Conservazione documenti, l’ambigua definizione del nuovo Cad
Il testo approvato con D.Lgs 26 agosto 2016, n. 179 presenta nell’ambito circoscritto della gestione e conservazione dei documenti non poche difficoltà di comprensione, in parte dovute all’assenza di trasparenza che ha caratterizzato la sua elaborazione e alla mancanza di quel produttivo confronto con le amministrazioni, con le associazioni di settore e con gli operatori di mercato, che aveva invece caratterizzato il precedente decreto legislativo del 2010. Bisognerà riflettere ulteriormente e in modo più approfondito sul nuovo sistema di norme che ne deriva
21 Settembre 2016
Maria Guercio, Università degli studi di Roma La Sapienza e presidente dell’Associazione nazionale archivistica italiana - Anai
Non sono tutte decifrabili (almeno a una prima lettura) le ragioni che hanno guidato il legislatore nella modifica del Codice dell’amministrazione digitale, se si esclude l’obbligo di raccordare le disposizioni nazionali con quanto previsto dalla normativa europea in materia di identificazione elettronica e servizi fiduciari, per le transazioni elettroniche nel mercato interno.
La difficoltà di lettura che il nuovo testo crea agli stessi addetti ai lavori non ha certamente un valore positivo tenuto conto che l’attuale livello di applicazione dei provvedimenti ormai ventennali in materia di amministrazione digitale lascia ancora molto a desiderare, nonostante la presenza di strumenti normativi consolidati e, per molti aspetti, qualificati. Negli ultimi anni, le amministrazioni, con le dovute eccezioni, hanno fatto poco e male. Le strutture tecniche e gli uffici con funzioni di coordinamento (AgID e amministrazione archivistica in particolare) si sono indebolite e hanno potuto accompagnare molto parzialmente lo sforzo di adattamento e trasformazione dei processi amministrativi necessari a determinare il cambiamento auspicato. Le ragioni sono molteplici e sono state discusse da chi scrive in altre occasioni anche sulle stesse pagine di “Cantieri per la PA digitale”. Non è quindi necessario tornarci sopra in questa occasione, anche se è evidente che nessuna modifica normativa potrà mai sciogliere nodi organizzativi complessi, così come nessun provvedimento o direttiva tecnica potrà sostituirsi al lavoro quotidiano interno agli enti e alle imprese, indispensabile per gestire con efficacia il cambiamento di paradigma e di cultura che una dimensione digitale del lavoro e della comunicazione comporta. Anzi, le modifiche continue dei testi di riferimento non solo non aiutano ad affrontare quei problemi ma rischiano di accrescere la frustrazione e la stanchezza degli interlocutori istituzionali cui i provvedimenti sono diretti.
Alcuni commentatori hanno recentemente sottolineato – riprendendo quanto indicato dall’amministrazione proponente – che il decreto legislativo, al di là degli obblighi di recepimento della normativa europea, debba essere interpretato e valutato non tanto sulla base delle singole disposizioni, ma in termini politici, ovvero riconducendo i diversi interventi di modifica presenti nel testo all’intenzione esplicita del legislatore di spostare in modo significativo le finalità e il focus della norma dai processi di digitalizzazione dei contenuti e dei documenti al nodo di un’utenza allargata, alla gestione efficiente dei procedimenti e dei flussi di lavoro, alla semplificazione delle modalità di accesso. Si tratta di una riflessione poco convincente, dato che il CAD e in generale la normativa sull’amministrazione digitale hanno avuto sin dall’origine l’ambizione di trasformare radicalmente la pubblica amministrazione nei rapporti con cittadini e imprese proprio nella direzione indicata: gli obblighi generali e le regole specifiche per la formazione, gestione, conservazione di archivi digitali sono stati sempre finalizzati a sostenere strumentalmente un processo strategico mirato ad assicurare obiettivi strategici di semplificazione amministrativa e potenziare i servizi di cittadinanza digitale.
> Questo articolo è parte del dossier “Speciale Cad. Inizia la fase attuativa, l’analisi di FPA e dei nostri esperti”
Le novità specifiche del nuovo CAD sono certamente concentrate, più che nel passato, sull’utilizzo diffuso di strumenti finalizzati a facilitare l’accesso e a garantire più flessibilità nella comunicazione e nella condivisione di contenuti e informazioni. Si tratta, tuttavia, di questioni che avrebbero bisogno di risorse adeguate, personale competente, investimenti infrastrutturali, mentre – ancora una volta e in linea con l’abitudine nazionale di risolvere problemi organizzativi riscrivendo le norme – si è preferito affrontarli ridefinendo nuove forme di governance dell’intero settore. Da questo punto di vista il decreto non manca di novità: molte norme sono state cancellate, i profili apicali all’interno delle amministrazioni sono stati ridisegnati; l’AgID vede notevolmente ampliato il proprio ambito di intervento, con un’autonomia accresciuta anche in relazione al ruolo delle Regioni.
