Conservazione digitale, impariamo dai casi di Inps, Difesa e Regione Marche

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Un passo sostanziale è la definizione chiara e puntuale dei ruoli e delle responsabilità. Un’azione non semplice da affrontare perché in molte PA mancano le competenze: sia di chi fa l’archivista, sia di chi fa il conservatore digitale. Vanno però costruite, la chiave di volta per il successo di un progetto di Conservazione sta nel modello organizzativo adottato

6 Giugno 2016

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Paolo Catti, associate partner P4I, Partners4Innovation

La Conservazione Digitale a norma è una piccola innovazione, tecnologica e normativa, dal dirompente potere organizzativo, soprattutto per la Pubblica Amministrazione. La sua forza sta nell’eliminare gli archivi cartacei, inducendo di conseguenza due impatti fondamentali sui processi nelle PA: un risparmio diretto legato o alla riduzione di materiali, spazi e costi di archivio, oppure alla riduzione nei costi legati ai servizi di archiviazione; l’opportunità di pensare e progettare modelli di gestione per i documenti indipendentemente dal loro formato cartaceo, dando dunque il via libera a una serie di iniziative orientate alla digitalizzazione.

Per dare alla Conservazione a norma regole certe e procedure condivise, AgID ha attivato una serie di iniziative a garanzia delle PA che intendono adottare questi servizi. In primo luogo il processo di accreditamento che consente a società pubbliche o private di accreditarsi per offrire servizi di Conservazione Digitale alle PA. Si tratta di un percorso definito insieme ad Accredia e che consente a ogni PA di identificare i provider che hanno tutte le carte in regola per poter fornire i propri servizi di Conservazione Digitale ( l’elenco si trova qui). Oltre all’accreditamento, l’impegno di AgID ha portato anche alla definizione delle linee guida per la Conservazione e si sta lavorando per garantire anche la vigilanza sui servizi erogati, per consentire l’aggiornamento e l’adeguamento corretto, nel corso del tempo, dell’elenco dei conservatori accreditati. A monitorare questa evoluzione e come occasione di confronto costruttivo con PA, esperti e Conservatori, AgID ha anche attivato un forum che ha il compito di diffondere un’adeguata informativa sulla conservazione dei documenti informatici e di creare uno spazio di confronto sulle problematiche di attuazione dei sistemi di conservazione conformi alle disposizioni di legge e sui conseguenti aspetti tecnici.

Nella sfida della Conservazione, infatti, le PA hanno bisogno di essere accompagnate. Oggi la norma è operativa, alcune esperienze sono avviate, ma non mancano situazioni ancora “interlocutorie”. Purtroppo, le limitate competenze disponibili sui temi dell’archiviazione e della conservazione digitale spesso presenti in molte PA hanno portato ad approcci poco attenti alle conseguenze delle scelte effettuate e a identificare per esempio modelli di delega che, negli anni, rischiano di verificarsi deboli. Si tratta di esigenze tipiche di qualsiasi transitorio legato a un cambiamento, che però, per essere affrontate e superate, richiedono consapevolezza e rapidità di azione. Anche perché fare Conservazione Digitale è proprio il primo passo per la PA digitale, in quanto comporta la necessità di rivedere processi e modalità di gestione.

Un passo sostanziale nel percorso evolutivo che porta alla digitalizzazione delle PA, e che parte dalla Conservazione, è legato alla definizione chiara e puntuale dei ruoli e delle responsabilità nei sistemi di Conservazione. Un’azione non semplice da affrontare perché in effetti in molte PA mancano le competenze: sia di chi fa l’archivista, sia di chi fa il conservatore digitale. E’ dunque consigliabile provare a costruirle, anche orientandosi sulla creazione di team adeguati. La chiave di volta per il successo di un progetto di Conservazione, infatti, sta nel modello organizzativo che si intende adottare : sia per l’impostazione del progetto per creare nuovi processi digitali, sia per la gestione continuativa dei processo identificati.

Un’esperienza concreta di Conservazione Digitale è stata quella di INPS, che annualmente produce oltre 34 Mln di protocolli e ha enormi archivi cartacei. In questo ecosistema dalle proporzioni gigantesche, il progetto di Conservazione Digitale è stato portato avanti come una “sfida”, che ha di fatto modificato i processi esistenti, definendone di nuovi. Il progetto stesso ha contribuito a creare molte delle competenze che oggi sono presenti all’interno di INPS sul tema della Conservazione Digitale: competenze che vengono condivise in molte occasioni di confronto, come per esempio il Forum organizzato da AgID, che rappresentano sia un modo per “fare il punto” sulle decisioni prese, sia un’occasione per continuare a imparare. In fondo, questo passaggio alla Conservazione Digitale è un’evoluzione epocale per molte delle nostre PA. Se in alcuni casi ci sono le basi per fare ottimi progetti, in altri contesti è indispensabile portare competenze e formazione. E’ infatti dietro l’angolo, il rischio di digitalizzare conservando i processi vecchi , ovvero affrontare quanto si faceva prima con strumenti digitali, di fatto perdendo sia l’opportunità di pensare con nuove logiche digitali sia, paradossalmente, anche l’efficienza raggiunta nei processi tradizionali con le modalità abituali di lavoro basate su carta. In questo modo, si generano solo processi ibridi che molto probabilmente non si dimostrano né più efficaci né più economici di quelli precedenti. E’ dunque sostanziale capire che lo sforzo del cambiamento è esso stesso parte dell’investimento necessario per costruire la PA digitale.

