Collaborazione strutturata tra imprese e PA: l’anello mancante per cambiare l’Italia
La collaborazione strutturata tra operatori economici e Pubblica Amministrazione (PA) accelera il processo di digitalizzazione del Paese. Gli strumenti attuali risultano ancora inadatti o poco utilizzati. Diventa così fondamentale l’identificazione di efficaci modelli di partecipazione dei privati
8 Giugno 2016
Giulia Marchio e Luca Gastaldi, Politecnico di Milano
La collaborazione strutturata tra operatori economici e Pubblica Amministrazione (PA) accelera il processo di digitalizzazione del Paese, sia attraverso il know how che i privati portano in dote, fornendo soluzioni innovative acquistate dalla PA, sia attraverso l’investimento di risorse economiche, a fronte dell’apertura di nuovi mercati abilitati dagli interventi istituzionali che i privati possono “aggredire” secondo le normali regole competitive.
Importanti passi in questa direzione sono stati fatti attraverso il piano nazionale per il dispiegamento della banda ultralarga, che propone un mix virtuoso di investimenti stimolato dal pubblico ma in cui l’attore principale per l’implementazione della strategia è il mercato. Le stime indicano che, qualora i privati investissero in misura uguale al pubblico, l’obiettivo raggiungibile sarebbe superiore a quello fissato dall’Europa per il 2020.
Simili riflessioni possono essere fatte allargando il perimetro di intervento dei privati dalle infrastrutture al più ampio mondo degli strumenti abilitanti e dei servizi pubblici. L’Osservatorio Agenda Digitale del Politecnico di Milano ha stimato che l’implementazione del Sistema Pubblico di Identità Digitale (SPID) potrebbe abilitare diversi mercati per i privati. Solo con riferimento a quello relativo alla gestione delle autenticazioni sono stati stimati, dal 2016 al 2018, introiti complessivi che vanno da un minimo di 160 fino a un massimo di 400 milioni di euro, da distribuire tra gli identity provider. Ovviamente tali numeri presuppongono la presenza di diversi servizi digitali accessibili tramite SPID e dinamiche di diffusione dei meccanismi di autenticazione digitale che — senza una massiccia adozione del pubblico, forzata dal regolatore — non abiliteranno l’intervento privato e non concretizzeranno nessun potenziale.
A fronte di queste ambiziose sfide, è importante sottolineare che gli strumenti attualmente a disposizione per incentivare l’intervento privato nell’ammodernamento tecnologico del Paese risultano ancora non pienamente utilizzati o maturi. È sufficiente considerare i risultati di un’indagine condotta dall’Osservatorio eGovernment del Politecnico di Milano sulle piattaforme di eProcurement. In primo luogo, l’utilizzo di tali piattaforme presenta oggi delle grandi barriere all’ingresso per gli operatori economici, dato confermato dal fatto che le imprese che lavorano molto con le PA (oltre il 75% del fatturato derivante da questo mercato) utilizzano le piattaforme per la maggior parte delle transazioni (oltre il 50%), mentre chi ha poche interazioni, utilizza ancora il canale offline. Inoltre, le funzionalità offerte dalle principali piattaforme sono spesso legate alla semplice fase di gara e non estese all’intero ciclo d’acquisto: gli strumenti per la raccolta dei fabbisogni sono presenti in meno del 50% delle piattaforme e spesso gestiti attraverso applicativi esterni; l’Albo fornitori è presente in meno del 30% delle piattaforme, mentre è più frequente il ricorso a indirizzari che non prevedono un percorso di qualifica strutturato del fornitore.
A fronte di importanti potenzialità legate al coinvolgimento dei privati nel processo di innovazione della PA, gli strumenti offerti e i meccanismi di reciproco ingaggio risultano ancora inadatti o poco utilizzati. È presto per dire se il nuovo codice degli appalti cambierà significativamente il quadro. Appare in ogni caso evidente come lo studio di opportuni modelli di partecipazione dei privati nella progettazione, realizzazione e gestione di servizi pubblici sia oggi un elemento prioritario, che può rappresentare uno stimolo ad accelerare e garantire il successo e la sostenibilità dell’innovazione del Paese.