Consolidare i data center delle (piccole) PA: cosa significa, come e perché farlo
Dopo quello sugli open data, pubblichiamo il secondo focus curato da Marco Fioretti che affronta questa volta il tema del G-Cloud, il Cloud computing per la PA, e in particolare i due passi preliminari della virtualizzazione e del consolidamento dei data center. Si tratta di scelte che consentono di: risparmiare risorse; creare un sistema informativo distribuito, ma allo stesso tempo unitario e integrato; dare vita a una governance unitaria e ad una efficace cooperazione applicativa. Le tecnologie Cloud, inoltre, possono mettere a disposizione i dati della PA per consentire a cittadini e terze parti di sviluppare applicazioni “riusabili” in modalità Cloud Services. In questo senso il G-Cloud è, come gli open data, uno strumento fondamentale per le politiche di open government e sarà, quindi, uno degli argomenti centrali di FORUM PA 2012 (Nuova Fiera di Roma, 16-19 maggio 2012).
13 Marzo 2012
Marco Fioretti*
Dopo quello sugli open data, pubblichiamo il secondo focus curato da Marco Fioretti che affronta questa volta il tema del G-Cloud, il Cloud computing per la PA, e in particolare i due passi preliminari della virtualizzazione e del consolidamento dei data center. Si tratta di scelte che consentono di: risparmiare risorse; creare un sistema informativo distribuito, ma allo stesso tempo unitario e integrato; dare vita a una governance unitaria e ad una efficace cooperazione applicativa. Le tecnologie Cloud, inoltre, possono mettere a disposizione i dati della PA per consentire a cittadini e terze parti di sviluppare applicazioni “riusabili” in modalità Cloud Services. In questo senso il G-Cloud è, come gli open data, uno strumento fondamentale per le politiche di open government e sarà, quindi, uno degli argomenti centrali di FORUM PA 2012 (Nuova Fiera di Roma, 16-19 maggio 2012).
Nel mondo dell’informatica, soprattutto di quella per la Pubblica Amministrazione, consolidamento dei data center, così come virtualizzazione e cloud computing, sono termini di gran moda. Ancora troppo spesso, però, se ne parla solo per grandi Enti nazionali o regionali, come se fossero soluzioni inadatte, irraggiungibili o irrilevanti per le piccole PA. In questo dossier cercheremo invece di spiegare come questo non sia affatto vero e come, adottando prima possibile certe pratiche, anche quelle PA potrebbero ridurre i propri costi, aumentare la loro efficienza ed essere pronte all’evoluzione prossima ventura dei sistemi ICT pubblici.
Una presentazione lampo di Cloud Computing e G-Cloud
Cosa sono virtualizzazione e consolidamento dei server?
Cloud Computing pubblico all’estero
Gli ostacoli culturali al consolidamento
Un errore da evitare: contratti poco robusti o incompleti
Conclusioni e suggerimenti pratici
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Una presentazione lampo di Cloud Computing e G-Cloud
Il Cloud Computing è un modo di fornire e utilizzare servizi informatici che ne rende molto più semplice e flessibile la gestione, ottimizzando l’uso delle risorse hardware e riducendone grandemente costi e impatto ambientale.
Una descrizione completa ma non troppo tecnica dei vari tipi di cloud computing è disponibile nel volume “La Pa sulla nuvola. G-Cloud: innovare per guadagnare efficienza e ridurre i costi” – FORUM PA EDIZIONI, febbraio 2012. Qui, sintetizzando, potremmo dire che un ambiente di cloud computing completo è quello in cui l’utente finale (nel nostro caso un dirigente di una qualsiasi PA) che ha bisogno di risorse hardware e software per un generico servizio informatico può semplicemente noleggiarle in modalità self-service:
- con pochi clic;
- senza investimenti infrastrutturali;
- senza gare d’appalto tradizionali o altre procedure complesse (poiché i servizi presenti nel CloudStore vengono certificati dal governo centrale);
- pagando solo quanto viene effettivamente utilizzato;
- solo per il tempo strettamente necessario, fosse anche pochi mesi o settimane;
- con disponibilità immediata.
