Guercio: “Luci e ombre di un testo non conclusivo”
15 Febbraio 2016
Maria Guercio, Università degli studi di Roma La Sapienza e presidente dell’Associazione nazionale archivistica italiana - Anai
L’ennesima rivisitazione del Cad non ha finora suscitato molte reazioni (positive o negative) tra gli addetti al lavoro, forse per la ragione che – come si legge nella relazione introduttiva – il legislatore questa volta si sarebbe (il condizionale è d’obbligo) limitato a intervenire su aspetti non rilevanti dei processi di digitalizzazione, concentrando l’attenzione sullo sviluppo dei servizi di cittadinanza digitale: assicurare la compatibilità con le norme europee in materia di identità digitale, affrontare con maggiore incisività (semplificando e razionalizzando) le modalità con cui cittadini e imprese accedono ai servizi pubblici e a quelli degli operatori privati, eliminare ridondanze e contraddizioni che rendevano complessa l’adozione del Codice. Una prima lettura del testo, reso pubblico solo da pochi giorni, mostra tuttavia che gli interventi operati sul testo sono molto più numerosi di quanto dichiarato e toccano in modo significativo questioni che sembravano risolte, senza che sia chiara la logica complessiva dell’intervento di revisione.
> Questo articolo fa parte del dossier “Speciale CAD, grandi firme commentano il codice della PA digitale”
Una riflessione sul metodo
Prima ancora di entrare nel merito delle nuove disposizioni, merita del resto sottolineare che qualche perplessità suscita il modo in cui la revisione stessa è stata condotta, a differenza di quanto ad esempio avvenuto in occasione del precedente dlgs 235/2010 e delle successive regole tecniche: senza una fase adeguata di interlocuzione non solo e non tanto con la comunità, ormai ampia, dei portatori di interesse che da anni operano nel settore, ma neppure con quelle amministrazioni centrali la cui azione dipende strettamente dalle indicazioni del Cad. Non è certo un segnale positivo, quello di limitare il confronto su una normativa che ha l’ambizione di presentarsi come una carta dei diritti di cittadinanza digitale e che, di fatto, prefigura una fortissima concentrazione di poteri nelle mani dell’Agenzia per l’Italia digitale, con la riduzione del ruolo delle Regioni e con la sostanziale assenza di riferimento alle competenze del Mibact stabilite dal Codice dei beni culturali in materia di gestione e conservazione degli archivi, qualunque sia la natura e la forma dei documenti e qualunque sia il loro supporto. L’Agid non sembra al momento in grado di affrontare la quantità di compiti che l’articolo 14 elenca, a meno che il futuro non riservi – con buona pace dei tagli generali cui sono state costrette tutte le amministrazioni – un suo rilancio (peraltro auspicabile) sia in termini di risorse economiche che, soprattutto, di personale tecnico (possibilmente competente anche in ambito archivistico).
Se è importante la decisione di semplificare il linguaggio e le definizioni, non si può tacere il fatto che talvolta – come si dirà in seguito – la semplificazione ha finito per cancellare qualche utile precisazione. Altrettanto contraddittorio è il modo in cui si afferma (ma non si persegue con altrettanta forza) il principio di voler favorire lo sviluppo dei servizi digitali per tutti i cittadini, superando il divario culturale e tecnologico attuale, senza implicare necessariamente costi aggiuntivi per gli utenti. Da un lato, infatti, si riconosce agli iscritti all’Anagrafe nazionale della popolazione residente (ANPR) (articolo 3-bis) il diritto di essere identificati dalle pubbliche amministrazioni tramite l’identità digitale, consentendo quindi a tutti di inviare comunicazioni e documenti alle pubbliche amministrazioni e di riceverne dalle stesse tramite un domicilio digitale senza l’obbligo di acquistare e gestire nuovi strumenti informatici (ad esempio una casella di posta elettronica certificata); dall’altro tuttavia si precisa (articolo 3bis, comma 4 quinquies) che “qualora l’indirizzo digitale indicato quale domicilio speciale faccia riferimento a un servizio che non consenta la prova dell’avvenuta ricezione di una comunicazione o del tempo di ricezione, colui che lo ha eletto non può opporre eccezioni relative a tali circostanze”, finendo in tal modo per impaurire il cittadino e, di fatto, scoraggiare il ricorso a sistemi di comunicazione digitali basati su forme meno invasive e costose già in uso presso molte amministrazioni.
