Codice appalti, il digitale una beffa: se ne parla (forse) nel 2018

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In alcuni casi le stazioni appaltanti non sono obbligate a richiedere mezzi di comunicazione elettronici, una comoda scorciatoia per la PA che anziché perseguire la strada dell’innovazione, decida di restare sul vecchio modello organizzativo

8 Giugno 2016

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Stefano Ricci, Università degli Studi dell’Insubria e Alice Castrogiovanni, avvocato

Il Codice dei Contratti pubblici, di cui al D. Lgs n. 163/2006, utilizzato per definire le norme sulle procedure ad evidenza pubblica, poteva essere un modello compiuto di riferimento organizzativo in tema di procedure digitali.

Purtroppo non è stato così ed è forse per questo (il “forse” è doveroso) che di recente il Parlamento, con la l.d. n. 11 del 28 gennaio 2016, ha delegato il Governo a rivedere l’impianto delle procedure ad evidenze pubblica affermando l’obbligo della piena digitalizzazione secondo i principi di semplificazione, armonizzazione e progressiva digitalizzazione delle procedure.

In particolare, l’intento dichiarato della riforma è quello di favorire, in materia di affidamento degli appalti pubblici e dei contratti di concessione, la creazione di reti e sistemi informatici che possa agevolare l’accesso alle micro, piccole e medie imprese, consentire soluzioni innovative e valorizzare l’innovazione tecnologica e digitale.

In breve, i vantaggi conclamati della digitalizzazione, si possono così riassumere:

  • semplificazione delle procedure,
  • minori costi per l’Amministrazione,
  • rilancio dell’economia e concorrenza nel settore.

Il nuovo Codice dei Contratti pubblici approvato in sede preliminare dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 3 marzo scorso, in attuazione della legge delega n. 11 del 28 gennaio 2016, dovrebbe andare in questa direzione. Il nuovo Codice, per un verso, sembra dare una risposta alle più attuali domande di efficienza e trasparenza delle procedure ad evidenza pubblica, in quanto impone alle stazioni appaltanti l’ obbligo di una piena digitalizzazione delle procedure.

Sembra… eppure, a ben guardare, pare che qualcosa sia andato storto.

Ed infatti, ad una lettura più critica delle nuove disposizioni, la piena digitalizzazione delle procedure appare ancora una volta differita, depotenziata, se non addirittura imbrigliata in deroghe che consentono la sopravvivenza delle gara in modalità cartacea.

Il nuovo art. 44 dello schema del Decreto dispone che: entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente codice, con decreto del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentita l’AGID, saranno definite le modalità di digitalizzazione delle procedure di tutti i contratti pubblici, anche attraverso l’interconnessione per interoperabilità dei dati delle pubbliche amministrazioni”.

Il fine dichiarato di una maggiore semplificazione, trasparenza e concorrenza delle procedure è dunque rinviato al 2017.

E se, poi, a voler essere pessimisti, il Decreto contenente le modalità di digitalizzazione non venisse emanato entro un anno dall’entrata in vigore del Codice? In quel caso le procedure ad evidenza pubblica continuerebbero a svolgersi in modalità non necessariamente digitale.

Non solo. L’art. 131, in tema di invito delle imprese concorrenti, specifica: “nelle procedure ristrette, nel dialogo competitivo, nei partenariati per l’innovazione e nelle procedure competitive con negoziazione, gli inviti se non sono stati resi disponibili in formato digitale verranno inviati in formato cartaceo”.

In sostanza, la previsione rinvia all’ordinamento delle singole amministrazione che potranno continuare, in barba alla piena digitalizzazione prevista per il 2017 , a utilizzare il modello organizzativo previgente, bandendo gare in via cartacea. Il rischio che anche stavolta l’intento della riforma si traduca in un’occasione mancata è confermato poi dagli artt. 40 e 52 del nuovo schema di decreto. Il primo rinvia al 18 ottobre 2018 la piena digitalizzazione delle comunicazioni e degli scambi di informazioni nell’ambito delle procedure ad evidenza pubblica.

Il secondo articolo citato, dopo aver precisato che tutte le comunicazioni e gli scambi di informazioni di cui al nuovo Codice dei contratti sono eseguiti utilizzando mezzi di comunicazione elettronici, aggiunge che, in deroga a quanto affermato, le stazioni appaltanti non sono obbligate a richiedere mezzi di comunicazione elettronici quando, tra le varie ipotesi:

(i) la natura specialistica dell’appalto richiede una deroga alle normali procedure telematiche;

(ii) non esistono programmi in grado di gestire i formati di file , adatti a descrivere l’offerta;

(iii) utilizzano formati che non possono essere gestiti da programmi generalmente disponibili;

(iv) l’utilizzo di mezzi di comunicazione elettronici richiede attrezzature specializzate per ufficio non comunemente disponibili alle stazioni appaltanti.

Deroghe estremamente ampie.

In primis, non si comprende quale sia la natura specialistica dell’appalto che impone una deroga alle normali procedure telematiche. Se il rimando è alla documentazione di gara (busta amministrativa; tecnica ed economica per intenderci) non si comprende, infatti, quale sia la natura specialistica che impone una deroga alla trasmissione della documentazione con strumenti telematici. Forse si ritiene che l’invio tramite plico cartaceo sia maggiormente rispondente alla natura specialistica dell’appalto? Se poi la natura specialistica è intesa con riferimento a sopralluoghi, ispezioni e via dicendo, è da ritenere che gli stessi nulla abbiano a che vedere con la trasmissione della documentazione in via telematica.

Ancor meno chiare risultano, poi, le altre due deroghe: mancanza di programmi in grado di gestire i formati dei file e mancanza di attrezzature specializzate per l’ufficio.

In ordine al primo aspetto basti solo considerare che di regola è la Stazione appaltante che decidere il formato dei file, pertanto, sarebbe sufficiente imporre ai concorrenti di inviare i file in un formato comune . La mancanza di attrezzature specializzate rischia, invece, di diventare paradossale, in quanto si traduce in una comoda scorciatoia per la PA che anziché perseguire la strada dell’innovazione, decida di restare sul vecchio modello organizzativo. In tutte le ipotesi anzidette, la Stazione appaltante potrà facilmente trovare una valida motivazione – tra l’altro non sindacabile dal giudice amministrativo – per derogare all’obbligo della gestione delle gare in modalità telematica.

Ancora una volta, a fronte di un intento conclamato, la riforma ha previsto numerose scorciatoie. A questo punto, non possiamo che auspicare un ripensamento delle norme citate e l’imposizione di un obbligo, finalmente immediato, di digitalizzazione delle procedure ad evidenza pubblica.

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