Questo è possibile quando le risorse hardware e software in questione non risiedono nel data center della PA che le ordina, ma all’interno di una “nuvola” (cloud) di server e programmi certificati che è accessibile attraverso Internet e gestita da terzi. Quando l’infrastruttura hardware e software che realizza la nuvola è posseduta e gestita direttamente, magari tramite apposite società, dalle Pubbliche Amministrazioni stesse, si parla di G-Cloud (Government Cloud).
I modi in cui il Cloud Computing riduce costi e tempi delle soluzioni rispetto alla gestione tradizionale dei servizi informatici nella PA sono riassunti anche in Figura 1, tratta dalla presentazione di Aldo Liso al Seminario DigitPA del 17 gennaio 2011.
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Come esempio pratico, si può pensare alla contabilità di un Comune. Nel mondo pre-cloud, il responsabile dei servizi informatici di quel Comune sceglie e compra, con procedure più o meno lunghe e complicate, il software e l’hardware adatti, per poi installarli, preoccuparsi della loro manutenzione ed eventualmente comprare altro hardware o licenze in caso di errori di valutazione nel carico.
L’alternativa tradizionale, cioè affittare autonomamente lo stesso servizio da qualche azienda significa comunque gestire gare d’appalto personalmente, impegnarsi contrattualmente per periodi di tempo non trascurabili e rischiare di ritrovarsi con soluzioni non standard.
Avendo a disposizione un cloud specifico per la PA, invece, lo stesso manager potrebbe (dovrebbe!) collegarsi al sito di interfaccia del cloud e con pochi clic:
- scegliere un hardware virtuale, cioè noleggiare un processore di un certo tipo, con una certa quantità di memoria, e un disco rigido con una certa capienza;
- scegliere fra i software disponibili quello (preapprovato e certificato come idoneo da apposite commissioni) per la contabilità;
- attivare quella combinazione “chiavi in mano” di hardware e software, pagandone il noleggio (anche per pochi mesi!!) sullo stesso sito;
- passare le credenziali ricevute per l’accesso a quel particolare “server” ai suoi dipendenti.
Il tutto avverrebbe senza dover comprare, configurare e gestire hardware e software, e con la massima flessibilità. Qualora risultasse, dopo due mesi dall’inizio delle operazioni nel cloud, che la quantità di memoria o spazio su disco non è sufficiente per le proprie effettive esigenze, basterebbe tornare sul sito e ripetere la procedura appena descritta per aggiungere al proprio server nel cloud l’accesso a quelle risorse hardware extra.
Questa flessibilità è estremamente conveniente anche per collaudare nuove applicazioni o far fronte a picchi di carico. Una PA che volesse, per esempio, provare un nuovo servizio Web oppure mettere on line un sito che avrà molti visitatori, ma solo per pochi mesi (per esempio un portale legato a eventi sportivi o d’altro tipo), non dovrebbe far altro che noleggiare nello stesso modo un pacchetto hardware e software per “Web Server” nel modo che abbiamo spiegato, disattivandolo non appena non serve più.
Cosa sono virtualizzazione e consolidamento dei server?
Vediamo più in dettaglio cosa significano questi termini e quali sono, per una PA anche piccola, i loro vantaggi concreti.
Virtualizzare server e applicazioni, e poi consolidarli sono passi verso il Cloud Computing completo. Però, mentre il G-Cloud richiede sforzi, normative, coordinamento e infrastrutture a livello nazionale, virtualizzazione e consolidamento possono portare già da soli diversi vantaggi significativi. Anche se lo si fa dal basso e ci si ferma lì, magari condividendo le spese di allestimento iniziale fra tutte le PA locali di una stessa area.
