Il recente disegno di legge, collegato alla finanziaria, proposto dal ministro Brunetta prevede tra le tante cose il ripristino del giuramento di fedeltà alla Repubblica e di leale osservanza della Costituzione e della legge. Come era prevedibile il provvedimento ha acceso un ampio dibattito, tanto acceso quanto, a mio parere, abbastanza povero di contenuti e di riflessioni sia da parte dei suoi sostenitori, sia da parte dei suoi oppositori. Il tema è di quelli, infatti, che favoriscono reazioni emotive e preconcette. Visto che a me invece piace argomentare, ci entrerò un po’ dentro riportando fatti, commenti e infine anche la mia opinione con una proposta.
A. I FATTI E I COMMENTICome al solito prima leggiamo insieme i documenti e i pareri (è anche uno degli obiettivi di servizio del nostro sito), poi proverò a dire la mia che, come vedrete, proverà a rilanciare la palla in campo.
1. La storia
«Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservare lealmente la Costituzione e le leggi dello Stato, di adempiere ai doveri del mio ufficio nell’interesse dell’Amministrazione per il pubblico bene». Sono le parole con le quali gli impiegati dello Stato giuravano fedeltà alla Repubblica, dopo aver vinto un pubblico concorso e dopo il periodo di prova. Il rituale venne poi abrogato dall’art. 3 del DPR 19 aprile 2001, n. 253, in seguito alla cosiddetta «privatizzazione del pubblico impiego» lasciandolo valido solo per i dipendenti “non contrattualizzati” (quelli elencati nel comma 4 dell’art. 2 del d. Lgs. 29/93, ossia magistrati, militari, poliziotti, diplomatici, ecc.), e ciò dipende dal fatto che per tali categorie non vi è stata la privatizzazione del rapporto d’impiego.
2. Il Provvedimento
(dal sito www.innovazionepa.it )
GIURAMENTO DEI DIPENDENTI DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI: al momento della assunzione in servizio, tutti i dipendenti pubblici, a pena di licenziamento, dovranno prestare giuramento di fedeltà alla Repubblica e di leale osservanza della Costituzione e delle leggi. Il giuramento serve a rafforzare la coscienza civile del Paese ed a valorizzare la figura del dipendente pubblico, il quale è chiamato ad adempiere ai doveri del proprio ufficio nell’interesse dell’Amministrazione e per il pubblico bene.
3. Fini: sostenitore influente
(da recenti dichiarazioni del Presidente della Camera)
“la difesa di atti simbolici come il giuramento serve a rafforzare la coscienza civile del Paese e a riconoscere quella dignità cui i pubblici dipendenti hanno pieno diritto”
“Il giuramento alla Repubblica e alla Costituzione assume un positivo riferimento rispetto all’unità nazionale che non può essere oggetto di trattative e di discussioni”
[1]4.Il no del sindacato (CGIL)
(Dalle dichiarazioni di Podda – Segretario generale CGIL Funzione Pubblica)
Brunetta continua con gli spot e completa la sua restaurazione. – “Il nuovo spot del Ministro Brunetta reintroduce il giuramento per i pubblici dipendenti. Una scelta simbolica che corona l’opera restauratrice messa in atto da Palazzo Vidoni. Dopo aver restituito le redini della pubblica amministrazione alla politica, aver costantemente umiliato il lavoro pubblico, aver ridotto gli spazi di democrazia sindacale e di contrattazione, Brunetta propone un giuramento che ci riporta indietro al dpr 3 del 1953. Una vera ventata di rinnovamento”
[2]5.La perplessità di molti dipendenti
È molto difficile dar conto delle tante reazioni che hanno riempito siti di approfondimento e blog. Proviamo a darvene alcuni esempi emblematici:
- i benaltristi
