I rocamboleschi passi del gambero dell’Agenda Digitale Italiana
“Così procedendo si sgretolano le ragioni del diritto, perché non si permette alla norma di sedimentarsi, alla giurisprudenza di intervenire concretizzando i princìpi generali e alla dottrina di interpretarli. Con leggerezza disarmante tutto viene solo “appiccicato” senza criterio. Gli effetti disastrosi di questo modo di procedere li vivremo tra qualche anno, quando i tribunali metteranno in discussione questa normativa zoppicante e frettolosa. È quello che sta succedendo con la tanto sbandierata Agenda Digitale”. Riceviamo e con piacere vi proponiamo l’articolata analisi dell’avv. Andrea Lisi, già pubblicata su “eCloud”, la nuova rivista cartacea di cui è direttore scientifico.
25 Giugno 2012
Andrea Lisi
“Così procedendo si sgretolano le ragioni del diritto, perché non si permette alla norma di sedimentarsi, alla giurisprudenza di intervenire concretizzando i princìpi generali e alla dottrina di interpretarli. Con leggerezza disarmante tutto viene solo “appiccicato” senza criterio. Gli effetti disastrosi di questo modo di procedere li vivremo tra qualche anno, quando i tribunali metteranno in discussione questa normativa zoppicante e frettolosa. È quello che sta succedendo con la tanto sbandierata Agenda Digitale”. Riceviamo e con piacere vi proponiamo l’articolata analisi dell’avv. Andrea Lisi, già pubblicata su “eCloud”, la nuova rivista cartacea di cui è direttore scientifico.
L’ho verificato proprio oggi per averne la certezza: il mio nome non figura tra i 23.219 sottoscrittori dell’appello inviato al Governo Italiano perché si dotasse di una strategia digitale[1]. E non è un caso.
Non credevo e non credo che l’Italia abbia bisogno di un altro elenco di princìpi generali che si sommi a quelli già presenti nel Codice dell’Amministrazione Digitale. Non sono per nulla convinto che sia indispensabile per il futuro digitale del nostro Paese la costituzione di nuovi gruppi di lavoro che si aggiungano a enti, commissioni e altri gruppi di lavoro già istituiti, i quali hanno a loro volta il compito di concretizzare princìpi già contenuti nel CAD (e non solo in quella normativa).
Se andiamo avanti in questo modo moriremo nella palude delle centinaia di organismi e Gruppi di lavoro inefficienti, sviluppando strategie in materia di Società dell’Informazione che continueranno a nascere bollite e inutili. E noi in questo momento non ce lo possiamo permettere.
L’Italia aveva già una sua strategia, a differenza di tanti altri Stati europei. E, pur nel caos di tante, troppe norme in materia di IT e digitalizzazione, bastava tenerlo a mente con un pizzico di orgoglio per recepire i princìpi generali contenuti nell’Agenda Digitale Europea, presentata dalla Commissione nel 2010 con lo scopo di sfruttare al meglio il potenziale delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC o ICT) e favorire così l’innovazione, la crescita economica e la competitività negli Stati membri.[2] Sarebbe bastato verificare quali norme presenti nel CAD e in altre normative già in vigore fossero eventualmente in contrasto con lo spirito dei principi comunitari e aggiornarle e integrarle secondo necessità, in modo da garantire concretezza e sistematicità al nostro apparato legislativo. E invece abbiamo deciso di aggiungere all’elenco ben nutrito di normative in materia altri princìpi generalissimi (che esistevano già da tempo e purtroppo erano rimasti lettera morta), magari inserendo qualche previsione statistica da raggiungere non si sa bene come e attraverso quali strumenti! Insomma, non se ne può più.
Intanto, nonostante il Codice dell’amministrazione digitale sia stato appena e per l’ennesima volta aggiornato e modificato, con la L. 35/2012 di recepimento del DL 5/2012, già si ascoltano, durante i tanti convegni dedicati a queste materie, le affermazioni solenni di referenti ministeriali secondo le quali prima c’erano le norme obsolete del D.Lgs. 39/1993 (in realtà ancora in vigore!), poi è arrivato il CAD e adesso, finalmente, c’è l’Agenda Digitale che sostituirà tutto con principi “costituzionali”.
Ormai le fonti del diritto non esistono più: basta avere un’idea, condividerla in qualche Social Network e ottenere una nuova Carta Costituzionale bella e pronta!