In informatica, virtualizzare significa creare su un qualsiasi computer, tramite del software speciale, un ambiente isolato (macchina virtuale) che ai normali programmi e sistemi operativi sembra in tutto e per tutto un computer normale a loro esclusiva disposizione. Ogni computer fisico può ospitare diverse macchine virtuali completamente indipendenti l’una dall’altra.
Questo è particolarmente interessante perché server (e desktop) tradizionali sono dimensionati per i picchi di carico e quindi stanno quasi senza far nulla (pur consumando energia) per la maggior parte del tempo, anche l’80%! Oltre al processore, anche le altre risorse hardware (dalla banda del collegamento a Internet allo spazio su disco) sono notevolmente sottoutilizzate per la maggior parte del tempo. Con la virtualizzazione, un database che gira solo su Windows e uno che gira solo su Linux possono convivere sullo stesso computer, simultaneamente, senza darsi alcun fastidio e con impatti trascurabili sulle prestazioni dei due database.
In sintesi, la virtualizzazione evita di comprare e tenere sempre accesi due o più computer inutilmente potenti quando non serve davvero. Per sua natura, quindi, la virtualizzazione è utile anche a piccole PA che hanno pochissimi server. Quando poi si virtualizzano anche attività normalmente “rinchiuse” senza effettiva necessità in applicazioni desktop, per esempio gestendo i documenti con Twiki anziché OpenOffice o Microsoft Office, non è più necessario aggiornare tutti i desktop della PA ogni pochi anni, ma solo il server.
Questo processo si può poi ripetere a un livello superiore, consolidando interi data center. Se si hanno tre sale server, anche in tre PA diverse, con 20 computer ciascuno e si scopre che nessuno di loro ha un carico medio superiore al 20/25% (una situazione abbastanza comune), si possono spostare tutte le applicazioni ospitate da quei server in un unico data center con 20 computer, o anche meno, che ospitano 60 server virtuali.
A quel punto, costi energetici e impronta ecologica complessivi, per non parlare del numero di amministratori necessari, saranno molto minori di prima del consolidamento, e non solo perché si avranno 3 volte meno computer.
Dividere fra più PA i costi dei server, dallo spazio al raffreddamento e al personale sufficientemente qualificato da gestirli adeguatamente significa infatti potersi permettere hardware e data center molto più efficienti, il cui costo sarebbe assolutamente ingiustificato per pochi server. È per questo che l’esperta Giovanna Sissa ha dichiarato, che “uno dei driver green [dell’ICT] è proprio la virtualizzazione”, ricordando che esiste un Codice Europeo di condotta per l’efficienza energetica dei data Center. Dei benefici ambientali del consolidamento si era parlato già a FORUM PA 2010 all’interno dello Zoom sul Green Computing.
Cloud Computing pubblico all’estero
Fuori dall’Italia gli esempi più notevoli di consolidamento dei data center nella prospettiva del cloud computing sembrano essere, sia per volume che per l’ampiezza delle strategie e il loro supporto diretto dal governo centrale, Stati Uniti, Giappone e Regno Unito.
Negli USA il cammino ufficiale verso l’ottimizzazione dell’informatica pubblica attraverso il cloud computing è iniziato nel 2009. In quella strategia il consolidamento dei data center, cioè la riduzione dei server, la standardizzazione spinta di quelli rimanenti e la loro collocazione in poche server farm gestite con la massima efficienza possibile, giocano un ruolo determinante.
Il Giappone ha un suo progetto di G-Cloud chiamato Kasumigaseki Cloud, che oltre alla standardizzazione completa delle infrastrutture hardware e software in modalità cloud, prevede anche quella su larga scala delle informazioni (uniformando ad esempio i codici dei fornitori delle PA) e creazione di un archivio nazionale per la digitalizzazione dei documenti pubblici.
Il Regno Unito si propone di ridurre il numero complessivo dei data center di tutte le PA britanniche dell’80%, arrivando a solo 10/12 data center per tutto il governo centrale entro il 2020.