“Invece di pensare alle cose serie, perdono tempo con queste ridicolaggini” dice 194673 sul forum di Tiscali insieme a innumerevoli altri commenti dello stesso tenore. Più duro Franco Bellocci sul blog Luoghi comuni : “Il giuramento di fedeltà alla Costituzione è il segnale inequivocabile che il ministro Brunetta è in piena crisi di idee e non sa più cosa inventare per avere un po’ di attenzione da parte dei media”
- gli offesi
“Mi sembra insultante per i dipendenti. Sembra quasi che gli statali siano costituzionalmente infedeli (vorrei che fosse chiarito a chi) e che, quindi, debbano essere inchiodati in qualche modo. Oltre a ciò, se la fedeltà è dovuta allo Stato, non è dovere di ogni cittadino di chiunque sia dipendente? Resta ancora un’ipotesi: non si vorrà intendere fedeltà al regime come da imbarazzante memoria?” Dice in forum di Tiscali un dipendente che si firma “Rasputin”
- i favorevoli
“In un certo modo, qualsiasi persona che entra a lavorare in qualche ditta, giura fedeltà alla stessa, fin quando non decide di andarsene via, non vedo perché non lo debbano fare gli statali.- In più, uno statale dovrebbe lavorare per la comunità in quanto ricopre un ruolo che è pubblico, a disposizione del pubblico.- Però, a sua volta, gli spergiuro andrebbero condannati pesantemente.” dice ellegi94
- … buttiamola a ridere.
Tra i commenti c’è pure una poesia di cui riportiamo qualche verso. È sul blog Dellaplane:
Il giuramento dell’irriducibile
Giuro
i compiti trascuro
contemplo fisso il muro
a volte non carburo
ciononostante giuro………………….
Tiscali ha dedicato un forum e quindi un sondaggio all’argomento: delle duemila risposte il 53% è d’accordo, il 44% no, il 3% non sa.
B. UNA PROPOSTAVeniamo ora alla mia opinione e alla mia proposta.
Premetto che sono un fautore del ripristino dei “riti laici” che sanciscano, anche con una forma adeguata e solenne, momenti importanti della nostra vita. Credo anzi che una certa “liquida” sciatteria ci abbia sottratto, con l’abolizione o la ridicolizzazione di molti dei riti non religiosi (pensiamo agli esami, ai diplomi, ecc.), quei momenti di passaggio importanti che servono come paletti decisivi per mettere ordine nelle nostre vite private e di lavoro. Quindi nulla di preconcetto contro un momento solenne di “presa in carico” della nuova responsabilità che essere impiegato pubblico e quindi impiegato al “bene comune” comporta.Mi sembrano anche di poco conto le obiezioni, sempre per definizione possibili, sul fatto che ci fossero cose più importanti da fare. Per confutare questo punto di vista vi rimando alla “teoria delle finestre rotte”
[3] di Wilson e Kelling che Brunetta stesso cita in un altro contesto (il suo volumetto “Sud” appena uscito).Né mi convince che la privatizzazione del pubblico impiego (che non getterei via insieme all’acqua sporca di una cattiva prassi) sia un ostacolo determinante al ripristino del giuramento: se il rapporto di lavoro è privatizzato infatti, è invece eminentemente “pubblico” il fine stesso del rapporto di lavoro ed è pubblico il denaro dei cittadini e delle imprese con cui questo lavoro è pagato. Il minimo che pretendo come tax payer è che chi lavora al bene comune con i miei soldi, sia fedele alla Repubblica e ai principi della Costituzione (e non al politico di turno né al dirigente a volte scelto dal politico steso) e osservi le leggi.E allora perché questo termine “giuramento” associato strettamente nel ddl al termine “doveri”
[4] mi lascia inquieto e mi da dato una sensazione di vecchio che a prima vista non so spiegare?
Non è lo stagionato sessantottino che si riaffaccia in me, quanto piuttosto l’osservatore (altrettanto stagionato) del cambiamento nella PA che protesta. Credo che quella che emerga infatti dalla vicinanza dei due termini sia una visione “vecchia” della PA basata sulla prestazione e non sulla relazione.