Così si è tentato di fare con l’ADI, prestando molta attenzione all’effetto scenografico digitale: convegni altisonanti, comunicati stampa, consultazioni pubbliche su consultazioni pubbliche, chat room dedicate (tutto questo per far discutere non si sa bene chi su non si sa bene cosa) per arrivare al Decreto dei Decreti, il mirabolante Decreto digItalia (gli acronimi oggi vanno molto di moda e fanno effetto)… ma intanto già arriva la notizia che i tempi di questo decreto slitteranno perché ci sono (giustamente) cose più urgenti di cui occuparsi[3]. Ma – non preoccupatevi – l’Ideario è sempre on line, disponibile per raccontare un po’ tutto quello che ci pare[4].
Intanto, nessuno si ricorda che c’è un’importantissima norma di chiusura nel CAD che continua a restare inascoltata. L’art. 89 del D. Lgs. 82/2005, infatti, prevede che “la Presidenza del Consiglio dei Ministri adotta gli opportuni atti di indirizzo e di coordinamento per assicurare che i successivi interventi normativi, incidenti sulle materie oggetto di riordino siano attuati esclusivamente mediante la modifica o l’integrazione delle disposizioni contenute nel presente codice”. E invece si continua a regolamentare l’Italia digitale senza una visione sistemica, senza coordinare le norme tra loro e con la convinzione che sia sufficiente pubblicare una nuova norma intrisa di vecchi princìpi e con qualche minaccia di sanzione in più per risolvere tutto. È successo così con la decertificazione, sbandierata come grande novità contenuta nell’art. 15 della legge del 12 novembre 2011 (poi sviluppata nella Direttiva del Ministero della PA e della semplificazione), la quale aveva già tutte le sue radici nel CAD[5] e così anche con la pubblicità legale on line, sostitutiva di quella cartacea resa obbligatoria con l’art 32 della Legge 69/2009, ma già da tempo prevista negli articoli 40 e 54 del CAD.
Così procedendo si sgretolano le ragioni del diritto, perché non si permette alla norma di sedimentarsi, alla giurisprudenza di intervenire concretizzando i princìpi generali e alla dottrina di interpretarli. Con leggerezza disarmante tutto viene solo “appiccicato” senza criterio. Gli effetti disastrosi di questo modo di procedere li vivremo tra qualche anno, quando i tribunali metteranno in discussione questa normativa zoppicante e frettolosa.
È quello che sta succedendo con la tanto sbandierata Agenda Digitale. Infatti, come ormai sappiamo bene, con la Comunicazione della Commissione europea del 26 agosto 2010 sono state tracciate le linee-guida dell’innovazione digitale negli Stati membri: lo scopo principale dell’Agenda Digitale europea, infatti, è quello di «ottenere vantaggi socioeconomici sostenibili grazie a un mercato digitale unico basato su internet veloce e superveloce e su applicazioni interoperabili» e, in particolare, realizzare il mercato digitale unico, incrementare la fiducia e la sicurezza online, promuovere un accesso a Internet veloce e superveloce per tutti, investire nella ricerca, nell’innovazione e nell’alfabetizzazione informatica, al fine di assicurare a tutti i cittadini europei le competenze e l’inclusione nel mondo digitale. E solo con il decreto in materia di semplificazioni e sviluppo, il D.l. 9 febbraio 2012, n. 5, convertito in L. 4 aprile 2012 n. 35, il nostro legislatore si è formalmente occupato di Agenda Digitale, (in notevole ritardo, quindi, rispetto ai progetti europei[6]).
L’art. 47 del D. l. n. 5/2012 prevede di raggiungere tali obiettivi attraverso delle «azioni coordinate» da parte di «una cabina di regia per l’attuazione dell’Agenda Digitale italiana» (istituita il primo marzo con decreto del Ministro dello sviluppo economico di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, il Ministro per la coesione territoriale, il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, il Ministro dell’economia e delle finanze e il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri), composta da vari ministri (dello Sviluppo economico, dell’Istruzione, dell’Università e della ricerca, della Pubblica amministrazione e la semplificazione, della Coesione territoriale, dell’Economia e delle finanze) e costituita con il compito di coordinare l’azione delle istituzioni coinvolte (Governo, Regioni, Enti locali e Authority).
