Il bisogno di un nuovo paradigma per modernizzare la PA
Non sono le singole soluzioni tecnologiche, siano esse gli strumenti del web 2.0 o la recente PEC, a dover orientare le scelte e definire gli obiettivi per la modernizzazione della PA, ma esattamente il contrario. C’è bisogno di un cambiamento di paradigma che definisca obiettivi chiari e condivisi che poi le tecnologie, disponibili o da sviluppare, siano in grado di raggiungere.
7 Ottobre 2009
Gianni Dominici
Mi ricordo ancora, dopo tanti anni passati dal periodo universitario, l’esempio che Domenico De Masi faceva spesso dalla cattedra per descrivere sinteticamente il passaggio da una società industriale, prevalentemente orientata alla produzione di beni, alla società post-industriale o della conoscenza prevalentemente improntata sulla produzione di servizi basati sulla conoscenza e sulla centralità del sapere teorico.
Al di là degli indicatori di natura economica e sociale che descrivono il fenomeno, e della descrizione del cambiamento dei modi di produzione che ha caratterizzato la seconda metà del secolo scorso, De Masi metteva in evidenza il mutamento di paradigma alla base del cambiamento. Nella società industriale gli obiettivi sono determinati dai mezzi tecnici a disposizione, nella società post-industriale vengono prioritariamente definiti gli obiettivi e poi si cercano, si creano o si sviluppano gli strumenti più adatti per raggiungere tali obiettivi. Esempio più pertinente è lo sbarco sulla Luna. Gli Stati Uniti non avevano la tecnologia matura per poter programmare un’impresa di quel tipo ma per ragioni politiche decisero che quello doveva essere un obiettivo prioritario, poi raggiunto grazie alle tecnologie e alle competenze sviluppate di proposito.
Perché questo riferimento? Perché credo che un cambiamento di prospettiva di questo tipo debba essere introdotto anche in quei settori, quale la Pubblica Amministrazione italiana, in cui assistiamo ancora a forti ritardi strutturali come conseguenza della mancanza di chiare linee strategiche.
Non sono le singole soluzioni tecnologiche, siano essi gli strumenti del web 2.0 o la recente PEC, a dover orientare le scelte e definire gli obiettivi ma esattamente il contrario. C’è bisogno di un cambiamento di paradigma che definisca obiettivi chiari e condivisi che poi le tecnologie, disponibili o da sviluppare, siano in grado di raggiungere.
C’è bisogno che avvenga in Italia quello che sta avvenendo nella Pubblica Amministrazione degli Stati Uniti. Il primo atto in assoluto che Barack Obama ha firmato in quanto Presidente è stato il documento Transparency and Open Government, un testo di appena una pagina in cui però vengono definiti come strategici per il paese tre principi guida: il governo deve essere trasparente, partecipativo e collaborativo. Nel documento non si fa riferimento, se non per inciso, alla tecnologia, piuttosto vengono individuati e descritti con puntualità gli uffici preposti e i responsabili del raggiungimento di questo obiettivo.
E’ bastata una dichiarazione chiara, forte e, soprattutto, credibile per far sì che in pochi mesi si attivasse da parte di soggetti pubblici e privati un’immediata risposta di soluzioni ed iniziative.
La prima risposta è stata il portale data.gov il cui obiettivo è mettere a disposizione del pubblico, in un formato standard che ne permetta l’ulteriore elaborazione, i dati prodotti dalla pubblica amministrazione. Un primo passo apparentemente semplice, ma che, in realtà, potrebbe risultare strategico nel processo di modernizzazione in atto e che ha sviluppato già un interessante dibattito a proposito. Il principio ispiratore che ne è alla base parte dal presupposto che spesso è inutile e costoso che i governi, sia centrali sia locali, si impegnino a sviluppare interfacce e soluzioni finali di servizi al cittadino quando sarebbe molto più utile concentrarsi, appunto, sulla definizione di standard e di infrastrutture per rendere i dati pubblici disponibili e riutilizzabili. Saranno, poi, altri soggetti pubblici, privati o di associazioni non profit a sviluppare soluzioni e servizi in grado di soddisfare le svariate esigenze del pubblico.
Dopo data.gov, la seconda risposta è stato il portale apps.gov dove le pubbliche amministrazioni possono comprare applicazioni software certificate e approvate dal governo centrale. Anche qui il principio inspiratore è molto semplice: le pubbliche amministrazioni hanno bisogni di soluzioni tecnologiche molti simili tra di loro relative alla gestione interna o all’erogazione di servizi al pubblico. Nella maggior parte dei casi provvedono a queste esigenze dotandosi ciascuna di infrastrutture tecnologiche e di software appropriati. Il portale apps.gov offre, invece, una biblioteca di soluzioni, gratuite o a prezzi ridotti, che le singole pubbliche amministrazioni possono direttamente utilizzare senza dover installare specifici software sul proprio computer o sui propri server. L’applicativo per gestire le buste paghe, tanto per fare un esempio, non viene comprato, ma usato accedendovi tramite internet (una soluzione che tecnicamente viene chiamata del cloud computing). I vantaggi sono immediati soprattutto per le pubbliche amministrazioni più piccole: significa risparmio nella scelta delle soluzioni da adottare, nel loro acquisto e nella loro manutenzione.
L’ultima risposta (per ora) è arrivata ieri con la presentazione del Federal Register 2.0, che mette on line e accessibili al pubblico tutti gli atti amministrativi dei governi federali (dalle leggi, alle proposte di legge, di regolamento, etc.) garantendo insieme maggiore trasparenza e anche maggiore partecipazione dei cittadini alla cosa pubblica potendo intervenire direttamente sulle procedure in atto.
Se torniamo alla situazione italiana ci rendiamo conto che, invece, sono ancora imperanti logiche “industriali” basate su grandi appalti per soluzioni tecnologiche (il caso indecoroso del portale italia.it non sembra purtroppo aver insegnato molto) o su iniziative che rischiano di essere solo di facciata (la pubblicazione on line dei dati relativi ai dirigenti pubblici ai sensi dell’art. 21, della Legge 69/09 risponde sì a principi di trasparenza ma applicandoli con modalità perlomeno arcaiche, visto che i dati vengono forniti in pdf e, quindi, in un formato che non permette elaborazioni e confronti).
Abbiamo bisogno di varcare anche noi la soglia del nuovo secolo, ma non pensiamo di poterlo fare ricorrendo alle nuove tecnologie. Serve un cambiamento di paradigma e servono idee forti, chiare e, soprattutto, credibili.