Dematerializzare la burocrazia: il divario tra ideale e ottimale
La visione estetica ideale dei servizi pubblici digitali predica un governo digitale sempre capace di replicare la velocità e semplicità cui siamo affezionati nel ruolo di consumatori di tecnologia. La funzione pubblica digitale reale invece arranca rispetto agli standard dei prodotti e servizi digitali di uso commerciale. Perché idea e pratica rimangono così distanti?
12 Maggio 2022
Gianluca Sgueo
Global Media Seminar Professor, NYU Florence
Come mai esiste un così grande divario tra la visione ideale e la situazione reale del governo digitale? Da un lato, infatti, la visione estetica ideale dei servizi pubblici digitali predica un governo digitale sempre capace di replicare la velocità e semplicità cui siamo affezionati nel ruolo di consumatori di tecnologia. Dall’altro, la funzione pubblica digitale reale arranca rispetto agli standard dei prodotti e servizi digitali di uso commerciale. Perché, quindi, idea e pratica rimangono così distanti?
Anzitutto perché, diversamente dalle aziende, l’amministrazione non può concentrarsi solamente sulla garanzia di un’esperienza gratificante. È vincolata al dovere di offrire un servizio di qualità elevata. Che cioè sia trasparente. Che faccia un uso ragionevole delle (poche) risorse disponibili. Soprattutto, che sia inclusivo. Questi vincoli si traducono in altrettante complicazioni. Alcune sono normative. Altre di design. Per le aziende questa necessità di includere tutti, assecondando le esigenze di una vasta platea di destinatari attraverso complicazioni antipatiche, ma appunto inevitabili, non sussiste. Il digitale di uso commerciale può permettersi scelte che sono precluse alle amministrazioni. Due in particolare. La prima è la scelta di essere esclusivo – e spesso lo è. Un prodotto tecnologico di ultima generazione può costare centinaia o addirittura migliaia di euro. Chiaramente non è per tutti. La seconda è di sedurre la clientela per orientarne le preferenze in direzione dell’opzione più favorevole all’azienda. Questa scelta è escludente nella misura in cui anziché orientare le scelte dei clienti in direzione di una soluzione ritenuta migliore per l’interesse comune li seduce in favore dell’opzione più profittevole per l’azienda.
Poi perché il ciclo vitale dell’azione amministrativa è fondato sulla continuità. Il ciclo vitale della tecnologia, al contrario, non solo tende a concludersi rapidamente, ma spesso pianifica la propria obsolescenza. I costituzionalisti parlano di «clausole dell’eternità» per descrivere quelle disposizioni che servono per rendere alcuni emendamenti più difficili, o addirittura impossibili da approvare. Il Grundgesetz è un ottimo esempio. La Legge fondamentale della Repubblica federale di Germania sottrae a qualsiasi ipotesi di revisione costituzionale i principi di sovranità popolare e la natura democratica, federale e sociale della Repubblica tedesca. Dona loro l’immutabilità. Il mercato invece prospera proprio in virtù dell’obsolescenza dei prodotti. Nessuno produrrebbe un bene talmente resistente all’usura da non richiedere mai un aggiornamento o un cambio. Sarebbe antieconomico.
Ancora, perché il nostro rapporto di fruitori della tecnologia cambia rispetto a quello di fruitori di servizi pubblici digitali. Da consumatori i prodotti disponibili li valutiamo, li scegliamo e, se non siamo soddisfatti, li scartiamo a favore di quelli offerti dalla concorrenza. Ai servizi pubblici disponibili sullo «store civico» accediamo per necessità. In alcuni casi per obbligo. Se quel servizio non ci soddisfa, quasi sempre la possibilità di opt out ci è preclusa.
Infine, le istituzioni pubbliche non operano alle condizioni del mercato. In particolare non subiscono la pressione competitiva da parte di altri player che operano nello stesso settore. Le eccezioni esistono, ma sono poche. Per esempio le società a partecipazione pubblica che gestiscono i servizi pubblici locali. Oppure i partenariati pubblico-privato che operano sul mercato (anche) in competizione con altri operatori. In linea di massima però il fatto che le pubbliche amministrazioni agiscano in assenza di competizione fa sì che abbiano minori incentivi a garantire la massima soddisfazione dell’utente. O quantomeno che abbiano uno stimolo ridotto a innovare servizi e prodotti a favore dei cittadini. Costoro del resto, lo abbiamo appena visto, non hanno possibilità di uscita dal mercato.
Per questi quattro motivi la narrazione del servizio pubblico digitale deve riappropriarsi del concetto di complessità, evitando di demonizzarla. Come abbiamo evidenziato già in un precedente articolo, l’idea di complessità, che il digitale ci spinge a trascurare, a fuggire addirittura, non può sparire dall’immaginazione e dalla narrazione del sistema pubblico. Governare rimane un’azione complessa. Vi contribuiscono competenze diverse, su più livelli. Chi governa è chiamato spesso a misurarsi con un elevato livello di incertezza. Pesano, sulle decisioni pubbliche, numerosi elementi di irrazionalità. Occorre tempo per recepire, valutare e poi appianare le divergenze tra interessi in gioco, per tutelare tutti i destinatari. Come tale va descritta e compresa l’azione pubblica. Non c’è dubbio: oggi difendere la complessità è impopolare. Eppure è necessario – di più: è essenziale – se si vuole vincere la partita sul tavolo culturale.
Di queste sfide e del divario tra ideale e reale del governo digitale, Gianluca Sgueo si occupa nel libro pubblicato con Egea, ‘Il divario – i servizi pubblici tra aspettative e realtà’. Gianluca Sgueo sarà nostro ospite a FORUM PA 2022, nella Rubrica “Un caffè con…” del 14 giugno (all’interno dell’Arena di FORUM PA)