Alcune considerazioni generali
Non sono poche le modifiche apportate al CAD che, pur di natura generale, sono in grado di incidere (spesso anche positivamente) sulla qualità della produzione documentaria. E’ il caso ad esempio dell’articolo 6-ter relativo all’indice degli indirizzi delle pp.aa. Il nuovo testo prevede specifiche sanzioni (comma 3) per chi non provveda ad aggiornare tempestivamente e con cadenza almeno semestrale i contenuti precisando che “la mancata comunicazione degli elementi necessari al completamento dell’Indice e del loro aggiornamento è valutata ai fini della responsabilità dirigenziale e dell’attribuzione della retribuzione di risultato ai dirigenti responsabili”. Si tratta di una disposizione rilevante non solo sul piano dell’efficienza delle comunicazioni, ma anche perché impone qualche maggiore vincolo di qualità nella gestione di informazioni cruciali sulla provenienza e sul contesto dei documenti (rispetto al passato anche recente caratterizzato da indici spesso obsoleti). Sarà più facile in futuro identificare – anche a distanza di tempo e a fini di ricostruzione storica – i soggetti pubblici produttori di documenti digitali e le loro responsabilità.
Altrettanto importante sembra l’allargamento dell’applicazione del Codice alle società a controllo pubblico che l’Istat ha individuato inserendole nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione. Non è tuttavia chiaro se tali soggetti, oltre ai numerosi obblighi previsti, traggano da questo ampliamento anche vantaggi, tra cui ad esempio la capacità di poter produrre – mediante lo sviluppo di sistemi di gestione documentali a norma – documenti amministrativi digitali e di poter conferire alla documentazione prodotta e ricevuta attraverso il ricorso a protocolli informatici una datazione certa e opponibile a terzi.
Sul piano generale merita infine ricordare il nuovo comma 1-bis dell’articolo 13 dedicato alla formazione informatica dei dipendenti pubblici che sottolinea la necessità di dedicare risorse allo sviluppo delle competenze tecnologiche e manageriali dei dirigenti con l’obiettivo di sostenere la transizione alla modalità operativa digitale. E’ il risultato della constatazione che il ritardo nell’applicazione di norme in grado di sviluppare l’amministrazione digitale è dovuto anche e in misura non irrilevante alla mancanza di consapevolezza della dirigenza pubblica. E’ tuttavia fondamentale sottolineare che mezzi e strumenti adeguati sono altrettanto importanti e sono ancora del tutto assenti.
Gestione e conservazione dei documenti nel nuovo Cad
Con riferimento specifico alla dimensione documentale il Cad nella sua nuova veste presenta cambiamenti che richiedono di essere sottolineati e commentati, anche se il legislatore non ha dedicato a questo ambito un’attenzione particolare e non è affatto chiara, almeno a chi scrive, la natura complessiva delle modifiche introdotte:
eliminazione della definizione di gestione informatica dei documenti (articolo 1, comma 1, lettera u): è evidente che non si tratta di una definizione eliminata al fine di coordinare il testo con il regolamento UE 23 luglio 2014, n. 910 (Regolamento eIDAS) come è indicato invece nella relazione che accompagna il provvedimento, dato che in quel regolamento non si tratta di gestione dei documenti; né la definizione è presente, per ora, nel glossario che integra le regole tecniche in materia di gestione dei documenti e di conservazione, anche perché in quella sede non si replicava quanto già presente nel CAD. Il termine era stato trattato con cura nel testo unico sul documento amministrativo (dpr 445/2000), cui quindi è necessario far riferimento e da cui sembra del resto attingere lo stesso legislatore nella riscrittura di alcuni articoli, come verrà meglio precisato in seguito:
- eliminazione della definizione di documento informatico (articolo 1, comma 1, lettera p): si tratta di una decisione che rientra nel principio di non duplicare le definizioni presenti nel regolamento eIDAS che tuttavia identifica il concetto di ‘documento elettronico’ a livello puramente tecnico (articolo 3, n. 35 del regolamento eIDAS: “qualsiasi contenuto conservato in forma elettronica, in particolare testo o registrazione sonora, visiva o audiovisiva”); non definire in alcun modo nel CAD e nel glossario il concetto giuridico di documento informatico non sembra del tutto convincente al fine di una lettura e di un uso coerente ed efficiente del decreto, tenuto conto che al documento informatico dedica gran parte dei suoi contenuti. Anche in questo caso peraltro il termine è presente nel dpr 445/2000