La stessa norma prevede le misure da adottare per il perseguimento degli obiettivi dell’Agenda Digitale italiana, in particolare:
a) La realizzazione delle infrastrutture tecnologiche e immateriali al servizio delle "comunità intelligenti" (smart communities), finalizzate a soddisfare la crescente domanda di servizi digitali in settori quali la mobilità, il risparmio energetico, il sistema educativo, la sicurezza, la sanità, i servizi sociali e la cultura;
b) La promozione del paradigma dei dati aperti (open data) quale modello di valorizzazione del patrimonio informativo pubblico, al fine di creare strumenti e servizi innovativi;
c) Il potenziamento delle applicazioni di amministrazione digitale (e-government) per il miglioramento dei servizi ai cittadini e alle imprese, per favorire la partecipazione attiva degli stessi alla vita pubblica e per realizzare un’amministrazione aperta e trasparente;
d) La promozione della diffusione e del controllo di architetture di cloud computing per le attività e i servizi delle pubbliche amministrazioni;
e) L’utilizzazione degli acquisti pubblici innovativi e degli appalti pre-commerciali al fine di stimolare la domanda di beni e servizi innovativi basati su tecnologie digitali;
f) L’infrastrutturazione per favorire l’accesso alla rete Internet in grandi spazi pubblici collettivi quali scuole, università, spazi urbani e locali pubblici in genere;
g) L’investimento nelle tecnologie digitali per il sistema scolastico e universitario, al fine di rendere l’offerta educativa e formativa coerente con i cambiamenti in atto nella società;
h) L’utilizzo dell’infrastruttura di cui all’articolo 81, comma 2-bis, del codice dell’amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n.82, anche al fine di mettere a disposizione dei cittadini le loro posizioni debitorie nei confronti dello Stato contenute nelle banche dati delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 2, comma 2, del citato codice di cui al decreto legislativo n.82 del 2005, e successive modificazioni;
i) I criteri, i tempi e le relative modalità per effettuare i pagamenti in via informatica nonché le modalità per il riversamento, la rendicontazione da parte del prestatore dei servizi di pagamento e l’interazione tra i sistemi e i soggetti coinvolti nel pagamento, anche individuando il modello di convenzione che il prestatore di servizi deve sottoscrivere per effettuare il pagamento.
Nella genericità di questi princìpi (chi potrebbe dire di non essere d’accordo con essi?), la parte che lascia davvero perplessi è rinvenibile nel comma 2 del suddetto articolo, il quale stabilisce che «all’istituzione della cabina di regia di cui al presente comma si provvede con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica». È davvero difficile pensare che progetti così importanti di innovazione digitale possano essere realizzati senza dispendio di risorse economiche![7]
La realizzazione dell’Agenda Digitale avverrà innanzitutto attraverso la stesura di una relazione sulla “strategia italiana per l’Agenda Digitale”; a tale scopo la cabina di regia è formata da sei gruppi di lavoro concepiti per garantire i principali obiettivi dell’agenda digitale: infrastrutture e sicurezza, e-commerce, e-gov/open data, informatizzazione digitale, ricerca-innovazione e smart communities (ogni singolo gruppo di lavoro è coordinato da un referente dei ministeri coinvolti nel progetto). Le regioni e gli enti locali aderiscono al piano di lavoro attraverso la conferenza dei servizi; le associazioni di categorie e le grandi imprese possono partecipare avanzando delle proposte utili alla realizzazione dell’agenda digitale[8]. Il 30 giugno 2012 è il termine entro il quale la cabina digitale dovrà consegnare la relazione, alla quale dovrebbero seguire dei progetti concreti, operativi e supportati da norme di legge. Ma, come abbiamo già riferito, si confida poco nel fatto che tutta questa macchinosa operazione possa davvero consegnare risultati concreti.
Di respiro diverso sono altre norme contenute nella Legge di conversione del DL n. 5/2012, le quali hanno ulteriormente modificato il CAD, rendendo più attuali e concreti alcuni suoi articoli. Tra quelle di maggiore impatto si annovera senza dubbio quella introdotta con il nuovo art. 47 quinques, con il quale si aggiunge il comma 3 bis all’art. 63 del Codice dell’amministrazione digitale (d. lgs. n. 82/2005), imponendo alle pubbliche amministrazioni (individuate al comma 2 dell’art. 2 dello stesso Codice) di avvalersi, a partire dall’1 gennaio 2014, esclusivamente di canali e servizi telematici – ivi inclusa la posta elettronica certificata – per l’utilizzo dei propri servizi, anche a mezzo di intermediari abilitati, per la presentazione da parte degli interessati di denunce, istanze, atti e garanzie fideiussorie, per l’esecuzione di versamenti fiscali, contributivi, previdenziali, assistenziali e assicurativi, nonché per la richiesta di attestazioni e certificazioni.
