Digitalizzazione e supporto alle amministrazioni locali: dal transformation office a un nuovo modello di contaminazione tra PAC E PAL
Il Transformation Office, mettendo sul campo figure dedicate alla PAL ma facenti parte di una PAC (il Dipartimento per la Trasformazione Digitale), attraverso la sua peculiare composizione sta cercando di sopperire alla mancanza di competenze e di coordinamento degli enti locali, e sta fungendo da cinghia di trasmissione bidirezionale tra PAC e PAL in tutta Italia relativamente agli avvisi sul digitale del PNRR. Ci chiediamo se questo modello di supporto e ascolto si possa estendere, permettendo un’ulteriore e se possibile più efficace cross-fertilization tra PA centrale e locale
1 Febbraio 2023
Andrea Tironi
Project manager Digital Transformation, Consorzio.IT
Sara La Bombarda
Responsabile per la Transizione Digitale presso Regional Agency for Technology and Innovation - Puglia
Questo articolo è tratto dal capitolo “Trasformazione digitale” dell’Annual Report di FPA presentato il 27 gennaio 2023. Per leggere tutti gli approfondimenti scarica la pubblicazione
La pubblica amministrazione, anche grazie al PNRR, sta effettuando una campagna di assunzioni che non si vedeva ormai da anni. Una campagna che sta riguardando direttamente anche le strutture centrali preposte alla governance nazionale dell’innovazione. Con questo articolo si vuole esaminare, in particolare, la creazione del Transformation Office (TO), e le possibilità di estensione di questo modello per permettere un’ulteriore e se possibile più efficace cross-fertilization tra PA centrale e locale.
Per realizzare con efficacia il PNRR si è parlato molto di collaborazione tra PA centrale e locale. Questo approccio è stato recepito dalle autorità nazionali, perlomeno per l’esperienza vissuta in ambito di trasformazione digitale, in alcuni modi:
- erogazione di fondi diretti alle amministrazioni locali;
- costituzione di team territoriali di supporto alla PAL (il già citato Transformation Office del DTD, il potenziamento di Formez con unità territoriali di formazione, 1.000 esperti del Dipartimento per la funzione pubblica, solo per citare alcune iniziative);
- la richiesta di supporto alle realtà locali per l’implementazione dei progetti di trasformazione digitale.
Quest’ultimo punto si concretizza in una serie di esigenze e successive valutazioni.
Primo: l’esigenza delle amministrazioni centrali di raccogliere pareri sulle proprie scelte, in ottica di stakeholder engagement. Spesso le azioni della PAC agiscono sulle PAL, prima ancora che su cittadini e imprese, pertanto il loro coinvolgimento risulta fondamentale per avere informazioni sugli impatti. Il concetto di “cittadino al centro” si basa sul principio di mettere il ‘fruitore’ al centro. A volte, come nel caso del PNRR, per l’amministrazione centrale il fruitore è proprio la PAL.
Secondo: l’esigenza di disporre di dati per poter validare le proprie strategie. Pensare un cambiamento nella teoria (ad esempio, il sistema pagoPA) non è la stessa cosa che vederlo e validarlo attraverso un confronto con chi lo vive (ad esempio, sempre rispetto a pagoPA, il tema della riconciliazione). La commistione dei due mondi porta a soluzioni migliori, meno errori, risultati raggiunti in minor tempo.
Terzo: l’esigenza di raccogliere idee e valutare priorità indicate dai territori: risolvere in maniera eccellente un problema poco centrato risulta meno efficace che risolvere discretamente il problema giusto. Detto in altri termini, il framing di un problema è fondamentale per capire come risolverlo.
Tutto questo può essere attuato mediante: incontri puntuali, finalizzati al raggiungimento di quanto sopra descritto; community o focus group di lavoro; richieste specifiche alle persone delle PAL e della propria rete di conoscenze, con lettura di documenti, analisi, raccolte dati, valutazioni, intermediari presso gli enti locali.
Questi modelli, con i loro specifici pro e contro, sono caratterizzati da un elemento in comune: la loro debolezza tipica risiede nel fatto che chi appartiene a un’amministrazione locale conosce poco le realtà centrali, e viceversa. Inoltre, il tempo di lavoro di un dipendente PAL ‘in aiuto’ di una PAC che si dimostra aperta all’ascolto dei territori è sostanzialmente motivato dal ‘buon cuore’ del dipendente e dal senso di appartenenza a quella missione di “servitore dello Stato” (civil servant), a tutti i livelli.
