I costi della banda larga mancata. Intervista a Francesco Sacco
Ricerche e studi mostrano che, in un’economia globale che si regge sulla conoscenza e lo scambio di informazioni, i costi-opportunità di un ritardo sulle infrastrutture di rete sono elevatissimi e dilazionati in rate che pesano sul futuro delle prossime generazioni.
Ma quali sono gli effetti dello sviluppo della banda larga e quali le ricadute sul piano economico e su quello sociale? Cosa accade alle dinamiche del sistema economico quando poggia e si muove su canali affidabili, veloci e pervasivi? Qual è insomma la relazione tra banda larga e crescita economica? Ne abbiamo parlato con Francesco Sacco manager director di EntER – Centre for research on Entrepreneurship and Entrepreneurs e professore dell’università Bocconi.
24 Novembre 2009
Letizia Pica
Ricerche e studi mostrano che, in un’economia globale che si regge sulla conoscenza e lo scambio di informazioni, i costi-opportunità di un ritardo sulle infrastrutture di rete sono elevatissimi e dilazionati in rate che pesano sul futuro delle prossime generazioni.
Ma quali sono gli effetti dello sviluppo della banda larga e quali le ricadute sul piano economico e su quello sociale? Cosa accade alle dinamiche del sistema economico quando poggia e si muove su canali affidabili, veloci e pervasivi? Qual è insomma la relazione tra banda larga e crescita economica? Ne abbiamo parlato con Francesco Sacco manager director di EntER – Centre for research on Entrepreneurship and Entrepreneurs e professore dell’università Bocconi.
I benefici degli investimenti in infrastrutture a banda larga – come dimostrato dalle ricerche – non sono limitati al settore delle telecomunicazioni e determinano esternalità positive. Gli effetti non "lineari" e fortemente influenzati dal contesto tecnologico di sfondo degli investimenti in telecomunicazioni – sottolinea il professor Francesco Sacco – sono maggiori e sempre più positivi laddove la diffusione della tecnologia raggiunge la massa critica, a mò di servizio universale.
Tra le analisi sul tema quella di Ford & Koutsky studia l’impatto del broadband sullo sviluppo economico – derivante da ingenti investimenti in BroadBand (principalmente fibra) – di Lake County, una piccola comunità della Florida. Confrontando Lake County con comunità simili per molteplici caratteristiche e per la medesima situazione economica iniziale, gli autori hanno stimato una crescita pari al doppio del tasso delle contee appartenenti al gruppo di controllo.
Altre ricerche realizzate sempre negli Stati Uniti hanno dimostrato come l’impatto del broadband generi una rapida crescita in vari settori:
- Occupazione (+1,5%)
- Salari (impatto positivo ma non statisticamente misurabile)
- Crescita del numero di attività economiche (+0,5%)
- Crescita di attività economiche nel settore IT (+0,5%)
- Aumento del valore degli immobili
Questi dati sono confermati anche da ricerche condotte in Europa e in altri Paesi, con una certa omogeneità dei riscontri:
- Il broadband e l’ultrabroadband hanno un impatto positivo sull’economia
- L’impatto è più forte dove l’ecosistema ICT è più forte
- Se l’innovazione accelera, l’impatto aumenta
- L’impatto cambia quando cambia la base degli utenti
- Stimoli alla domanda
- Transizione demografica
La situazione italiana
Alla luce di questo scenario, la situazione italiana appare ancora più drammatica anche se il dato comunque positivo è che, a proposito degli 800 milioni stanziati per l’abbattimento del digital divide e poi congelati, c’è stato un forte movimento di protesta online e sulla stampa. Come a dire, bastonati ma vivi. "Sarei comunque ottimista: il dibattito scatenato intorno a quest’annuncio è tale da non poter essere ignorato e sono sicuro che qualcosa accadrà presto", aggiunge il professore. E se l’uscita dal limbo dell’indeterminazione è un fatto confortante, non sono, però, chiare le mosse future né la strategia di sviluppo delle infrastrutture a banda larga. Sul tema si sono levate opinioni in controtendenza, come quelle che si chiedono come mai le aziende ICT non siano in grado di competere proponendo piani di sviluppo che non poggino sull’aiuto dello Stato. <<In realtà è una somma di problemi – afferma il professor Sacco – quando parliamo di network facciamo riferimento a investimenti di entità molto importanti, ma l’Italia è un paese di "straccioni">>.
