Dalla cittadinanza digitale il cambiamento culturale della PA

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La nascita di una cittadinanza digitale comporta necessariamente l’attivazione di nuovi servizi da parte della PA, e il mutamento culturale della pubblica amministrazione, affiancato dalla crescita dei nuovi diritti e doveri dei cittadini che la tecnologia rende ora più facile, almeno potenzialmente

27 Aprile 2016

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Sandro Golzio, direttore centrale Commercio, Lavoro, Innovazione e Sistema Informativo, Comune di Torino

La pubblica amministrazione italiana è attraversata da un grande fermento di “innovazione digitale”, ossia di una trasformazione del rapporto con i cittadini, le imprese e più in generale con la società, che vede nell’utilizzo delle tecnologie il suo principale fattore abilitante. Il “Cantiere Cittadinanza digitale” che, su impulso di ForumPA, è stato avviato con un primo incontro lo scorso 4 aprile va inquadrato in questo contesto e si propone il duplice obiettivo di mappatura delle esperienze più interessanti e di contemporanea definizione di raccomandazioni per lo sviluppo di una vera cittadinanza digitale. Penso che vada innanzitutto apprezzato l’intento di evitare la definizione di nuove norme cogenti (e talvolta irrealistiche) che rimangono poi lettera morta, limitandosi invece a raccomandazioni, a interventi che vadano ad incidere sulla cultura organizzativa della P.A. ma non appesantiscano ulteriormente l’impianto normativo italiano.

Nel corso dell’incontro, oltre alla citazioni di alcune esperienze significative da parte di alcune amministrazioni, sono stati ripresi i grandi temi che sono diventati sempre più evidenti ed importanti anche in base alle esperienze della progettualità sviluppate a partire dai primi progetti di e- governement. Mi riferisco, innanzitutto, alla necessità di adottare una visione “cittadino – centrica” , ossia servizi che partano dai reali bisogni della società e non, viceversa, da quelli della pubblica amministrazione. Purtroppo, sino a tempi recenti, i sistemi informatici sono stati progettati per sostituire e facilitare il lavoro degli uffici più che per agevolare i cittadini.

Il risultato è che molti sistemi della PA richiedono pesanti adattamenti per l’erogazione di servizi attraverso internet, hanno interfacce poco user friendly, non sono fruibili con facilità da dispositivi mobili e non dialogano con gli altri sistemi (tanto i dati necessari devono inserirli, faticosamente, i cittadini). Altra questione, quella dello sviluppo delle competenze professionali che favoriscano un orientamento al cambiamento: la tecnologia senza il cambiamento organizzativo e culturale serve a poco.

Un ulteriore elemento che mi sembra sia chiaramente emerso nel corso del dibattito è quasi una avvertenza: benissimo adottare una visione “cittadino – centrica”, ma siamo poi sicuri di conoscere cosa effettivamente chiedono i cittadini? Non rischiamo di mettere in campo dei servizi partendo dalla nostra esperienza di pubblici funzionari? servizi che sono probabilmente utili, ma che magari trascurano invece altri bisogni reali e più pressanti?

Non è casuale l’importanza che i programmi di ricerca e innovazione europei stanno dando alle esperienze di co-progettazione/co-creazione di servizi e al concetto di Government as a platform: la realizzazione dei servizi in questi casi parte dall’identificazione da parte degli utenti non soltanto dei problemi, ma anche delle soluzioni, con la PA nel ruolo primario di soggetto abilitante e di fornitore di informazioni. Si tratta però di approcci largamente da sperimentare, che non hanno ancora raggiunto una convincente massa critica. D’altronde, il concetto di cittadinanza digitale va ormai ben oltre la digitalizzazione dei servizi amministrativi erogati dalla PA (dalla classica certificazione anagrafica, sino alla componente “burocratica” collegata alla erogazione dei servizi alla persona – sanità, scuola, assistenza sociale , …-).

A mio giudizio la rete oggi offre ben altre potenzialità per garantire una effettiva cittadinanza, in cui non ci sono solo degli “amministrati” destinatari di servizi più o meno efficienti, ma il cittadino diventa un soggetto attivo in grado di far conoscere i propri reali bisogni, esprimere i propri giudizi e più in generale partecipare alla vita pubblica in modo continuo, non solo al momento del voto o attraverso le diverse forme associative o sindacali che oggi intermediano i bisogni, anche se è probabilmente esagerato pensare alla realizzazione di forme incisive di democrazia diretta. Non mi riferisco solo all’uso dei diversi social (twitter, facebook, ecc.) utilizzati come canale di comunicazione verso i cittadini, spesso in sostituzione ai media tradizionali (TV, quotidiani, …), e che possono anche essere monitorati per conoscere il sentiment verso certe scelte o politiche pubbliche. Penso anche, per esempio, a strumenti che permettano di “votare” attraverso la rete delle proposte da parte dell’amministrazione, di partecipare a processi decisionali, di segnalare criticità o idee innovative per la gestione della cosa pubblica.

Non si tratta tanto di una questione strettamente tecnologica, perché da questo punto di vista sono già a disposizione strumenti adatti allo scopo, ma è fondamentalmente un approccio culturale, molto diverso dall’attuale da parte delle persone che compongono la pubblica amministrazione, ma anche dei cittadini, se si vuole fare in modo che la rete diventi un reale veicolo di partecipazione e non sia, invece, il ricettacolo di ogni espressione di malcontento espresso più o meno civilmente. In altri termini, la nascita di una cittadinanza digitale comporta necessariamente l’attivazione di nuovi servizi da parte della PA, ma anche e soprattutto il mutamento culturale della pubblica amministrazione affiancato dalla crescita dei nuovi diritti e doveri dei cittadini che la tecnologia rende ora più facile, almeno potenzialmente.

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