Oltre a questo le PA britanniche possono già usare i servizi disponibili nel CloudStore aperto a febbraio 2012, che funziona proprio come abbiamo spiegato nei paragrafi precedenti. In questo negozio online centralizzato è già possibile noleggiare circa 1700 servizi hardware e software chiavi in mano da più di 250 fornitori diversi, ognuno per un massimo di 12 mesi. Man mano che i servizi in questione verranno certificati dal governo centrale, i manager delle PA potranno noleggiarli non appena ne avranno bisogno, senza passare per autorizzazioni, appalti o altre procedure speciali.
Si capisce subito che questo modo di procedere può rendere nel tempo molto più facile:
- individuare ed eliminare duplicazioni, cioè programmi quasi identici che fanno la stessa cosa, aumentando le spese complessive di gestione;
- praticare il riuso. Una volta per riusare il software sviluppato da un’altra PA occorreva replicarne esattamente anche l’infrastruttura di base hardware e software. Lavorando in questo modo non è più necessario, perché avviene per default;
- tenere i prezzi più bassi possibile;
- far fronte a riduzioni del budget, anche se temporanee o impreviste. Se mancassero le risorse per far girare un servizio cloud alla velocità ottimale, si potrebbe ad esempio ridurre con pochi clic la quantità di memoria a sua disposizione (cioè il canone mensile complessivo), rallentandolo, ma solo per il tempo strettamente indispensabile.
Stimolare, anche se solo dal basso e solo su scala regionale o provinciale, consolidamento dei server e procurement standard di software virtualizzato come avviene nel CloudStore, potrebbe portare altri vantaggi non disprezzabili per un amministratore locale, che si tratti di un Sindaco o di un dirigente scolastico.
Creare un’unica vetrina ufficiale (anche solo in certe aree) di tutte le applicazioni adatte per l’uso nelle PA significa infatti dare molte più opportunità che nel passato a fornitori minori e innovazione, rompendo gli oligopoli che controllano il mercato. Questa non è un’ipotesi: circa metà dei prodotti nel CloudStore sono di piccole e medie imprese. In Italia, chi scrive ha incontrato recentemente un caso concreto di come la mancanza di visibilità e vetrine ufficiali può danneggiare le PMI potenziali fornitrici delle PA.
Fare cloud computing nella PA italiana, o almeno prepararsi ad esso consolidando i propri server non è certo un’attività “eretica”, anzi! Il Piano Triennale 2012-2014 di DigitPA riconosce esplicitamente che questa è la strada e che c’è tanto da fare:
“È prevista in tutto il mondo una forte spinta verso la standardizzazione dei data center… In Italia, mentre questi processi sono da tempo in atto nelle imprese private, molto poco avviene nella Pubblica Amministrazione centrale, la quale dispone di oltre 1000 data center caratterizzati da un numero di addetti per server e da uno spazio occupato per server eccessivi in confronto ai parametri tipici dei data center basati sulle nuove architetture”. (da un’indagine 2006 del CNIPA, riassunta da Aldo Liso di DigitPA in “Roadmap to Cloud Computing per le Amministrazioni Pubbliche” a ForumPA 2011, risultano 1033 data center, con 1.7 server gestiti da ogni singolo addetto e in media 5.5 metri quadri di spazio per server)
Il paragrafo “Consolidamento e virtualizzazione” del Piano spiega anche che:
“Strettamente legate alla razionalizzazione dei data center, sono le tecnologie di consolidamento e di virtualizzazione. Oggi è infatti possibile virtualizzare non solo le capacità computazionali attraverso l’impiego di macchine virtuali su server fisici, ma anche lo storage e le reti”
e per questo a Consolidamento e Virtualizzazione è dedicata una specifica Area Progettuale del Piano, la 5.2, il cui obiettivo è proprio:
“il consolidamento dei CED per migliorare la qualità delle prestazioni e ridurre i costi di esercizio. Si prevede l’utilizzo di tecniche di virtualizzazione per garantire un utilizzo ottimale delle risorse elaborative, ridurre i tempi di preparazione di ambienti operativi, separazione degli ambienti per ridurre gli impatti negativi dei malfunzionamenti”
Da parte sua, l’attuale Codice dell’Amministrazione Digitale fissa per le Pubbliche Amministrazioni, anche quelle più piccole e con budget ridottissimi, diversi obblighi ben precisi che possono essere soddisfatti nella maniera più semplice ed economica proprio, se non soltanto, con il consolidamento dei server e, in prospettiva, il cloud computing.