Inoltre, sempre per incentivare una gestione completamente telematica dei rapporti PA/Cittadino, si è dato un altro forte impulso anche all’effettivo utilizzo dei pagamenti telematici verso le PA: con la citata legge di conversione, infatti, viene introdotta un’importante novità riguardante le modalità di pagamento dell’imposta di bollo. Con il nuovissimo art. 6 bis si dispone che tutti gli oneri connessi all’invio di un’istanza a una pubblica amministrazione o a qualsiasi ente o autorità competente debbano essere assolti per via telematica, anche attraverso l’utilizzo di carte di credito, di debito o prepagate. Per dare concreta attuazione a tale norma, dunque, l’art. 6 ter modifica l’art. 5 del Codice dell’Amministrazione digitale, a cui si aggiunge un ulteriore periodo al comma 1, prescrivendo alle pubbliche amministrazioni di pubblicare nei propri siti istituzionali, oltre che su ogni determinata richiesta di pagamento, i codici identificativi dell’utenza bancaria sulla quale i privati possano effettuare i pagamenti mediante bonifico, nonché di specificare i dati e i codici da indicare obbligatoriamente nella causale di versamento.
La legge di conversione n. 35/2012 interviene a novellare il Codice dell’Amministrazione digitale anche con altre norme. Con l’art. 47 ter, si interviene sull’art. 15 del Codice, inserendo la disciplina relativa all’espletamento delle funzioni ICT da parte delle pubbliche amministrazioni comunali, imponendo che i comuni sotto i 5000 abitanti esercitino tale funzione in forma associata; mentre, con l’art. 47 quater, si modifica l’art. 57 bis, prescrivendo alle PA di aggiornare i propri indirizzi e il relativo indice con cadenza almeno semestrale.
Altra importantissima novità, che tuttavia necessita di ulteriori disposizioni affinché possa avere concrete ricadute applicative, concerne la promozione della sanità digitale (grande assente nell’ADI). Con l’art. 47 bis, infatti, si stabilisce che nei piani di sanità nazionali e regionali debba essere privilegiata la gestione elettronica delle pratiche cliniche, attraverso l’utilizzo della cartella clinica elettronica, così come i sistemi di prenotazione elettronica per l’accesso alle strutture da parte dei cittadini, con la finalità di ottenere vantaggi in termini di accessibilità e contenimento dei costi.
Da ultimo, occorre segnalare un’ulteriore novità in ambito digitale, che non è destinata alle pubbliche amministrazioni e che è stata sempre introdotta dal provvedimento di conversione. Infatti, in virtù del novellato art. 37 che aggiunge il comma 6 bis all’articolo 16 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 (convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n.2), è stato previsto che le imprese costituite in forma societaria che ometteranno l’indicazione del proprio indirizzo di posta elettronica certificata vedranno sospendersi dall’ufficio del registro delle imprese, in attesa dell’integrazione, per tre mesi la domanda di iscrizione. Ciò nonostante, è opportuno rilevare come tale disposizione operi esclusivamente in fase di iscrizione nel registro, mentre non è predisposta alcuna sanzione per le società già iscritte.
Una diversa considerazione suscitano, invece, le modifiche apportate in materia di dati personali dal D.l. n. 5/2012 e dalla sua legge di conversione. Queste riguardano la controversa abolizione del Documento Programmatico per la Sicurezza, di cui all’art. 34 del d.lgs. n. 196/2003 (Codice in materia di protezione dei dati personali). Nonostante le critiche mosse al Legislatore da alcuni commentatori, infatti, non è stata rimossa la disposizione contenuta all’art. 45 del D.l. n. 5/2012 che solleva le imprese dall’obbligo di predisporre e aggiornare il DPS.
Insomma, luci e ombre negli ultimi provvedimenti normativi in materia di digitalizzazione, soprattutto perché si continua ad aggiungere caos al caos normativo già in essere, quando invece ci sarebbe estremo bisogno di chiarezza e certezza nelle legislazioni primarie. Non si può, infatti, continuare a legiferare d’urgenza e senza sistematicità su materie così delicate. Si sente, invece, la necessità di dare stabilità a princìpi già acquisiti da tempo nel nostro ordinamento giuridico, in modo che si possano osservare esperienze concrete e far tesoro così di best practices favorite non da altre normative generali, ma da più rigorose regole tecniche. C’è bisogno adesso di concretezza e di precise regole di dettaglio contenute in regolamentazioni secondarie (da aggiornare periodicamente) e non del continuo avvicendarsi di normative primarie. Perché il diritto di scrivere male è il privilegio di cui abbiamo largamente approfittato (Isaak Babel) e il nostro ordinamento ne pagherà le conseguenze per molto tempo.
*Andrea Lisi è Presidente ANORC, Titolare Digital&Law Department – Studio Legale Lisi – www.studiolegalelisi.it e Docente nella Document Management Academy e nella MIS Academy, SDA Bocconi, Milano.