Il secondo tema cruciale è di carattere regolamentare: chi investe tanti soldi, vuole farlo in un clima di chiarezza per quanto riguarda le regole. Deve calcolare i suoi ritorni sugli investimenti e poterlo fare in un arco temporale molto ampio, parliamo di almeno 20 anni. In questo momento le regole non sono chiare né a livello europeo né a quello italiano. "Il punto è – riprende Sacco – che non si sa se e a quali condizioni dare accesso all’infrastruttura in fibra anche ai concorrenti dell’ex monopolista. Questi non sono aspetti marginali e anzi aprono molto il tema poiché prima di mettere sul tavolo 10 miliardi bisogna farlo all’interno di regole chiare".
L’altro problema è che ci sono diversi modi per realizzare la rete, ma tutti prevedono il riutilizzo dell’infrastruttura Telecom Italia, soprattutto il famigerato ultimo miglio. Inoltre, circa il 60-70% dei costi di infrastrutturazione riguardano opere civili e in parte possono essere abbattuti riutilizzando i cavidotti di Telcom Italia e realizzando i lavori assieme alle opere civili. La collaborazione della pubblica amministrazione è fondamentale per abbattere i costi. La rete a banda larga di MetroWeb, ad esempio, è stata fatta parallelamente al rifacimento dell’illuminazione stradale di Milano, razionalizzando l’investimento e abbattendone i costi.
Ipotizzando l’immediata disponibilità dei fondi previsti nel piano per lo sviluppo della banda larga del viceministro dello Sviluppo, Paolo Romani, il cosiddetto Piano Romani, non sarebbe comunque chiaro come investirli e secondo quale strategia. Il rischio di ritrovarsi tempestati dalle ennesime macchie di leopardo è, quindi, consistente. Il professor Sacco ipotizza per l’Italia uno scenario simile a quello della Svezia: una sorta di patchwork con alcune aree maggiori cablate e altre raggiunte con tecnologie diverse. "In Italia saranno le amministrazioni locali a provvedere: regioni, province, comuni". Il punto è che, spesso, in queste realtà locali atomizzate manca l’alfabetizzazione necessaria a poter comporre una pianificazione lungimirante e fondata sulla conoscenza della materia.
Riguardo all’annuncio di Brunetta di rendere disponibili per tutti 2 Mega di banda per la navigazione, il professore commenta pragmaticamente: "se parliamo di posti remoti meglio 2 Mb che niente, con questa banda è comunque possibile fare ip-television e video conferenze"
Ma se questa è la soglia-obiettivo minima, in un contesto mondiale dove ci sono popolazioni che hanno una disponibilità di banda di 100 Mb come il Giappone, come è possibile reperire i fondi per fare di più?
"La Cassa Depositi e Prestiti ha soldi da investire in questo campo, così come le fondazioni bancarie. E’ importante però che ci sia chiarezza sulla natura e le caratteristiche con cui si realizzerà la rete. E’ un tema estremamente caldo anche perché l’impatto sull’economia italiana sarà notevole. I soldi sono pochi, ma se li investiamo in infrastrutture totalmente inutili (per chi? n.d.r.) come il Ponte sullo Stretto di Messina, stiamo facendo un errore drammatico perché al di là delle nostre scelte politiche c’è un elemento incontrovertibile: che ci piaccia o no dobbiamo confrontarci con realtà come la Corea la Finlandia, la Svezia che stanno puntando e hanno quasi raggiunto il 100% della copertura della popolazione. In questi Paesi il tasso di utilizzo del broadband è enorme, quotidiano e per tutta la popolazione.
Noi dovremmo competere, o quantomeno essere in grado di comunicare con loro".
Insomma è una deriva dei continenti postmoderna e digitale, due i mondi che si aprono e si allontanano: uno in cui le informazioni e le transazioni viaggeranno a velocità esponenziale, l’altro condannato a rincorre e ad ingoiare polvere binaria.
Noi, non contenti di chiudere il gruppo degli inseguitori dei grandi player economici, non sembriamo affannarci più di tanto, convinti che, alla peggio, per unire questi mondi basterà un ponte, non digitale ma sullo stretto di Messina.