Il Transformation Office, che focalizza il suo lavoro sugli avvisi sul digitale del PNRR (ovvero quelli gestiti attraverso il portale PA Digitale 2026) ha rappresentato un modo di andare oltre questo modello, facendo un passo avanti, mettendo sul campo alcune figure dedicate alla PAL ma facenti parte di una PAC (nello specifico, il DTD). Questo modello di supporto e ascolto era già stato iniziato da pagoPA con gli account manager, e quindi ripreso e portato avanti saggiamente dal Ministro per l’innovazione tecnologica e la trasformazione digitale con una maggiore presenza (sia numerica, che fisica) su tutti i territori d’Italia.
Attraverso la sua peculiare composizione[1], il Transformation Office sta cercando di sopperire alla mancanza di competenze e di coordinamento degli enti locali, e sta fungendo da cinghia di trasmissione bidirezionale tra PAC e PAL in tutta Italia.
In particolare, il team si è rilevato efficace per alcuni aspetti tra cui:
- la raccolta delle difficoltà ed esigenze delle PAL, e il conseguente trasferimento al DTD a Roma, in merito gli avvisi su PA Digitale 2026;
- il supporto alle verifiche pre-rendicontazione associate agli avvisi;
- il punto di contatto anche con i fornitori della PA, per una maggiore comprensione anche del loro mondo e del loro ruolo in relazione alla PAL (il mercato dei fornitori dell’amministrazione centrale è molto diverso dal mercato dei fornitori di quella locale, in primis per la differenza di volumi e polverizzazione economica);
- il supporto alla comprensione di alcune scelte della PAC, spesso poco chiare per le PAL.
Tuttavia, è possibile evidenziare anche alcuni limiti. Innanzitutto, il limite tipico delle strutture con estensioni territoriali, in cui spesso il centro non ‘pesa’ adeguatamente le sue risorse umane dedicate alle diramazioni nel territorio. C’è poi la selezione del personale, che è stata molto veloce e improntata a percorsi nettamente migliori rispetto ai ‘concorsi burocentrici’ a cui la PA (sia centrale che locale) ci ha abituati, che però hanno anche portato, talvolta, a preferire una selezione per compliance. Ancora, le figure acquisite in buona parte stanno apprendendo il funzionamento della macchina locale in “training on the job”. Questo anche a causa del rapido processo di inserimento di queste figure in una struttura già di per sé in trasformazione (il DTD ha visto una crescita esponenziale da 40 a 400 persone in pochi mesi). Infine, si assiste a una forte concentrazione delle energie sulla parte realizzativa (tecnologica o gestionale), forse sbilanciato rispetto all’esigenza di supporto alla parte normativa (produrre i documenti che servono alla compliance) più radicata nella PA e comunque altrettanto necessaria. A questi elementi, si aggiunge poi l’assenza ancora oggi di una formalizzazione del coordinamento con la figura del Responsabile per la transizione digitale (RTD) dell’ente. Il RTD, obbligatorio ex art. 17 del CAD per ciascun ente locale, dovrebbe essere l’interlocutore privilegiato per impostare il colloquio tra TO e PAL, anche per fornire elementi preziosi per raccontare il territorio e velocizzare la comprensione dei processi interni alla PAL. Una formalizzazione del ruolo del RTD nel dialogo con il TO, e dunque nell’attuazione del PNRR, avrebbe giovato anche alla valorizzazione della strategia ICT definita dai RTD nei singoli enti. In questo modo, gli avvisi PNRR potevano essere vissuti come acceleratori di obiettivi già definiti, iscritti in un progetto organico e strategico. E per tutti quegli enti troppo piccoli o poveri in competenze in cui il RTD non è ancora riuscito a definire una strategia di crescita ICT? Bene, in tutti questi casi, il TO potrebbe comunque avere un’efficacia positiva, ad esempio sollecitando un confronto anche allargato con realtà simili (per rilanciare la possibilità di avere RTD in forma aggregata). Se il TO nell’interazione con il territorio prescinde dal confronto con il RTD, il rischio è che gli avvisi PNRR siano vissuti come occasioni da cogliere e basta, con buona pace del percorso interno intrapreso (o da intraprendere) nei singoli enti.
Detto questo, l’esperienza degli enti è sicuramente positiva, soprattutto laddove erano da soli, senza società di riferimento come le in house/aggregatori territoriali, che svolgono già questo ruolo e con cui il coordinamento è fondamentale. Le amministrazioni locali oggi si sentono ascoltate, supportate e guidate, cosa non da poco in tempi normali, meglio ancora in epoca PNRR, dove la velocità di esecuzione dà maggiore risalto alla carenza di personale e competenze degli enti locali. Avere qualcuno con cui parlare (non una PEC a cui scrivere) per spiegare le proprie difficoltà puntuali o strutturali nel raggiungimento di un obiettivo del PNRR, avere una persona da incontrare fisicamente o in una call dedicata quando hai un problema su un avviso, per un ente è importante.
