza dei casi non dispone ancora nello specifico di adeguati processi di conservazione digitale, la cui architettura, ben delineata nelle regole tecniche emanate con dpcm del 13 dicembre 2013, dovrebbe ormai essere operativa a livello interno o quanto meno, attiva come servizio esternalizzato [3].

Il decreto rivela anzi dei pericolosi cedimenti proprio rispetto all’impostazione e all’interazione delle architetture dei sistemi di gestione e conservazione, la cui descrizione dei requisiti, nell’art.44, lascia spazio a non poche perplessità.

Il legislatore ha introdotto il concetto di “gestione” dei documenti informatici, di cui il CAD risultava di fatto deficitario nella sua precedente impostazione nella quale erano definiti solo i requisiti per la conservazione. Nel tentativo di riequilibrare la descrizione dei due sistemi, logicamente e operativamente distinti, si finisce per equipararli, lasciando quasi intendere che si opti per una reductio ad unum, riferendosi nel comma 1 a un generico «sistema di gestione informatica e conservazione», i cui requisiti risultano del tutto sbilanciati in favore delle funzionalità della sola fase gestionale.

La complicazione dello scenario si aggrava tuttavia con la definizione delle responsabilità del servizio, contenuta del comma 1-bis, che prevede la figura di «un responsabile» (del sistema di gestione e conservazione, dunque unico?) che operi «d’intesa con il dirigente dell’ufficio di cui all’articolo 17 del presente Codice, il responsabile del trattamento dei dati personali […] e con il responsabile del sistema di conservazione dei documenti informatici, nella definizione e gestione delle attività di rispettiva competenza». Stando ai contenuti del comma, si distinguerebbero perciò almeno quattro figure demandate a interfacciarsi tra loro:

  • responsabile del sistema di gestione
  • dirigente dell’ufficio di cui all’articolo 17 (il corrispettivo del Chief Digital Officer della PA)
  • responsabile del trattamento dei dati personali
  • responsabile del sistema di conservazione (che, come suggerito dalle regole tecniche, può coincidere con il responsabile della gestione).

Sembra necessario, a questo punto, operare un richiamo al contenuto delle regole tecniche in materia di conservazione dove, tralasciando le altre figure che concorrono nella gestione dei sistemi, si distinguono nello specifico i seguenti ruoli di responsabilità, per il sistema di conservazione:

  • Responsabile della conservazione (rispetto al quale occorre distinguere il Responsabile del servizio esterno di conservazione) e per il sistema di gestione:
  • Responsabile del sistema di gestione
  • Coordinatore del sistema di gestione, ove nominato

Il “misterioso” responsabile descritto all’art. 44, demandato a presiedere un solo complesso sistema – peraltro inesistente dal momento che, è bene ribadirlo ancora una volta, si tratta di due sistemi logicamente distinti – corrisponderebbe al solo Responsabile della gestione documentale, che compare nella chiosa del comma 1-bis, laddove si prevede che, ribadendo quanto già previsto dall’art. 67 del TUDA (DPR 445/2000), «almeno una volta all’anno il responsabile della gestione dei documenti informatici provvede a trasmettere al sistema di conservazione i fascicoli e le serie documentarie anche relative a procedimenti conclusi». Occorre inoltre ribadire che solo in taluni casi i due ruoli di responsabile della gestione e della conservazione, tra loro ben distinti, possono essere rivestiti dalla stessa persona, stando ai dettami dell’art. 7, comma 4 delle suddette regole tecniche.

È difficile comprendere le ragioni per le quali il legislatore abbia deciso di concentrare la descrizione di due sistemi, così complessi, in un unico articolo, anziché preferire una disamina ordinata in due articoli distinti affinché le due descrizioni non dovessero “sgomitare” per prevalere tra loro, ma avessero ciascuna, la propria identità e dignità [4]. Inoltre, il sistema di gestione informatica dei documenti risultava già compiutamente disciplinato dal DPR 445/2000, art. 61 e seg., che non risulta peraltro nemmeno abrogato.

È evidente a questo punto in che misura ci si sia spinti oltre i propositi della delega iniziale. Assistendo agli attuali corsi e ricorsi storici che caratterizzano le dinamiche evolutive della PA, si può quantomeno tentare di non considerare passivamente l’iter dell’ultimo anno come quello definitivo per l’evoluzione dello scenario digitale: questo ultimo tassello sembra purtroppo non contribuire in maniera convincente a sciogliere dei nodi che oggi il cittadino incontra nell’interazione con la PA e che comportano serie conseguenze per la conservazione della memoria digitale.



[1] Il Legislatore utilizza, non si sa quanto consapevolmente, il termine “accesso” richiamando il concetto di accesso agli atti amministrativi di cui alla legge 241/90 che, lo ricordiamo, prevede il vaglio della richiesta da parte della PA con la possibilità di opporre a essa un rifiuto. Probabilmente sarebbe stato preferibile utilizzare un altro termine, prevedendo una procedura di acquisizione facilitata nei casi in cui la conservazione effettuata dalla PA faccia decadere l’obbligo di conservazione da parte dei cittadini.

[2] Una delle semplificazioni più attese era quella relativa all’eliminazione dell’obbligo di conservazione della FatturaPa da parte dei privati. Il nuovo art. 43 del CAD, però, per espressa previsione dell’art. 2 dello stesso CAD, non si applica all’esercizio delle attività e funzioni ispettive e di controllo fiscale che, quindi, si effettueranno ancora sulla base della documentazione fiscalmente rilevante conservata dal contribuente a norma del DPCM 17 giugno 2014.

[3] Secondo il Dpcm 13 dicembre 2013, art.5, comma 2: la conservazione può essere svolta o all’interno della struttura organizzativa del soggetto produttore dei documenti informatici da conservare o affidata, in modo totale o parziale, ad altri soggetti pubblici o privati (che, val la pena di ricordarlo, dovranno essere accreditati ai sensi dell’art. 44.bis del CAD).

[4] Un tale “minestrone” è ancor meno giustificabile specie in relazione all’introduzione di modelli di matrice internazionale in ambito conservativo, quali l’OAIS (Open Archival Information System), collaudati a livello nazionale e il cui sviluppo sembrava oramai pienamente avviato, grazie anche al lavoro di implementazione attraverso standard di settore appositamente ideati.

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