L’articolo 50 del Capo V, Sezione I, stabilisce ad esempio (commi 2 e 3) che:
“Qualunque dato trattato da una pubblica amministrazione… è reso accessibile e fruibile alle altre amministrazioni quando l’utilizzazione del dato sia necessaria per lo svolgimento dei compiti istituzionali dell’amministrazione richiedente, senza oneri a carico di quest’ultima, salvo per la prestazione di elaborazioni aggiuntive”
“Al fine di rendere possibile l’utilizzo in via telematica dei dati di una pubblica amministrazione da parte dei sistemi informatici di altre amministrazioni l’amministrazione titolare dei dati predispone, gestisce ed eroga i servizi informatici allo scopo necessari”
ma rendere fruibili senza costi aggiuntivi, automaticamente, i propri dati alle altre PA che ne avessero bisogno è infinitamente più semplice quando tutti i server interessati si trovano già nello stesso datacenter, o in cluster di datacenter con collegamenti diretti!
L’articolo 50-bis del CAd parla invece di Continuità Operativa:
“le pubbliche amministrazioni predispongono i piani di emergenza in grado di assicurare la continuità delle operazioni indispensabili per il servizio e il ritorno alla normale operatività.
Il Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione assicura l’omogeneità delle soluzioni di continuità operativa definite dalle diverse Amministrazioni”
ma più i data center sono stati consolidati (ovviamente con le dovute caratteristiche di ridondanza, backup geografici eccetera) meno piani operativi si devono preparare e mettere in pratica!
Lo stesso discorso vale per il Disaster Recovery: consolidare su pochi server i servizi di più PA significa che non ci sono più “appositi e dettagliati studi di fattibilità tecnica” da svolgere in ogni singola PA. In entrambi i casi poi, in modalità cloud completa, un’amministrazione locale dovrebbe solo preoccuparsi di cose più semplici ed economiche per rispettare queste direttive del CAD: per esempio, garantirsi l’accesso alla propria porzione di G-cloud o data center assicurandosi più modalità di accesso a Internet come una seconda linea ADSL o un link satellitare.
Quanto a privacy e protezione dei documenti informatici (Art. 51, comma 2 del CAD), se fisicamente tutti i dati sensibili risiedono in un server all’interno del territorio nazionale, possibilmente appartenente a una PA ma comunque gestito da professionisti in una locazione sicura, obblighi e spese delle PA locali si riducono a rispettare procedure semplici, come utilizzare password sicure e cambiarle regolarmente.
Gli ostacoli culturali al consolidamento
I paragrafi precedenti mostrano che oggi, in generale, una qualsiasi PA locale italiana che si muova decisamente almeno verso il consolidamento dei suoi data center non fa che mettere in pratica le direttive emanate a livello nazionale.
Inoltre, come abbiamo visto, consolidare può aiutare moltissimo a ridurre i costi, ma per ottenere i benefici maggiori occorre prima virtualizzare più applicazioni possibile. Questo è un grande problema e, allo stesso tempo, una grande opportunità, per le piccole PA di tutto il mondo, non solo italiane. La virtualizzazione delle normali attività da ufficio si scontra prima di tutto col modo di lavorare che (principalmente per inerzia culturale) è ancora standard in troppe PA, quello descritto efficacemente un impiegato pubblico canadese nei commenti a “Changing the government IT landscape with CloudStore”:
“Nel 2012 abbiamo ancora molti impiegati pubblici sui cui computer non c’è altro che Microsoft Office e Microsoft Outlook, spesso ancora fermi alle versioni 2003. In gran parte della PA si lavora con desktop vecchi di 5/6 anni, con applicazioni locali obsolete che limitano la collaborazione, creano problemi di compatibilità e in fin dei conti costano troppo”.
