Dati aperti, politica e democrazia: il caso dei bocciati del MIUR

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Se i dati dei bocciati nella scuola statale forniti dal Ministero dell’Istruzione sono taroccati come dice Repubblica o sono solo “parziali” come dice il Ministero è senz’altro importante, ma non modifica di una virgola il mio ragionamento. Ad oggi l’opinione pubblica non ha dati certi su un elemento così importante per un Paese come il risultato scolastico, non della tornata di scrutini appena finita, ma di quella dell’anno scorso, del 2010. I dati pubblici non sono del Ministero che li dà a chi vuole e come vuole, sono dei cittadini…

5 Ottobre 2011

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Carlo Mochi Sismondi

Articolo FPA

Se i dati dei bocciati nella scuola statale forniti dal Ministero dell’Istruzione sono taroccati come dice Repubblica o sono solo “parziali” come dice il Ministero è senz’altro importante, ma non modifica di una virgola il mio ragionamento. Ad oggi l’opinione pubblica non ha dati certi su un elemento così importante per un Paese come il risultato scolastico, non della tornata di scrutini appena finita, ma di quella dell’anno scorso, del 2010.
A domanda precisa la risposta è nel comunicato stampa del Ministero che in sintesi dice: i dati li dobbiamo dare solo all’Istat, secondo la legge siamo obbligati a darglieli con due anni di ritardo (avete capito bene due anni! In tempo di Internet è una bestemmia già solo questo), quindi daremo i dati dei risultati scolastici del giugno 2010 all’Istat nel 2012. Qualsiasi elaborazione sui dati del 2010 è incerta perché quelli che abbiamo comunicato sono solo proiezioni.

Io credo che, al di là dell’inqualificabile scadenza temporale per scuole che, come ci è stato più volte detto, sono “ormai tutte in rete”, ci sia un errore politico madornale. I dati pubblici non sono del Ministero che li dà a chi vuole e come vuole, sono dei cittadini, l’Istat ne è un tenutario fondamentale, ma non è la cassaforte dei dati, come d’altronde la lodevole politica che l’Istituto sta facendo verso gli “open data” dimostra.
I dati pubblici servono ai cittadini per quello che è un ingrediente fondamentale della democrazia, ossia il controllo sociale delle politiche pubbliche, siano queste fatte dal Governo centrale, dalle Regioni o dagli Enti locali. Privare i cittadini dei dati non è una sciatteria: è un vulnus alla democrazia.

E allora? Allora liberiamo i dati! [una delle 120 proposte arrivate al nostro contest di idee per una PA migliore parla proprio di questo, leggetela e votatela se vi sembra valida]

Il senso e il concetto dell’ open government, del governo aperto è tutto qui: rendere trasparente al giudizio dei cittadini e in generale dei contribuenti, tutti i dati che riguardano il funzionamento delle amministrazioni. E non è un futuribile progetto politico per qualche forza di opposizione: è già legge dello Stato. È scritto nella legge delega 15 del 2009, è scritto nel d.lgs 150 del 2009, è scritto infine con esemplare chiarezza nella delibera 105/2010 della Civit.
Certo la norma non parla esattamente dei dati sui bocciati, o delle performance degli ospedali, ma lo spirito è chiarissimo. Riporto il testo già più volte citato, della delibera della Commissione:

La trasparenza “è intesa come accessibilità totale […] delle informazioni concernenti ogni aspetto dell’organizzazione, degli indicatori relativi agli andamenti gestionali e all’utilizzo delle risorse per il perseguimento delle funzioni istituzionali, dei risultati dell’attività di misurazione e valutazione […]” (articolo 11, comma 1). Si tratta di una nozione diversa da quella contenuta negli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241, dove la trasparenza è considerata nei più ristretti termini di diritto di accesso ai documenti amministrativi, qualificato dalla titolarità di un interesse e sottoposto a specifici requisiti e limiti.
L’accessibilità totale presuppone, invece, l’accesso da parte dell’intera collettività a tutte le “informazioni pubbliche”, secondo il paradigma della “libertà di informazione” dell’open government di origine statunitense. Una tale disciplina è idonea a radicare, se non sempre un diritto in senso tecnico, una posizione qualificata e diffusa in capo a ciascun cittadino, rispetto all’azione delle pubbliche amministrazioni, con il principale “scopo di favorire forme diffuse di controllo del rispetto dei principi di buon andamento e imparzialità” (articolo 11, comma 1, del decreto).

Che altro aggiungere: che la tecnologia ci mette a disposizione strumenti semplici e diffusi perché i dati siano veramente aperti; che gli esempi di tutti i Paesi stranieri parlano di “open data” e di portali di dati aperti; che cittadini ed imprese ormai la lezione della trasparenza l’hanno capita e non accetteranno né deroghe né aggiustamenti al ribasso. 

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