‘
I dati sono il petrolio del nuovo millennio!’ Questo ritornello lo ascoltiamo ormai da anni e siamo alquanto persuasi che ciò corrisponda al vero. La nostra vita è regolata ormai dalla produzione, dallo scambio e dall’analisi dei dati.In termini assoluti (senza distinguere il settore pubblico da quello privato) è riconosciuto ovunque nel mondo che chi produce o governa dati è fortemente consapevole di possedere un patrimonio importante, utilissimo per l’economia odierna (sempre più assimilabile a una vera e propria Data economy). Ciò inevitabilmente lo porta anche a garantirsi, grazie a tecniche e abilità, dei vantaggi competitivi considerevoliFra i soggetti che detengono asset consistenti di dati possiamo annoverare a buon titolo tutta la Pubblica Amministrazione italiana anche se, purtroppo, la stessa non ha maturato ancora una consapevolezza tale che le permetterebbe di sfruttarli meglio, trarne dei vantaggi e dunque valorizzarli.Il vero problema è ancora una volta di tipo culturale. Chi gestisce la cosa pubblica non riesce a comprendere che questo
moloch, ormai completamente digitalizzato nei suoi processi, può diventare attraente e utile se reso accessibile come una vera e propria piattaforma, aperta e libera, che offre dati a chiunque ne voglia fare un uso profittevole per se stesso, per il business della sua azienda e per la comunità.Il concetto di Pubblica Amministrazione come
enabler e come
platform (GaaP = Government as a Platform) presuppone un adeguamento culturale del management pubblico che, per ora, non si intravede all’orizzonte.Uno scatto in avanti necessario che, forse, potrebbe essere agevolato dalla figura del
Responsabile per la Transizione al Digitale, prevista dall’art.17 del CAD e recentemente sollecitata con circolare dell’attuale Ministro alla PA che, purtroppo, molte volte viene identificata in modo del tutto superficiale (ma anche deliberatamente errato) da parte delle Amministrazioni Pubbliche.Il ruolo del RDT, infatti, viene assai spesso confuso con quello del responsabile IT, ovvero con il
Chief Information Officer che, nel nostro paese, non assume quasi mai funzioni di indirizzo strategico ma si limita ad efficientare la macchina digitale a supporto dei processi interni e/o esterni dell’Ente, proponendo e adottando le nuove tecnologie e le più recenti innovazioni informatiche.Il legislatore, invece, aveva pensato a un ruolo di coordinamento più ampio e teso a indirizzare, con correlata responsabilità, la transizione digitale dell’Ente Pubblico in cui opera, coerentemente a un piano più ampio di trasformazione digitale dell’intero Paese a cui deve riferirsi, nonché sentirsi parte e far pieno riferimento aderendo e governando tutti i piani e programmi attinenti al digitale: CAD, Piano Triennale, Agende Digitali, ecc.Dunque non si tratta solamente di rivisitare i servizi pubblici digitali in base alle nuove tecnologie ma, soprattutto, di assumere un ruolo di indirizzo strategico teso ad imprimere agli obiettivi dell’Ente una declinazione digitale che vada ad incidere pesantemente sull’organizzazione, sui processi e soprattutto sulla programmazione strategica, dove il nuovo modo di operare deve assolutamente declinarsi nel principio:
digital first!In aiuto e a completamento del ruolo di questa stratega, sarebbe auspicabile dotare gli Enti più complessi (Ministeri, Regioni, Città metropolitane, ecc.) di un vero e proprio
Data manager da individuarsi come singolo ruolo alle dipendenze del RDT, o come ufficio collegato a quest’ultimo.La suggestione, ma soprattutto la ratio, potrebbero indurci ad immaginare questo ruolo come ad un vero
Chief Data Scientist, esempio brillantemente proposto dall’amministrazione Obama che, allora,
nominò DJ Patil responsabile di un ruolo affascinante: Vice direttore tecnico per la politica dei dati del governo americano.Questo ruolo lo portò a scorazzare per le strade di Washington in skateboard ma, soprattutto, lo ha stimolato a catturare dati pubblici e privati che poi assemblava per trarre indicazioni predittive tese a migliorare i servizi erogati dall’amministrazione americana.È utile però sottolineare, al di là delle affascinanti suggestioni di metodo, come l’impegno di Patil si sia rivolto soprattutto a sbloccare l’enorme potenziale derivato dai dati mediante l’identificazione di quali dataset potessero essere utili in logica di mercato.Per questa funzione palesemente