A questo si associa un nuovo modello di gestione degli avvisi, con il portale PA Digitale 2026, che rappresenta un nuovo modo di gestire bandi nella PA. Il portale ha un’interfaccia moderna, guidata, inclusiva e chiara. Permette di conoscere le scadenze degli avvisi, ha semplificato la compilazione del ReGIS (che viene infatti compilato grazie ai dati inseriti nel portale). Ha introdotto una gestione utenti che permette a Comuni e fornitori di interagire, un supporto di FAQ e soprattutto di assistenza che consente ai Comuni di capire meglio cosa fare. Quindi, un deciso passo avanti rispetto a portali statici old style, con PEC di contatto come unico aiuto. Infine, non ultimo per importanza, il portale ha iniziato a integrare dati associati alle richieste di candidatura, ovvero ha iniziato a indicare se puoi o non puoi fare un certo tipo di candidatura in base ai dati già disponibili al DTD. Questo riduce il lavoro di inserimento dati, di controllo e fa risparmiare tempo a tutta la PA (e al paese, in ottica di maggiore produttività, tallone d’Achille italiano da anni).
Sia il Transformation Office che il portale PA Digitale 2026 rappresentano quindi un punto di non ritorno (o almeno, lo auspichiamo) nel panorama della PA. Un punto da cui partire per ogni portale futuro della PA che necessiti di interazione tra PAC e PAL (ma anche tra PA e cittadino o PA e impresa: il livello di design è nettamente superiore ai siti ‘soliti’ della PA).
Sarebbe quindi chiaramente un peccato vedere PA Digitale 2026 come il picco tecnologico e di design di un percorso che poi torna agli standard pre-PNRR. Altrettanto grave sarebbe vedere il futuro smantellato del Transformation Office, che pur nelle difficoltà di essere nato molto velocemente, sta cercando di fare del suo meglio per fare da canale di trasmissione tra esigenze locali e vincoli centrali, nonché tra indicazioni e valutazioni nazionali e attuazione territoriale. In aggiunta, quindi, all’approccio del Transformation Office, sicuramente positivo nella sua forma, si potrebbe pensare a un’estensione del modello, allo scopo di migliorarlo ulteriormente e renderlo più efficace. L’estensione potrebbe prevedere, in aggiunta alle figure di esperti selezionate a livello centrale per essere un braccio lungo della PAC sui territori, la creazione di figure ibride PAC/PAL, ovvero dei civil servant che lavorino contemporaneamente sia per la PAC che per la PAL.
Si tratterebbe di figure che, pur avendo un contratto a tempo indeterminato, ad esempio con una PAL, potrebbero ridurre le ore di lavoro presso le proprie amministrazioni per potersi dedicare anche alla PAC (non dedicando solo tempo personale) o viceversa, se possibile, grazie ad un contratto di collaborazione continuativa con la PAC, realizzare un’esperienza formalizzata, con uno specifico ruolo che li abilita a portare avanti azioni efficaci. Si potrebbe dar così vita a quelle forme di contaminazione (cross-fertilization) tra PAL e PAC, che sono sempre più imprescindibili per passare dalla strategia all’azione, e per:
- incanalare la teoria nella pratica e la pratica nella teoria, capire meglio perché alcune cose accadono in un determinato modo (ad esempio, rendere trasparente e condivisa per le PAL la genesi di un dettame normativo, così come far comprendere alle PAC la rilevanza di una consuetudine o di uno stato di fatto che limita comportamenti virtuosi);
- unire i puntini di entrambi i mondi (PAC e PAL) creando connessioni prima impensabili e generando nuove idee.
Si tratterebbe di ibridi, di X-PA. In un momento così importante come il PNRR, perché non fare uno sforzo di esplorazione di questa possibilità andando oltre la ‘burocrazia funzionale e meccanica’, che prevede solo modelli che abbiano la ‘giusta compliance normativa’ senza preoccuparsi delle attitudini, delle capacità specifiche e delle opportunità date da figure così radicate sia in un ambito che nell’altro, grazie al fatto che li vivono entrambi attivamente? E in fondo, che conflitto di interesse ci può essere, tra un civil servant che lavora per una PAC o PAL e un ibrido che lavora per entrambe? Non potrebbe in questo modo meglio servire il suo paese (e il suo ente locale e il suo dipartimento)?
[1] La struttura prevede: coordinatori d’Area, in cui l’Italia è divisa in alcune in base al numero di Comuni; account manager, figure di natura gestionale di ascolto e supporto agli enti; technical manager, figure di supporto tecnico agli account manager e agli enti.