Virtualizzazione e consolidamento convengono tanto più quanto è maggiore il numero di servizi che già si svolgevano, o si iniziano a svolgere per poter virtualizzare, direttamente su server anzichè su desktop. Ancora più esplicitamente, virtualizzare certe attività serve a ben poco se:
- si continua a produrre o chiedere carta non necessaria, come nel caso dei bolli per copie informatiche;
- si definiscono procedure e comunicazioni interamente digitali nel modo peggiore, ovvero come copie passo passo di quelle vecchie, interamente cartacee.
Infine, come ha scritto Francesco Magri, sempre in “La PA sulla nuvola”:
“Dobbiamo tener presente che il superamento dell’idea di possesso è davvero fondamentale. In Italia ciascuno degli ottomila Comuni può scegliere un sistema di anagrafe diverso; perché il Ministero dell’Interno non decide di fare il database centrale dell’anagrafe e di fornire il software in modalità Cloud a tutti i Comuni italiani”
Questi, che sono culturali prima ancora che tecnici o economici, sono forse i maggiori ostacoli al consolidamento dei server.
Un errore da evitare: contratti poco robusti o incompleti
Parlando delle criticità giuridiche del Cloud Computing, l’avvocato Ernesto Belisario scrive:
- I contratti devono garantire un certo livello minimo di disponibilità del servizio e definire chiaramente le responsabilità nel caso di eventuali violazioni o incidenti di sicurezza.
- Privacy: il fornitore deve rispettare gli obblighi di protezione imposti dal Codice Privacy e non trasferire i dati al di fuori dei confini della Comunità Europea a causa dei limiti imposti dalla normativa vigente. Altri suggerimenti sullo stesso tema si trovano nel documento Cloud computing: indicazioni sull’utilizzo consapevole dei servizi del Garante per la tutela dei dati personali.
- È importante, inoltre, verificare che la proprietà dei dati rimanga all’azienda mediante apposite clausole di riservatezza, salvaguardia e rivendicazione dei diritti di proprietà intellettuale.
Far uscire i propri dati e programmi dal proprio ufficio o data center vale la pena solo se non è una strada senza ritorno, e se non la si percorre lasciando guidare qualcun altro. Non avrebbe senso spostarsi su un data center esterno, fuori dal proprio controllo diretto, se non ci fossero le massime garanzie di poterlo cambiare in ogni momento, al minimo costo possibile. In altre parole, virtualizzare e consolidare non può funzionare seriamente senza passare a formati, protocolli, programmi e piattaforme che siano standard davvero aperti. C’è una differenza profonda fra il consolidamento dei server come proposto qui, ovvero guardando al G-Cloud, e l’outsourcing tradizionale.
Virtualizzando e consolidando con tecnologie aperte si mantiene sempre (o si recupera) il pieno controllo dei dati e dei servizi a nome e nell’interesse dei cittadini. Il CTO del Dipartimento della Difesa Americano ha espresso così le conseguenze dell’ignorare questa regola: “se spostassimo sul cloud la tecnologia (non standard) che abbiamo oggi, staremmo peggio, anziché meglio di adesso”. Lo stesso concetto è stato ribadito da Aldo Liso, nelle presentazioni già citate: “Occorre migrare le applicazioni legacy verso ambienti operativi open in grado di operare su piattaforme industry -standard, che possono essere acquisite da più fornitori (multi-vendor)”.
Conclusioni e suggerimenti pratici
Per una PA locale, virtualizzazione e consolidamento di tutte le applicazioni e i servizi informatici non sono solo il primo passo verso qualcosa al di fuori della sua sfera d’azione (il G-Cloud) che potrebbe arrivare anche dopo anni.
