Finanziaria: comma 176, la soluzione finale
Mentre scrivo, la bagarre intorno alla legge finanziaria è al culmine, tra emendamenti di ogni provenienza che seguono percorsi carsici, apparendo e scomparendo a comando. Mi muovo, quindi, con cautela nella mia reazione all’ennesima prepotenza della “dittatura del rubinetto” che rischia, una volta di più, di tagliare insieme al grasso presunto, il tessuto vivo e connettivo della nostra democrazia.
9 Dicembre 2009
Carlo Mochi Sismondi
Mentre scrivo, la bagarre intorno alla legge finanziaria è al culmine, tra emendamenti di ogni provenienza che seguono percorsi carsici, apparendo e scomparendo a comando, e furbi di ogni squadra in cerca di righe e commi da aggiungere o togliere in un balletto che è tradizionale come i Babbi Natale che occhieggiano in questi giorni nei negozi.
Mi muovo, quindi, con cautela nella mia reazione all’ennesima prepotenza della “dittatura del rubinetto” che rischia, una volta di più, di tagliare insieme al grasso presunto, tessuto vivo e connettivo della nostra democrazia. Vorrei sperare anzi di essere smentito dai fatti, ma le versioni accreditate del maxi-emendamento sia sulla stampa, sia presso le associazioni degli Enti Locali, mi fanno pensare ahimè che così non sarà.
Mi riferisco ai commi 173-174-175 e soprattutto 176 del famoso art.2 (Disposizioni diverse) completamente stravolto dal maxi-emendamento presentato nella notte tra il 4 e il 5 dicembre in Commissione Bilancio della Camera e approvato il 7 mattina senza discussione.
Nei primi tre commi citati si opera l’ennesimo taglio ai trasferimenti agli EL, taglio leggero per il 2010, ma pesantissimo invece nei due anni a seguire. Si impone poi una riduzione del numero dei consiglieri comunali e provinciali, invero abbastanza più blanda di quella definita dalle precedenti versioni (un 20% in meno) e una conseguente riduzione degli assessori a non più di un quarto dei consiglieri per i Comuni e non più di un quinto per le Province. Sin qui mi pare che l’unico peccato sia un certo strabismo rispetto alla Carta delle Autonomie appena approvata in Consiglio dei Ministri.
Ma è nel comma 176 che viene alla luce un sostanziale disprezzo per l’autonomia degli enti locali: vale la pena di citarlo tutto nella versione in questo momento più probabile.
176. In relazione alle riduzioni del contributo ordinario di cui al comma 173 i comuni devono altresì adottare le seguenti misure:
a) soppressione della figura del difensore civico di cui all’articolo 11 del Testo unico;
b) soppressione delle circoscrizioni di decentramento comunale di cui all’articolo 17 del Testo unico;
c) possibilità di delega da parte del sindaco dell’esercizio di proprie funzioni a non più di due consiglieri, in alternativa alla nomina degli assessori, nei comuni con popolazione non superiore a 3.000 abitanti;
d) soppressione della figura del direttore generale;
e) soppressione dei consorzi di funzioni tra gli enti locali, facendo salvi i rapporti di lavoro a tempo indeterminato esistenti, con assunzione delle funzioni già esercitate dai consorzi soppressi e delle relative risorse e con successione ai medesimi consorzi in tutti i rapporti giuridici e ad ogni altro effetto.
Credo che il testo parli da solo: si fa piazza pulita, senza dibattito e senza opposizione, di importanti presidi democratici quali le circoscrizioni (o quartieri o municipi a seconda come questi organi di partecipazione sono stati chiamati nelle varie città); i difensori civici, con buona pace di quell’empowerment dei cittadini decantato ad ogni piè sospinto; i direttori generali, entrando così a gamba tesa nelle prerogative di organizzazione di ogni ente; i consorzi di funzioni tra enti locali, senza differenza tra quelli virtuosi e quelli che non lo sono stati con una livella che denuncia una totale incapacità di discriminare.
In questo Paese in cui la partecipazione democratica alla cosa pubblica trova sempre maggiore disaffezione, mi pare assolutamente pernicioso abolire organi elettivi e spazi di discussione e di decisione vicini ai cittadini come gli organi di decentramento comunale: essi sono frutto di una storia lunga e molto spesso gloriosa per conquistare voce e rappresentanza. Il loro costo, che è certamente poco rilevante per il bilancio aggregato della Repubblica, è comunque frutto di una negoziazione continua con le amministrazioni comunali ed è ampiamente ripagato dai servizi offerti e dalla “pratica” della politica attiva che inducono. Questo taglio, molto meglio di altri più complessi e controversi provvedimenti quali la Carta delle Autonomie, mette in luce con estrema chiarezza (come succede con i lapsus rivelatori) cosa veramente il Governo centrale pensa della democrazia rappresentativa decentrata: un lusso che non ci possiamo permettere. Non ho parole.
Anche sull’abolizione della figura del direttore generale mi voglio soffermare:
- l’introduzione della figura del direttore generale è ora una libera scelta dell’Ente locale (Comune, Provincia, Unione di Comuni): abolirne la possibilità (come per altro imporla) per legge non può che configurasi come arbitrio nei confronti del modello organizzativo che ogni autonomia locale ha individuato;
- i direttori generali sono ad oggi meno di duecento e sono stati capaci di autoregolarsi attraverso percorsi certificati di accreditamento; la loro introduzione ha voluto dire molto spesso introduzione di criteri di managerialità, di professionalità, di programmazione, di reale orientamento ai risultati;
- ricerche indipendenti hanno dimostrato che esiste una spiccata correlazione tra l’introduzione di tale figura e la collocazione dell’Ente nella fascia di eccellenza di tutte le classifiche per efficienza e per efficacia delle politiche;
- come abbiamo più volte ribadito il dualismo tra una figura di gestione (il direttore generale) e una figura di controllo di legittimità (il segretario generale) non è un lusso sfrenato di enti spreconi, ma un principio di sana amministrazione.
Potrei continuare a lungo: ma il discorso è già molto chiaro. Con questa finanziaria si nega con i fatti un federalismo tanto decantato quanto mai praticato. Essa è la prova provata di una prassi che allontana i cittadini dalla politica, allontana gli Enti locali dall’autonoma responsabilità che pure la Costituzione garantisce loro, privilegia nuovi centralismi (siano essi di Stato o “di stati” quali la Padania o altre nuove tentazioni secessioniste…), scoraggia ogni coraggiosa e dolorosa politica di risparmio che enti locali virtuosi hanno intrapreso assieme alle loro cittadinanze.
Nessuno nega la difficoltà della condizione economica, nessuno nega la necessità dei risparmi, ma tagli lineari, imposizioni prescrittive e incapacità di distinguere i buoni dai cattivi fanno di questi provvedimenti il rovescio di quello di cui abbiamo bisogno. Il rovescio di quella politica condivisa, di quella azione di squadra che non può che basarsi sul rispetto del ruolo di ogni attore.