Un’altra esperienza di grande impatto è quella condotta dal Ministero della Difesa, attraverso un suo Centro Servizi che ha con passione e impegno puntato sulla Conservazione Digitale . Tra i risultati raggiunti, oltre a quello di aver creato un polo di competenze e soluzioni a disposizione del Ministero – e in grado di affrontarne pienamente le esigenze di archiviazione e conservazione digitale – ma anche di tutti quegli enti pubblici che, nel nostro Paese, volgiano usufruirne, sia come bacino di competenze, sia come erogatore del servizio di Conservazione. Tra i principali risultati di questo progetto, non è mancata la piena riconversione delle competenze del personale coinvolto , che ha cambiato profondamente le proprie competenze come le proprie attività. Un’evoluzione che ha garantito la continuità dell’occupazione in un centro servizi che altrimenti, se fosse rimasto vincolato al suo precedente mandato, non avrebbe avuto più senso di esistere.

Tra le esperienze “dal campo”, anche quella della Regione Marche , che si è accreditata in AgID come Conservatore per poter offrire il proprio servizio a tutti gli Enti del territorio. PA di piccole dimensioni – nelle Marche l’80% dei Comuni ha meno di 5.000 persone – in cui mancano Competenze e spesso anche la forza per poterle creare, possono dunque “fare rete” e beneficiare dello sforzo condotto e messo a disposizione da altre PA presenti sul territorio.

In assenza di opportunità disponibili come quella di rivolgersi ad altri Enti da cui attingere per competenze o soluzioni, sul mercato non mancano diversi fornitori accreditati in grado di proporsi alle PA come veri e propri outsourcer, che prendono in carico l’intero progetto e la sua gestione nel tempo. Inoltre, questo tipo di attore è anche in grado di mantenere aggiornata, alle evoluzioni normative come a quelle tecnologiche, le soluzioni erogate, a beneficio di chi non ha la necessaria struttura per occuparsi di questi progetti.

Per affrontare il gap di competenze della PA è anche necessario affidarsi a software di Conservazione Digitale che siano semplici da usare e in grado di supportare pienamente le esigenze di diversi Enti sui molteplici fronti della conservazione di cui hanno bisogno. In contesti come quelli degli Enti Sanitari, per esempio, non solo devono essere conservati volumi non trascurabili di documentazione a valenza fiscale (fatture, registri, libri, ecc.) ma anche documenti clinici, come i Fascicoli Sanitari. In questi Enti, l’esperienza di chi conosce i processi e le esigenze legate a ciascun documento, può essere cruciale nel supportare adeguatamente il cammino verso la conservazione, che è un elemento della vita utile di documenti che, diventando digitali, possono essere gestiti per gran parte del loro ciclo di vita proprio in digitale.

Laddove le competenze e le esperienze sono state sviluppate, come è successo per esempio in PARER (Polo Archivistico Regionale dell’Emilia Romagna ), oggi il ruolo stesso dell’Ente si è modificato, e oltre ad occuparsi della Conservazione in Emilia Romagna, Parer ha adottato un approccio di sistema alla Conservazione che lo ha visto assumere il ruolo del partner, affidabile e sicuro, in grado di accompagnare e supportare altre PA nei loro progetti di Conservazione. Oggi Parer può vantare una mappa d’Italia con diverse PA con cui ha collaborato e dove ha dato un contribuito, di impostazione o di tipo tecnologico, importante. Questa evoluzione si è sviluppata in modo naturale, per l’Ente: tuttavia è l’esito di un percorso, fatto di passione e serietà, che oggi ne fa un centro di competenze all’avanguardia. Una testimonianza concreta che la sfida del digitale, se affrontata con convinzione, consente di raggiungere stadi evolutivi in grado di far cambiare anche radicalmente le prospettive di azione: non più solo di ottimizzazione locale – su singole attività o singoli enti – ma in grado di portare in digitale interi processi e numerose PA.

Il solo vero pericolo di cui le PA devono aver paura, guardando alla digitalizzazione, è quello di affrontarla con poca convinzione, salvaguardando pratiche di lavoro tradizionali ma che hanno perso ogni senso se applicate in processi digitali. I soli contesti in cui hanno ancora un valore sono quelli delle prassi acquisite che scaldano il cuore delle persone che non vogliono cambiare e perseverano nel fare ciò che fino a poco tempo prima era per loro naturale continuare a fare. Un po’ come quei soldati giapponesi che, rimasti isolati, proseguivano la loro seconda guerra mondiale, all’insaputa della sua fine. E’ invece importante accogliere ogni occasione di digitalizzazione per mettere in piedi processi digitali, anche accettando di rivoluzionare l’approccio tradizionale. E’ naturale che per fare tutto questo è necessario poter dedicare le giuste risorse al cambiamento: un atto di consapevolezza che in molti casi non è affatto facile raggiungere.

E’ dunque necessario prevedere non solo norme che guardano al digitale, ma anche percorsi di cambiamento che mirano a fare del digitale la nuova “prassi”, nelle PA come nelle imprese. Per fare questo è indispensabile agire sulle persone, che devono essere convinte del cambiamento che da affrontare per poterlo portare a compimento nel modo più efficace e completo possibile.

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