Poiché le modifiche intervenute sono molteplici e diversificate, in questo primo intervento ci si concentrerà esclusivamente su quelle – non numerose, ma in un paio di casi rilevanti – che attengono più esplicitamente all’ambito documentario, contenute nel capo III. Formazione, gestione e conservazione dei documenti informatici e nel capo IV. Trasmissione informatica dei documenti (articoli 40-49). Non sempre gli interventi approvati sono di immediata comprensione in termini operativi, né è stato possibile a chi scrive identificare un principio unitario e coerente cui ricondurre le innovazioni più significative.
In alcuni casi (l’abrogazione dei commi 3 e 4 dell’articolo 40 che prevedevano l’adozione di un apposito regolamento per individuare le categorie di documenti che possono essere redatti in originale anche su supporto cartaceo in relazione al particolare valore storico e artistico) è il risultato inevitabile del fatto che in dieci anni nessuna amministrazione (Direzione generale degli archivi inclusa) abbia saputo o sentito il bisogno di promuovere l’emanazione di tale regolamento. Peraltro l’espressione utilizzata dal legislatore per identificare categorie di documenti amministrativi (“di particolare valore storico e artistico”) è talmente sconcertante e fuorviante che non meravigliano né il silenzio assordante con cui venne accolta nel 2006 né la decisione di ignorarla nel decennio successivo. Riconducibili a esigenze di coordinamento normativo e sistematico (come riconosce anche il Consiglio di Stato) sono le abrogazioni o le rielaborazioni previste per gli articoli 40- bis e 41.
Più impegnativa è invece la valutazione sia del comma 1- bis aggiunto all’articolo 43 (“se il documento informatico è conservato per legge da uno dei soggetti di cui all’articolo 2, comma 2, cessa l’obbligo di conservazione a carico dei cittadini e delle imprese che possono in ogni momento richiedere accesso al documento stesso”), che dell’intero articolo 44 intitolato originariamente “Requisiti per la conservazione dei documenti informatici” e ora definito con il titolo “Requisiti per la gestione e conservazione dei documenti informatici”.
La modifica dell’articolo 43 ha suscitato moltissimi commenti preoccupati da parte non tanto delle pubbliche amministrazioni cui si affida il compito di conservare i documenti digitali di terzi (cittadini e imprese), quanto da parte dei privati (soprattutto fornitori di servizi di conservazione) che hanno sottolineato i rischi di una gestione della produzione documentaria affidata solo ai sistemi pubblici e quindi poco garantita in termini di neutralità dei processi di tenuta dei documenti. Un problema che finora nessuno ha discusso riguarda la dimensione tecnico-archivistica del problema conservativo, ovvero i criteri che devono ispirare un processo di selezione e scarto non più riconducibile solo alle esigenze (amministrative, giuridiche, informative e storiche) del soggetto produttore dell’archivio. L’ambigua formulazione della disposizione non definisce in alcun modo i confini e i limiti di tale responsabilità che, a rigor di logica, dovrebbe essere circoscritta agli obblighi specifici di conservazione previsti dai procedimenti cui i singoli documenti si riferiscono. Gli interrogativi aperti da tale norma sono quindi molteplici e riguardano le responsabilità delle amministrazioni a fronte delle aspettative dei cittadini, ma anche la natura degli interventi richiesti e degli strumenti necessari per gestire consapevolmente tali obblighi. Il piano di conservazione previsto dall’articolo 68 del dpr 445/2000 costituisce senza dubbio il requisito funzionale e la base operativa in grado di contenere i rischi tutt’altro che marginali che la disposizione in questione implica. Sono tuttavia poche le amministrazioni che dispongono di piani e massimari di selezione dettagliati e funzionali.
