Cloud e datacenter, la lezione che la moda può dare alla PA
La rivoluzione digitale nel paese ha bisogno di soluzioni di pronto moda, mentre la pubblica amministrazione, le imprese e il mercato si ostinano a confezionare soluzioni di sartoria su misura. Tre passi necessari per una svolta
1 Dicembre 2016
Andrea Nicolini, Cisis
Mi occupo seriamente di informatica da trent’anni, da quando ho iniziato a frequentare le lezioni all’università di Scienze dell’Informazione a Pisa in una sede che mi colpì particolarmente essendo ricavata negli stabilimenti di una ex fabbrica.
Nei mesi scorsi ho ripensato a quella ex fabbrica durante un convegno di CantieriPA nel quale coinvolto in un confronto serrato sulle motivazioni dello scarso successo del riuso nell’innovazione digitale della PA non riuscendo ad illustrare bene le ragioni dell’oggettiva difficoltà di riusare le buone pratiche, ho fatto ricorso ad una similitudine richiamando la rivoluzione avvenuta a metà del secolo scorso nel campo della moda.
La similitudine ha riscosso un discreto successo e per questo provo a farne un breve approfondimento in queste poche righe.
Il pronto moda italiano nasce intorno al 1960 e riprende il prêt-à-porter francese nato al termine della seconda guerra mondiale portato dagli americani che avevano creato, dopo la grande crisi economica del 1929, il ready-to-wear.
Gli americani molto colpiti da quella crisi economica imposero forti misure restrittive sulle importazioni di alcuni generi fra cui gli abiti e i tessuti europei a tal punto che, anche a causa delle turbolenze politiche di quel tempo in Europa, azzerarono i commerci di tali generi fra le sponde dell’atlantico.
Nacque così una industria americana di abbigliamento popolare, rivolta alla massa, denominata ready-to-wear perché era di facile e veloce produzione e soprattutto pronta ad essere indossata e nella quale il tempo fra la ideazione e la commercializzazione dell’abito veniva drasticamente ridotto, da un anno a pochi mesi.
Il perno della rivoluzione della sartoria in quegli anni è l’introduzione delle taglie standard, che non solo modifica i processi produttivi, rendendoli industrializzabili, ma permette la creazione dei negozi prima e dei grandi magazzini poi di abbigliamento ed avvia un cambio epocale culturale che ribalta il rapporto fra la persona e l’abito, prima l’abito era creato secondo le specifiche misure della persona, dopo sono le misure personali che cercano di adattarsi alle taglie dell’abito (devo assolutamente entrare in quella 48).
Credo sia evidente a tutti come le attuali soluzioni di informatizzazione della PA siano in tutto e per tutto produzioni artigianali fatte su misura della singola PA che ha personalizzato i processi in virtù di una errata doppia interpretazione: primariamente del concetto di autonomia organizzativa, sacrosanto nei suoi principi, ma non nella sua smisurata e smodata applicazione, e secondariamente del concetto di informatizzazione che troppo spesso è divenuto semplice digitalizzazione del processo analogico.
Questo spiega le difficoltà di adottare davvero il riuso, del resto con la sartoria artigianale i vestiti non venivano riusati, semplicemente venivano smontati e ritagliati sulle misure della persona che li doveva indossare, quindi in sostanza rifatti, come sanno bene i sarti e le sarte di allora, solo ora con le taglie standard i vestiti vengono davvero riusati.
Ma altrettanto errate risultano essere le periodiche proposte di soluzioni uniche centralizzate nazionali, palesemente inadeguate ad assecondare un mondo della pubblica amministrazione nel quale si trovano enti con meno di dieci dipendenti ed enti con alcune migliaia di dipendenti, come se tutta la popolazione dovesse vestirsi con un vestito di taglia unica elastico e dello stesso colore.
La soluzione quindi non può essere che l’adozione di un insieme di servizi standard che offrono funzionalità secondo le diverse tipologie di enti e che sono prodotti ed erogati da una pluralità di soggetti del mercato privato e pubblico, esattamente le caratteristiche del mondo cloud che già oggi lavora in questa logica e che già oggi ha drasticamente abbattuto i tempi di dispiegamento delle soluzioni e degli aggiornamenti.
Del resto tutti noi abbiamo sotto gli occhi tale evoluzione nel mondo privato, solo che non la percepiamo in modo così netto, come definire altrimenti ad esempio il mondo dei sistemi e dei servizi di posta elettronica?
Pochi ricordano come fino a qualche anno fa i client di posta elettronica fossero una grande moltitudine ciascuno con specifiche peculiarità e come fosse facile realizzare in autonomia un piccolo client, poi però l’arrivo di pochi servizi in cloud di posta elettronica ha fatto si che tutti li adottassero e ci si adattassero, come ci si adatta da tempo alla taglia di riferimento, in nome della facilità e praticità d’uso.
Quindi il modello adottato dalla moda potrebbe adattarsi alla digitalizzazione della PA e del paese, del resto la crisi economica del 2008 tuttora in corso è stata spesso accostata alla crisi del 1929 e quindi le analogie possono essere ancora più forti, i principali passi potrebbero essere:
• La definizione di una strategia nazionale (il piano triennale ICT?) che preveda il finanziamento per lo sviluppo da parte del mercato (eliminiamo lo sviluppo interno nelle PA e nelle in house è ancora sartoria artigianale diseconomica nella PA) di un insieme contenuto di servizi principali in cloud di facilissimo utilizzo, sicuri ed integrati con le infrastrutture immateriali, e nativamente strutturati per le diverse tipologie di pubbliche amministrazioni (taglie standard);
• Un marketplace o un insieme di marketplace (negozi o boutique e grandi magazzini) che permettano il facile accesso delle PA ai servizi, al loro test e se di interesse al loro acquisto, modificando ed adeguando il codice degli appalti (le forme contrattuali freemium, gratuite prima e a pagamento poi all’aumentare dell’utilizzo, tipiche del cloud sono attualmente impossibili da adottare nella PA a normativa vigente);
• Un’azione di facilitazione alla gestione del cambiamento nelle PA, attraverso la comunicazione (come la pubblicità per la moda), ma soprattutto attraverso una rete di centri di competenza diffusi sul territorio che possano aiutare le tante amministrazioni pubbliche ad adattare i propri processi alla nuova “moda”.
Le analogie e i suggerimenti sarebbero molti altri (la diffusione e la scomparsa delle macchine da cucire nelle singole case, al pari dei linguaggi di programmazione sequenziali nei singoli PC), ma saranno oggetto di un ulteriore approfondimento.
A questo punto un’ultima curiosità, perché ho ripensato all’università nella ex fabbrica?
Perché era la sede della Marzotto la più grande azienda italiana di pronto moda, in pratica il luogo dove in Italia è stato al meglio applicato quel nuovo paradigma ideato dagli americani.
“Di nuovo, non è possibile unire i puntini guardando avanti; potete solo unirli guardandovi all’indietro.” Steve Jobs