Di quando gli Indigeni digitali andarono a Bruxelles
Come avevamo segnalato tempo fa, l’8 e il 9 novembre scorso a Bruxelles all’interno degli uffici di Google e promossa dal parlamento Europeo si è svolta una competizione piuttosto inusuale, almeno per come siamo abituati a percepire la politica nazionale ed europea: l’EU Hackaton. Abbiamo provato a farci raccontare questa breve (23 ore), ma intensa, esperienza da Giuliano Iacobelli, promotore di un team di sviluppo costruitosi grazie al network “Indigeni digitali”.
6 Dicembre 2011
Tommaso Del Lungo
Come avevamo segnalato tempo fa, l’8 e il 9 novembre scorso a Bruxelles all’interno degli uffici di Google e promossa dal parlamento Europeo si è svolta una competizione piuttosto inusuale, almeno per come siamo abituati a percepire la politica nazionale ed europea: l’EU Hackaton. Abbiamo provato a farci raccontare questa breve (23 ore), ma intensa, esperienza da Giuliano Iacobelli [giulianoiacobelli.com], promotore di un team di sviluppo costruitosi grazie al network “Indigeni digitali”.
Cominciamo con il dire che un hackaton (crasi tra le parole hack e marathon, cioè una maratona per hacker) è un evento per appassionati di tecnologie, come ci ha spiegato Giuliano: “Le finalità di questa competizione erano principalmente comunicative, si voleva cioè sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza della trasparenza e dell’accountability. Ma per noi che abbiamo partecipato la vera motivazione era riuscire a progettare una soluzione che fosse riconosciuta valida e realizzarla in quel poco tempo a disposizione, utilizzando la maggior quantità possibile di tecnologia”. Insomma, gli hacker lo fanno per passione!
Ma in cosa consisteva concretamente la prova? Innanzitutto, si trattava di una competizione per gruppi, occorreva cioè fare rete tra competenze diverse, un elemento che ha permesso di testare la capacità di aggregazione dei vari network (formali o informali che siano) tra cui, appunto, anche quello degli Indigeni Digitali. Durante le 23 ore a disposizione per la gara, i vari team dovevano realizzare delle applicazioni web per rendere fruibili alcune informazioni contenute in aggregazioni di dati grezzi. L’hackathon si sviluppava su due tracce: una dedicata alla misurazione della qualità dei servizi internet offerti dagli operatori mobili europei, ed una seconda che si concentrava sull’accessibilità delle informazioni che circolano in internet.
“Il nostro gruppo ha partecipato alla seconda traccia, quella sulla Global Transparency – ci racconta Giuliano – il punto di partenza era rappresentato da alcuni file di testo contenenti informazioni sulla non raggiungibilità di alcuni siti web in diversi paesi del mondo. Sappiamo bene che diverse nazioni mettono dei filtri all’informazione in rete, il caso più eclatante è quello della Cina, ma non è l’unico esempio (il Google Trasparency Report ne offre un elenco ricco, anche se non esaustivo) e quei file contenevano, appunto, informazioni di questo tipo. Per dare un’idea a chi non si occupa di questi temi, si trattava di un elenco di numeri e indirizzi web separati da virgole. Insomma un’informazione importante, ma molto poco leggibile”.
L’idea del team di Iacobelli si chiamava sharpnod.es (il prototipo è ancora visionabile on line) ed offriva un’esperienza di navigazione tra i dati sulla censura. A partire da un determinato sito web, sharpnod.es mostra all’utente i paesi che hanno posto dei filtri per l’accesso a quel sito e gli internet provider che hanno tecnicamente impedito l’accesso. In aggiunta per ogni paese vengono offerte delle informazioni contestuali come, ad esempio, il punteggio in materia di trasparenza attribuito al paese stesso.
Sharpnod si è qualificato terzo nella sua traccia, “Siamo molto orgogliosi del nostro progetto – spiega Giuliano con un po’ di rammarico – ma forse abbiamo avuto un approccio eccessivamente tecnico, un po’ troppo da ingegneri. Tant’è che i progetti che sono arrivati prima di noi erano strutturati a mo’ di quiz il primo e di gioco on line il secondo”.
La costruzione del Team
Ciò che è particolarmente interessante, però, non è il risultato in sé, quanto il modo con cui si è arrivati all’evento. Ed è questo che ci ha spinto a chiedere un’intervista a Giuliano. Per accedere alla maratona di 23 ore, infatti, occorreva superare una fase preliminare in cui i gruppi che intendevano partecipare hanno dovuto presentare il proprio progetto, come pensavano di realizzarlo e, soprattutto, con quale team e quali competenze. “Io sono un membro della rete degli Indigeni Digitali e non appena ho saputo di questa possibilità l’ho condivisa con gli altri membri del network. È nato così questo gruppo formato da 5 elementi: Io, Matteo Collina, David Funaro, Alessandro Manfredi e Claudio Squarcella. Tutti ingegneri, tutti con la passione per la rete, tutti indigeni digitali. Nonostante ci conoscessimo già, il network ha favorito questo incontro ed è stato un elemento aggregante molto forte. D’altronde il gruppo Indigeni digitali è nato proprio per questo: condividere una passione mettendo a disposizione del resto del network le proprie competenze e le proprie conoscenze per creare qualcosa di positivo. All’interno di Indigeni digitali sono nate moltissime collaborazioni e opportunità. Mettendo a disposizione le competenze di ciascuno, cresce il valore per ognuno di noi, e il modo in cui si discute di un argomento permette di dire la propria e, allo stesso tempo, di approfondire l’argomento nel momento in cui se ne parla”.
Se dal punto di vista del committente, quindi, l’EU Hackathon è stata un’operazione di comunicazione, per chi vi ha partecipato si è trattato di un modo per testare le proprie competenze e, soprattutto creare reti e collaborazioni che, probabilmente si riveleranno utilissime sul versante professionale.