Altrettanto impegnativa è l’analisi dell’articolo 44 che viene modificato in modo radicale, senza tuttavia che siano individuabili e comprensibili le ragioni che hanno spinto il legislatore in questa direzione:
Articolo 44. Requisiti per la gestione e conservazione dei documenti informatici “1. Il sistema di gestione informatica e conservazione dei documenti informatici della pubblica amministrazione assicura: a) l’identificazione certa del soggetto che ha formato il documento e dell’amministrazione o dell’area organizzativa omogenea di riferimento di cui all’articolo 50, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445;
b) la sicurezza e l’integrità del sistema e dei dati e documenti presenti;
c) la corretta e puntuale registrazione di protocollo dei documenti in entrata e in uscita;
d) la raccolta di informazioni sul collegamento esistente tra ciascun documento ricevuto dall’amministrazione e i documenti dalla stessa formati;
e) l’agevole reperimento delle informazioni riguardanti i documenti registrati;
f) l’accesso, in condizioni di sicurezza, alle informazioni del sistema, nel rispetto delle disposizioni in materia di tutela dei dati personali;
g) lo scambio di informazioni, ai sensi di quanto previsto dall’articolo 12, comma 2, con sistemi di gestione documentale di altre amministrazioni al fine di determinare lo stato e l’iter dei procedimenti complessi;
h) la corretta organizzazione dei documenti nell’ambito del sistema di classificazione adottato;
i) l’accesso remoto, in condizioni di sicurezza, ai documenti e alle relative informazioni di registrazione tramite un identificativo univoco;
j) il rispetto delle regole tecniche di cui all’articolo 71. 1-bis. Il sistema di gestione e conservazione dei documenti informatici è gestito da un responsabile che opera d’intesa con il dirigente dell’ufficio di cui all’articolo 17 del presente Codice, il responsabile del trattamento dei dati personali di cui all’articolo 29 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, ove nominato, e con il responsabile del sistema della conservazione dei documenti informatici, nella definizione e gestione delle attività di rispettiva competenza. Almeno una volta all’anno il responsabile della gestione dei documenti informatici provvede a trasmettere al sistema di conservazione i fascicoli e le serie documentarie anche relative a procedimenti conclusi.
1-ter. Il responsabile della conservazione può chiedere la conservazione dei documenti informatici o la certificazione della conformità del relativo processo di conservazione a quanto stabilito nel presente articolo ad altri soggetti, pubblici o privati, che offrono idonee garanzie organizzative e tecnologiche.”
Il comma 1 di fatto sostituisce i requisiti originari con quelli presi integralmente dal dpr 445/2000, richiamando tutti i principali obblighi di un corretto sistema di gestione documentale, in forme molto più ricche di quanto originariamente indicato dal medesimo comma nel vecchio CAD. L’integrazione potrebbe e sembrerebbe costituire un elemento di qualificazione dei processi di conservazione. Tuttavia, l’assenza di ulteriori riferimenti e la mancata distinzione tra le funzioni di gestione e quelle di conservazione dei documenti informatici indebolisce il nuovo dettato normativo e ne rende sostanzialmente incomprensibile il significato e il valore come è stato osservato dallo stesso Consiglio di Stato nel parere del 17 marzo 2016 . Qualcuno ha sollevato il dubbio che la scelta di unificare in un unico articolo i requisiti delle due funzioni, senza accompagnarle da indicazioni chiare capaci di differenziare contenuti e responsabilità, preluda a ulteriori interventi di riscrittura delle regole tecniche in materia. In quest’ottica, il discusso rinvio della scadenza estiva prevista per la loro applicazione potrebbe costituire l’occasione per una ulteriore (preoccupante) rivisitazione della normativa secondaria che avrebbe invece bisogno oggi di essere innanzitutto verificata in sede di concreta applicazione e non nuovamente ridefinita e aggiornata.
In sostanza, quindi, il testo approvato con D.Lgs 26 agosto 2016, n. 179 presenta – anche nell’ambito circoscritto della gestione e conservazione dei documenti – non poche difficoltà di comprensione, in parte dovute all’assenza di trasparenza che ha caratterizzato la sua elaborazione e alla mancanza di quel produttivo confronto con le amministrazioni, con le associazioni di settore e con gli operatori di mercato che aveva invece caratterizzato il precedente decreto legislativo del 2010. Bisognerà riflettere ulteriormente e in modo più approfondito sul nuovo sistema di norme che ne deriva. Fin d’ora chi scrive ritiene auspicabile che tale confronto avvenga comunque, eventualmente con una iniziativa dal basso adeguata nei tempi e nelle forme alla complessità dei problemi da affrontare, anche perché – come si è visto in questi anni – non è mai troppo tardi per smontare e rimontare (con esiti tutt’altro che scontati) la tela di Penelope della nostra normativa di settore. Esigenze di conformità e coerenza implicano, ad esempio, la ridefinizione sia pure parziale della regolamentazione tecnica. E’ bene che tale processo di revisione sia sostenuto da un robusto lavoro di analisi e dalla verifica concreta delle esperienze fin qui realizzate.
Per chi è ottimista e guarda al bicchiere mezzo pieno, si tratta di cogliere le occasioni che la speranza è che si riesca in tempi ragionevoli a trovare (grazie al lavoro comune di tanti più che in attesa del ritorno di turno) un equilibrio che garantisca semplicità, coerenza ed efficacia a un disegno normativo destinato a qualificare i servizi ai cittadini e garantire una vera trasparenza.