disruptive, ma molto più complessa della sintesi qui descritta, Patil venne definito ‘Big Data dude’.Un articolo esaustivo sul ruolo di Patil è stato pubblicato su Yahoo News (
qui il link).Tutte queste suggestioni dovrebbero farci riflettere sull’evidenza che i ruoli sopra descritti non possono assolutamente essere ingessati in una struttura organizzativa gerarchica con filiera di responsabilità lunghissima e spesso ostante alle libertà che sono necessarie per poter operare in modo agile, trasversale e con una visione olistica tesa a garantire benefici per tutto l’Ente e soprattutto per la comunità a cui esso si riferisce. In primis cittadini e imprese.Se per il RDT ciò è garantito dalla diretta relazione con i vertici dell’Ente (‘…
esso risponde direttamente all’organo di vertice politico …’) e dunque vanno intese nella precisa collocazione organizzativa e nelle responsabilità ad esso ricondotte, una certa dose di autonomia ed agilità, la ratio ci porterebbe a sostenere che anche il Data Manager, pur senza immaginarlo con lo skateboard, possa beneficiare delle stesse modalità per poter svolgere al meglio la sua funzione.Anche in questo caso, però, queste funzioni sono spesso intese come appartenenti al dominio dell’informatica e/o della statistica, ergo vengono identificati i responsabili dei dati nelle strutture dell’Ente che operano in questi ambiti.Interpretazione questa riduttiva e poco utile per le finalità che vogliamo ottenere attraverso la governance dell’asset pubblico riferito ai dati, soprattutto se aperti e liberi.Nella fattispecie abbiamo bisogno di un manager che sappia guardare anche oltre il perimetro dell’Ente. Sappiamo infatti che non tutti i dati prodotti dalle Pubbliche Amministrazioni possano diventare dati aperti ed è altrettanto noto che molti dati prodotti da soggetti privati influenzano le scelte e le politiche dell’Ente.Dunque il Data Manager deve saper persuadere tutti i settori dell’organizzazione a cui appartiene nel produrre dati aperti, diffondendo la cultura dell’
openess e dunque liberando le menti dei manager da quel senso di possesso che ne ostacola la diffusione.Esso deve saper operare anche con scelte tecnologiche per favorire l’esposizione dei dati curandone gli aspetti relativi ai formati, alla metadazione e dunque alla qualità degli stessi.Successivamente esso deve pianificare un vero e proprio
data plan che preveda priorità e obbiettivi coerenti con le azioni e le politiche che il RDT ha previsto a supporto della trasformazione digitale dell’Ente e del territorio a cui l’Ente si riferisce.Un ruolo importante in questo senso, sia come sperimentazione del modello di relazione Data Manager/RDT, che di fornitura dati al mercato produttivo, lo assumono sicuramente le regioni che indubbiamente detengono il patrimonio dati più consistente di tutto il comparto pubblico ma, soprattutto, sono già dotate di strumenti programmatori a supporto delle politiche di trasformazione digitale. E qui mi riferisco alle Agende Digitali Regionali e alle RIS3.Vale la pena ora sottolineare come queste attività necessitino di un accompagnamento anche dal lato della domanda di dati. Ovvero la persuasione indirizzata ai settori produttivi e della ricerca. Quei settori che possono accelerare l’adozione di tutte le tecnologie e di tutte le applicazioni emergenti tese a migliorare la qualità della vita: app, chatbot, infografiche, dashboard decisionali, sistemi assistiti dalla Ai, ecc.È indubbio che il sistema non si cambia dall’interno, ma se RDT e Data Manager avranno le capacità di persuadere nei due sensi PA e mercato nel collaborare per dare senso compiuto a dei paradigmi che sono strettamente dipendenti da un corretto uso dei dati e da una corretta identificazione del valore che i dati determinano per una miglior qualità della vita, allora detti paradigmi non resteranno solo delle scatole vuote.Dopo 10 anni che sentiamo parlare di IoT, Big Data, Ai,
Open Data e Smart city, forse il problema non è la scarsa applicabilità nel contesto pubblico di questi paradigmi ma nella totale mancanza di una governance dedicata, con ruoli precisi e utili per questa trasformazione epocale.RDT e Data manager non sono la risposta definitiva, ma sono due strumenti abilitanti dai quali non possiamo più prescindere.
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