Dalla formazione alla gestione dei small data: cosa è emerso al Digital & Payment Summit 2016

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Il comparto dei pagamenti è l’architrave dell’economia, è in grado di connettere aziende, banche, cittadini ed Istituzioni . Nel 2015 i pagamenti con carte sono cresciuti del 12,4%, con 44 operazioni medie per ogni italiano, con una forte spinta delle carte di debito e delle prepagate, ma la vera sfida è sul terreno dell’educazione finanziaria

27 Giugno 2016

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Maurizio Pimpinella, presidente Associazione Italiana Istituti di Pagamento e di Moneta Elettronica

La consapevolezza e la cultura, unite alla tecnologia, generano libertà, e non vi è libertà senza quella economica e finanziaria: questo è quanto emerso, a mio avviso, dal Digital & Payment Summit 2016. Non mi dilungherò dicendo che è senz’altro risultata essere la migliore edizione in tredici anni di attività, sia con riferimento al panel relatori – un mix di top-player ed istituzioni senza precedenti – sia al pubblico, di oltre settecento persone, la cui grande partecipazione è stata fondamentale per la riuscita dell’evento.

Il comparto dei pagamenti è l’architrave dell’economia, la lingua comune del mondo operoso che ci circonda e di cui facciamo parte. E’ in grado di connettere aziende, banche, cittadini ed Istituzioni .

Nel 2015 i pagamenti con carte sono cresciuti del 12,4%, con 44 operazioni medie per ogni italiano, con una forte spinta delle carte di debito e delle prepagate, siamo sulla buona strada senz’altro. Ma credo la vera sfida sia sul terreno dell’educazione finanziaria : perché mai in un mondo sempre più veloce sorge la necessità di educarsi – e dunque, fermarsi per riflettere sul mondo che ci circonda?

Sembrerà banale, ma è bene rendersi conto che nella nostra società del benessere 10 milioni di italiani non hanno rapporti bancari di nessun genere e la metà del Paese non è presente su internet. Pensate la complicazione, i passi indietro di decenni: è esperienza di tutti noi, quando da più giovani andavamo fisicamente presso i negozi di dischi, ordinando ciò che cercavamo, aspettando in seguito, talvolta senza che vi fosse alcun seguito, oppure le file all’università per prenotare un esame, recarsi nelle biblioteche centrali per richiedere tomi. Certamente tutto questo ci ha forgiati, ma chi oggi non ha accesso al web e non è legato al sistema bancario, vive in una realtà molto simile a quella che ho appena descritto. Con la differenza che oggi il mondo ha un ritmo molto più veloce ed è, in un certo senso, più spietato verso chi – per una ragione qualsiasi – non possa permettersi di stare al passo con i tempi. Come pretendiamo di colmare questo gap, questa lacuna infinita tra l’Italia connessa e l’Italia che non lo è, senza un forte lavoro di educazione finanziaria? Dico finanziaria, più che digitale, per due ordini di motivi. Innanzi tutto, perché la finanza (non solo l’alta finanza, anche quella contenuta nelle nostre tasche) è in una certa misura il risvolto più pratico del progresso, dunque imparare ad amministrare le nostre tasche significa prendere dimestichezza con tutte le tecnologie ed i sistemi utili affinché questo possa essere fatto nel migliore dei modi. In secundis, preferisco non tracciare una linea di demarcazione troppo netta tra il mondo digitale e quello analogico, fisico: troppo spesso ho sentito parlare del digitale come entità distinta dal mondo reale, come alternativa ed esso. In realtà, le ‘rivoluzioni digitali’ sono già avvenute, stiamo andando incontro ad un autentico sincretismo tra digitale ed analogico-fisico. Di recente, ad esempio, Facebook ha annunciato tramite la pagina “Facebook for business la futura evoluzione del servizio “Local Awareness” che tutti conoscerete, anche se non con questo nome: sostanzialmente, sfruttando la funzione gps dei cellulari, permette ai negozi di capire quali utenti siano nei paraggi per proporre loro offerte personalizzate. La novità è presto detta: all’interno di queste pubblicità, Facebook stesso potrà fornire all’utente il percorso migliore per raggiungere il negozio e dare riscontro ai negozianti (in forma anonima) sull’effettivo tasso di ingresso (nel negozio stesso). Naturalmente, le pubblicità messe in vendita dal social network raggiungeranno un’accuratezza nella targetizzazione senza precedenti.

