Designazione e ruolo del RTD nella PA: efficacia ed efficienza per la trasformazione digitale
Il Responsabile della Transizione al Digitale è una figura centrale nel processo di digitalizzazione in ogni ente amministrativo d’Italia. Le nomine procedono, ma quali competenze sono necessarie per ricoprire questo ruolo?
27 Maggio 2021
Redazione FPA
Una figura ancora sottovalutata, che riveste invece un ruolo chiave nel percorso di digitalizzazione della PA. Stiamo parlando del Responsabile della Transizione al Digitale (RTD), che ha un ruolo di coordinamento su tutte le attività che riguardano i progetti di trasformazione digitale della PA. E non si tratta solo di soluzioni informatiche da implementare. La transizione al digitale delle Pubbliche amministrazioni, infatti, implica anche:
- la formazione di tutto il personale operativo;
- l’aggiornamento costante in merito alle nuove norme;
- l’individuazione e la pianificazione delle attività necessarie a ottenere l’obiettivo;
- l’informazione ai cittadini;
- il coordinamento tra enti pubblici.
Introdotto quattro anni or sono con la Circolare n.3 del 1 ottobre 2018, il ruolo del RTD si avvia alla sua fase di consolidamento con il Piano Triennale per l’informatica della Pubblica Amministrazione. Al capitolo 8 del documento, infatti, si fa un chiaro riferimento al RTD, quale leva strategica – tra le quattro individuate – per l’innovazione delle PA e dei territori. I cambiamenti organizzativi e gli adeguamenti tecnologici necessari, insomma, dipendono dal RTD, il quale ha spiccate competenze tecnologiche, manageriali e di informatica giuridica.
Tutto ciò in teoria. Nella pratica, infatti, la situazione è un po’ diversa. Vediamo sotto quali aspetti e perché.
RTD nella trappola tra “il dire e il fare”
Il RTD dovrebbe essere individuato all’interno degli Enti – Istituti scolastici esclusi, che hanno un unico RTD nominato in forma associata – ed essere registrato sull’Indice delle Pubbliche Amministrazioni. Questo dicono le direttive. Va da sé, però, che non tutti gli uffici pubblici abbiano potuto individuare il giusto candidato, capace di prendere in carico l’intero processo di Transizione al digitale, non fosse altro perché le competenze richieste lo rendono di non facile reperimento tra il personale al momento operativo. Pensiamo ai piccoli Comuni, per esempio, che potrebbero aver designato una persona la cui formazione è ancora oggi in divenire, oppure non averla trovata affatto.
Mentre scriviamo, il numero totale dei RTD nominati è di 7.161, dei quali 4.228 sono operativi nei Comuni e loro Consorzi e Associazioni (dato aggiornato al 30/4/2021 (fonte: Avanzamento trasformazione digitale, AgID). Questo dato corrisponde al 53% dei Comuni. Ciò implica che ben il 47% è ancora privo di questa figura dirigenziale. Bene, invece, nei Ministeri ed enti Regionali e provincie autonome, nei quali il RTD è ovunque presente, ma, al netto di questo dato, si capisce come il compito di Transizione al digitale della PA non sia privo di ostacoli, mancando chi possa pianificare e coordinare tutte le attività richieste.
Polivalenza culturale per trasformare, leadership per persuadere
È centrale quindi la formazione di competenze adatte a svolgere questo ruolo. E non si tratta solo di competenze informatiche, il RTD deve avere infatti la professionalità utile per pianificare, gestire e valutare ogni azione utile al raggiungimento dell’obiettivo prefissato: la completa transizione al digitale della PA. Servono, quindi, buone doti manageriali e capacità di leadership per accompagnare, sensibilizzandoli, gli operatori dell’Ente e i cittadini verso una nuova visione del lavoro e dei servizi.
Ancora troppo spesso, invece, il RTD viene nominato all’interno dell’IT, pensando che sia necessaria solo una competenza relativa alle soluzioni applicative e dimenticando, invece, l’approccio multidisciplinare richiesto. Un approccio basato sulla valutazione dei rischi del governo della compliance nella trasformazione digitale.
Per comprendere le esigenze formative di un eventuale RTD, basta scorrere i compiti che gli sono assegnati:
- impostazione della riorganizzazione in chiave digitale dell’amministrazione;
- coordinamento con gli altri dirigenti presenti per la verifica di coerenza tra l’organizzazione, i servizi digitali offerti e la soddisfazione degli utenti;
- coordinamento e monitoraggio delle attività descritte nel documento di pianificazione per lo sviluppo dei sistemi informativi (da lui stesso elaborato)
- progettazione dei servizi ai cittadini e alle imprese in collaborazione con altre amministrazioni mediante gli strumenti di cooperazione applicativa condivisi;
- promozione all’interno e all’esterno dell’Ente amministrativo delle iniziative di trasformazione digitale;
- piano di formazione del personale;
- promozione dell’accessibilità dei servizi;
- scelta e/o indicazione di sviluppo di soluzioni informatiche e telematiche
- monitoraggio della sicurezza informatica;
- pianificazione e coordinamento degli acquisti di soluzioni informatiche e telematiche.
Il principio (pratico ed etico) che guida la scelta degli applicativi
All’interno dell’ente, ogni aspetto decisionale o operativo riconducibile alla trasformazione digitale è di competenza del RTD, tuttavia i limiti al potere decisionale esistono e sono legati da un lato a questioni di bilancio, dall’altro alla disciplina in materia di software open source.
Ricorrere a soluzioni già disponibili sul mercato può aiutare il RTD nel raggiungere con più facilità gli obiettivi fissati dal Piano triennale. Molte soluzioni rilasciate sotto licenza aperta sono già attivabili o disponibili per le PA tramite riuso, oppure direttamente acquistabili sul MEPA.
Del resto, le “Linee guida sull’acquisizione e riuso di software per la Pubblica Amministrazione” indicano chiaramente che, prima di acquisire nuove licenze o sviluppare software nuovi, deve essere verificata la possibilità di riutilizzare soluzioni open source messe a disposizione da altri enti amministrativi.
In una logica di efficienza, di “economia circolare” o, potremmo dire, di comunità, i RTD sono chiamati a:
- consultare il Catalogo nazionale dei software open source della Pubblica Amministrazione di Developers Italia;
- eventualmente, sviluppare (dopo valutazione tecnica -economica preventiva) software con licenza aperta e renderli disponibili sullo stesso Catalogo.
Buone pratiche sostenute anche dalla Commissione Europea con la Open Source software strategy 2020-2023, che un RTD competente applicherà nel segno dell’innovazione strutturale e virtuosa della PA.
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