- requisiti per la gestione e conservazione dei documenti informatici (articolo 44): l’intero articolo viene diversamente intitolato e riscritto, innanzitutto circoscrivendolo alla pubblica amministrazione; il sistema di gestione informatica dei documenti viene descritto puntualmente riprendendo tuttavia in modo parziale quanto previsto nel dpr 445/2000 (articolo 52 comma 1) senza tuttavia far alcun riferimento a quanto indicato nel successivo articolo 53 comma 5 del testo unico che prevede l’obbligo della registrazione di tutti i documenti informatici anche interni. L’aspetto di maggiore novità riguarda peraltro la distinzione tra il sistema di gestione dei documenti (cui si attribuisce il compito di garantire la sicurezza e l’integrità dei documenti) e il sistema di conservazione, che sembra qui configurarsi come un vero e proprio archivio di deposito (ai sensi del comma 1-bis il responsabile della gestione dei documenti informatici “provvede a trasmettere al sistema di conservazione i fascicoli e le serie documentarie anche relative a procedimenti conclusi”), non diversamente da quanto indicato dall’articolo 67 del dpr 445/2000 intitolato “Trasferimento dei documenti all’archivio di deposito”
- eliminazione dell’obbligo di conservare un documento informatico se questo è già in possesso della PA o dei gestori dei servizi pubblici (articolo 43 comma 1-bis): si tratta di un principio importante che tuttavia ha bisogno di chiarimenti significativi di natura archivistica, ad esempio sui tempi di tenuta del documento da parte del settore pubblico che dovrà quindi dichiarare pubblicamente, attraverso il suo piano di conservazione, la durata che il documento in questione ha nel proprio archivio. Uno stesso documento può, infatti, svolgere funzioni diverse e molteplici sia per il cittadino che per la p.a. (con la conseguenza di dover prevedere e gestire tempistiche diversificate di tenuta); non sempre tali esigenze sono identificate con chiarezza e consapevolezza nella fase di produzione del documento. Di conseguenza, al fine di contenere i rischi e rispondere agli obblighi di legge, acquista un ruolo cruciale il piano di conservazione previsto nel dpr 445/2000 (articolo 68) non solo come strumento interno di gestione, ma anche al fine di una corretta comunicazione con il cittadino; il piano di conservazione dovrà quindi assumere la forma di indispensabile allegato al manuale di gestione destinato ad essere pubblicato sul sito istituzionale dell’ente produttore.
Molte ancora sono le questioni qui non commentate eppure di grande rilievo, ad esempio sui ruoli e sulle responsabilità previsti in modo innovativo o confermati dal nuovo testo, come nel caso dell’unico ufficio dirigenziale generale (previsto dall’articolo 17), cui viene affidato il compito di realizzare la transizione alla modalità operativa digitale: dotato di “adeguate competenze tecnologiche” e chiamato a rispondere direttamente all’organo di vertice politico. Il coordinamento dei compiti tra il responsabile della gestione documentale e il responsabile della conservazione (archivio corrente/archivio di deposito?) è nuovamente affermato, ma non meglio specificato. In ogni caso, come in altri luoghi sottolineato (dpcm 3 dicembre 2013), nulla osta al fatto che tale compito sia affidato alla stessa persona purché competente in entrambi gli ambiti di attività.
In conclusione il Cad nel nuovo articolato, per le parti riferite alla gestione documentale, non presenta novità sostanziali, ma neppure si limita a coordinare le disposizioni relative al regolamento europeo sull’identità digitale. Le modifiche proposte avrebbero quindi meritato una relazione di accompagnamento in grado di segnalarle e descriverne le finalità con maggiore cura e dettaglio. Qualcuno ha lamentato la lacunosità e la contraddittorietà del testo. Chi scrive non ritiene di dover aderire a tale giudizio, anche se solo una lettura meticolosa e attenta e una valutazione operativa del testo potranno fornire gli elementi per un giudizio complessivo più articolato.
Resta il fatto che le amministrazioni e gli operatori si trovano a fare i conti con una normativa che regola la transizione verso l’amministrazione digitale rinnovata in parti non irrilevanti a solo pochi mesi di distanza dalla data di switch off indicata dal legislatore a seguito dell’approvazione delle ultime regole tecniche in materia. Non sarà facile e non sarà indolore avviare la trasformazione prevista con rigore e a costi sostenibili.