Come abbiamo visto nei paragrafi precedenti, virtualizzazione e consolidamento portano comunque vantaggi, anche da soli. Consolidare riduce i costi e può aumentare la produttività, portando a lavorare in un modo nuovo, molto più trasparente, semplice e veloce. È essenziale capire che questo vale anche in una piccola PA ancora non raggiunta dalla banda larga, visto che lo si può fare anche internamente e che vale (vedi sotto) anche se ha solo software da ufficio.
Virtualizzare e consolidare sono anche i maggiori prerequisiti tecnici per facilitare enormemente la diffusione su larga scala del telelavoro nella PA, almeno per chi svolge mansioni che non trattino dati realmente sensibili. Un passaggio molto importante se pensiamo all’ambiente, ai costi dei carburanti e a tutti i tagli ai trasporti pubblici, sia per i grandi centri urbani che per i comuni rurali.
Infine, virtualizzare (ripetiamo: anche sulla propria intranet!) può essere molto più semplice per una piccola PA che usa solo suite da ufficio e posta elettronica, che per un grande ente che magari ha ancora vecchie applicazioni su mainframe. Ambienti Open Source con interfaccia Web come Twiki o FengOffice bastano da soli per buona parte delle procedure burocratiche di una piccola o media PA.
Il consolidamento dei server è cosa buona. Il modo giusto di farlo, se non l’unico possibile per una piccola PA con pochissimi mezzi, è come se fosse già per spostarsi sul G-Cloud. Da questa considerazione nascono i semplici suggerimenti pratici che seguono, da tener presenti nel momento in cui si inizia a migrare verso server virtuali e consolidati:
1. Riuso!!!! Riusare quanto già esiste e mettersi insieme, anche su scala locale, condividendo la ricerca di soluzioni e spese. Il bello della virtualizzazione è che rende molto più facile copiare quello che già funziona per altri.
2. I grandi fornitori di hosting italiani privati offrono già servizi per migrare sui loro cloud programmi gestionali, applicazioni back-end e database, senza investimenti iniziali e pagando solo le risorse utilizzate senza sprechi di alcun tipo. Prima di rivolgersi a loro però, chiedere aiuto (cioè spazio nei datacenter) alle PA più grandi della propria area.
3. Se proprio si deve metter su un nuovo datacenter per la propria PA, pubblicizzarlo presso tutte le altre PA della stessa zona, invitandole a usarlo per virtualizzare i loro server.
4. Per nuovi servizi software: non commissionarli se non come già pronti per essere spostati in qualsiasi momento su data center remoti, anche non appartenenti a chi offre inizialmente il servizio.
5. Verificare le date di scadenza di ogni servizio di fornitura IT. Per tutti quelli futuri, non vincolarsi a uno stesso fornitore hardware per tempi troppo lunghi.
6. Cominciare a discutere subito, con i fornitori attuali di applicazioni non virtualizzate, alternative aperte che lo siano, e che siano pronte per essere spostato su un server remoto.
7. Coordinarsi, soprattutto nella scelta di nuovo software, con le altre amministrazioni locali della stessa area e/o con quelle regionali.
Chiudiamo questo dossier rilanciando la proposta fatta da Roberto Masiero in “La PA sulla nuvola” che ribadisce l’utilità e l’opportunità di muovere verso il G-Cloud partendo dal basso:
“Potremmo iniziare a spostare in Cloud i service di scuole e piccoli Comuni per assicurare le comunità operative. Perché chi lavora nei piccoli Comuni o nelle scuole deve essere onerato di tutte quelle responsabilità che ci sono nella gestione di queste attività? Meglio virtualizzare i service, metterli nella nuvola e dare a queste persone solo la responsabilità dell’alimentazione e della certificazione del dato. Parlo anche ad esempio dei servizi pubblici locali, dei dati della Protezione Civile o dell’infomobilità”.
*Marco Fioretti, divulgatore, formatore, scrittore e attivista freelance, ha curato, tra l’altro, la ricerca “Open Data, Open Society” della Scuola Sant’Anna di Pisa (leggi l’intervista sul sito di FORUM PA)
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