Quando ho letto questa notizia, istintivamente ho avuto due pensieri distinti, anzi, tre. Per prima cosa, ho realizzato che già tre anni fa mi ero espresso in materia di geolocalizzazione, dicendo che senz’altro Facebook avrebbe trovato il modo per apporre la sua cifra stilistica su questa tecnologia e che, con riferimento alle carte di pagamento, implementare questa tecnologia legando la posizione di uno smartphone a quella di una carta (verosimilmente custodiamo tutti il portafoglio vicino al cellulare) sarebbe stato un metodo efficace per contrastare clonazioni o furti . La seconda considerazione, a caldo, è stata che ci stiamo avviando verso un uso predittivo dei dati – legittimamente – raccolti tramite la tecnologia. L’esempio di ‘Minority Report’ è ormai talmente blasonato che non sento il bisogno di farlo. Ma, effettivamente, questo è lo scenario a cui andiamo incontro: un mondo in cui corpose moli di informazioni nei nostri riguardi verranno utilizzati per offrirci il miglior servizio possibile, ma soprattutto, al momento giusto. A questo proposito è arrivato il terzo pensiero, senz’altro maturato a seguito di quanto detto al Digital & Payment Summit 2016: in materia di big data, bisogna stare attenti . Non sto parlando dell’attenzione rivolta alla sicurezza legata al reperimento ed alla gestione dei dati sensibili: nel 2016 voglio dare per garantiti certi standard. Mi riferisco alla necessità di non abbassare la guardia, per non commettere l’errore umano per antonomasia: pensare di ‘saperla lunga’ . Molti commentatori e guru del digitale si sono espressi, già qualche anno fa, dicendo che i big data avrebbero segnato la fine del metodo scientifico.

Stiamo parlando di due virgola cinque quintilioni di dati al giorno, tanto per avere un ordine di grandezza. E per la cronaca, un quintilione è un miliardo di miliardi. Mi viene in mente la Biblioteca di Babele di cui scriveva Borges, il cui anniversario della morte ricorreva circa una settimana fa: la biblioteca contiene tutti i possibili libri composti da tutte le possibili variazioni delle 25 lettere dell’alfabeto, disposti in gallerie esagonali composte da venti scaffali (cinque per lato, due lati sono liberi e danno su corridoi che conducono verso altre gallerie), ogni scaffale contiene 32 libri, ciascuno di 410 pagine, ogni pagina ha 40 righe, ogni riga 40 lettere. Contiene ogni possibile informazione, utile ed inutile. Grandi filosofi e matematici contemporanei, uno fra tutti John Durham Peters, sostengono che Borges in qualche modo abbia anticipato Google, ed è così: la mission di Google è organizzare le informazioni a livello mondiale e renderle universalmente accessibili a tutti. Al contrario di Google però la biblioteca descritta non ha limiti di nessun genere, finendo per diventare un vero e proprio incubo per chiunque provi ad approcciarvisi. In una certa misura, corriamo un rischio analogo con i Big Data: ci danno l’illusione di sapere tutto, di conoscere anche ciò che non sappiamo. Di recente pubblicazione su ‘Foundations of Science’, ci viene in aiuto un paper a cura del neozelandese Cristian S. Calude e l’italiano Giuseppe Longo, rispettivamente computer scientists l’uno, biofisico e matematico (nonché professore all’Ecole normale superieure di Parigi e alla scuola di Medicina della Tufts University di Boston) l’altro: provando a dimostrare che in realtà il metodo scientifico serve, mettono in relazione banche dati generate strettamente a caso, mostrando come le correlazioni spurie con percentuali altissime che si ottengono producono informazioni prive di senso. Ecco un esempio, e mi limiterò ad uno soltanto: il consumo pro-capite di mozzarella è correlato al 96% con il numero di lauree in ingegneria. Il significato è lampante. Ed è di grande aiuto per esprimere il concetto seguente: le nuove tecnologie sono una vera benedizione, ottenuta con grandi sacrifici e studio da parte dell’umanità, ma non dobbiamo avere un atteggiamento fideistico riguardo alla loro capacità di prevedere il futuro .

Gestire grandi moli di informazioni può portare ad un ‘delirio di onnipotenza’, le cui soluzioni possono essere due: da un lato, mantenere un atteggiamento scettico-empirico, vale a dire analizzare ogni singola informazione e cercarne concreto riscontro. Dall’altro, una soluzione emersa proprio al Digital & Payment Summit 2016, imparare a gestire ed utilizzare in modo proficuo gli ‘small data’ , ovvero quelli già in nostro possesso: una singola stringa di estratto conto può fornire informazioni davvero preziose. Possedere troppi dati può indebolirci, bisogna saperne fare un adeguato utilizzo.

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