Ci si è resi conto che lavorare a distanza non porta problemi di efficienza, eppure ci si è arrivati tardi. Questo perché i processi di trasformazione sono lunghi e, anche se la pandemia ha velocizzato il tutto, dobbiamo ancora abbandonare la logica del determinismo tecnologico in favore di una visione per cui la tecnologia può influenzare in meglio il cambiamento sociale
11 Novembre 2020
Redazione FPA
Uno degli elementi positivi derivati dalla gestione della pandemia è la presa di coscienza che lavorare a distanza non solo è possibile, ma influisce anche positivamente sui livelli di efficienza. E’ diventato anche evidente come il sistema sanitario nazionale non sia stato sostenuto nel corso degli ultimi anni, arrivando così impreparati alla gestione dell’emergenza, cosa che non è accettabile.
In questa puntata Gianni Dominici intervista Claudio Marciano, sociologo e professore all’Università di Torino e all’Università della Valle d’Aosta, esperto di Smart Cities e studioso di tutte le tematiche che ruotano intorno all’innovazione nella pubblica amministrazione, competenza che prova a mettere in pratica nella sua esperienza come consigliere comunale nella città di Formia.
Nell’ormai lontano 2013, Marciano scrisse un paper dal titolo “Chi ha paura del telelavoro?” mettendo per iscritto una ricerca condotta su circa settemila dipendenti e mostrando come solo una piccolissima parte di questi fosse favorevole al lavoro a distanza. “Nessuno aveva colto il potenziale del telelavoro” dice Marciano, in primis i sindacati che si lasciarono sfuggire il potenziale emancipante legato alla conciliabilità dello Smart Working, ma anche i dirigenti e in generale le figure apicali delle aziende che chiedevano sempre 2-3 sostituti per ogni dipendente che veniva inserito in regime di telelavoro, come a significare che lavorare da casa corrispondesse a non lavorare. “Non c’è però nessun motivo per averne paura” continua Marciano, per nessuno degli attori, in quanto per i sindacati si aggiunge la questione della qualità del lavoro, e per i datori di lavoro si apre un nuovo approccio alla produttività.
Tutto questo si lega indissolubilmente al futuro delle città in ottica smart: grazie al telelavoro le persone potrebbero tornare a vivere nel posto in cui decidono effettivamente di vivere e non a doversi spostare in virtù di una buona occupazione. Questo rilancia il rapporto tra città e provincia, tra centro e periferia, riproponendo il tema della tecnologia al servizio del cambiamento sociale. Bisogna infatti far capire che il concetto della Smart City è lontano dalla visione futuristica e ipertecnologica spesso rappresentata e che invece tratta di un modello sociale costruito dal basso, che punta alla risoluzione di problemi comuni grazie all’intelligenza collettiva dei cittadini mediata dalla tecnologia. “Serve però – conclude Marciano – una ridefinizione dei livelli di governo che dia maggiore autonomia agli enti locali” in quanto veri sensori delle necessità delle persone, il che permetterebbe, insieme ad un adeguato rafforzamento della formazione dei dirigenti in materia di sistemi anticipatori, di mettere in pratica l’agenda di obiettivi che il nostro tempo ci richiede.