Nel caso del pubblico impiego, infatti, (veramente per me in ogni caso, ma queste sono opinioni personali) non credo sia utile il paradigma dell’autorità superiore (sia pure la Legge, la Repubblica o la Costituzione) che detta doveri e pretende fedeltà con un atto unilaterale. Credo sia invece più utile mettere al centro la relazione che non può che essere a tre: il lavoratore pubblico, la sua amministrazione che ne è datore di lavoro, la collettività che paga l’uno e l’altra e la cui qualità della vita costituisce il fine di tutta l’operazione.Che vuol dire questo al di là delle parole: va bene ripristinare il giuramento, ma trasformandolo in un “
patto”. Un momento solenne in cui le tre parti sopra menzionate prendono reciproci impegni e accettano reciproche responsabilità.
La differenza non è banale: al centro di un patto non c’è un’accettazione unilaterale, quanto una relazione tra soggetti accomunati tutti dall’adesione ad uno stesso obiettivo. Ciascuno ha in questa relazione un ruolo non sostituibile.
Proviamo a immaginare cosa succede: per favore badate non tanto ai singoli impegni, né tanto meno alla ricostruzione scenica, ma al ragionamento che li sottende.
I neo assunti, i loro dirigenti diretti e i capi dell’amministrazione, i rappresentanti della collettività, che in una democrazia parlamentare non possono che essere i rappresentanti eletti, si danno convegno per firmare un patto:
- i dipendenti giurano fedeltà alla Repubblica e leale osservanza alla Costituzione e alle leggi; si impegnano all’imparzialità e al massimo sforzo per il buon andamento (art. 97 della Costituzione); si impegnano altresì a rispettare le norme previste dal codice di comportamento in vigore[5] e a realizzare, al meglio delle possibilità di ciascuno, gli obiettivi negoziati con i loro superiori;
- l’amministrazione che li assume, nella persona del dirigente preposto che dovrà firmare il patto, si impegna alla corretta e tempestiva descrizione dei compiti e degli obiettivi affidati a ciascun dipendente, alla corretta valutazione delle sue performance, a dotare il dipendente delle risorse umane e strumentali perché possa realizzare gli obiettivi assegnati, a garantirne la crescita umana, professionale e di carriera secondo una moderna gestione delle risorse umane e il principio universale del riconoscimento del merito[6], alla non discriminazione.
- La collettività, rappresentata dall’esecutivo e dai componenti delle assemblee elettive (Parlamento per lo Stato, assemblee e consigli per regioni, province e comuni) si impegna a rispettare l’indipendenza dell’amministrazione e a fornire, attraverso una equa partecipazione alla fiscalità, i mezzi sufficienti perché essa possa funzionare.
Se dovessi dare un nome a tutto questo lo chiamerei
patto di coerenza. Perché è di coerenza che questa amministrazione ha soprattutto bisogno, specie in questo momento di nuova e veloce rivoluzione normativa: coerenza tra obiettivi, risorse e valutazione dei risultati; coerenza tra comportamenti attesi dai dipendenti e comportamenti della dirigenza e della politica; coerenza tra progetti e tempi di realizzazione; coerenza tra investimenti e annunci; ecc.
Questa stessa coerenza deve essere l’habitat del nuovo assunto che altrimenti presto si convincerà che una cosa sono le parole delle leggi e delle dichiarazioni, altro è il comportamento quotidiano del suo capo, della sua squadra, del suo vicino.
E allora non ci saranno giuramenti che tengano!
[1] Vedi articolo su Il Giornale del 14/10/09 e comunicato ASCA del 13/10/09
[2] L’intero
intervento è sul sito della CGIL funzione pubblica www.fpcgil.it
[3] J.Q. Wilson e G. Kelling “Broken Windows. The police and the neighbourhood safety” Atlantic Review – 1982. Citato in SUD di Renato Brunetta, Donzelli Editore – Roma, 2009. Gli autori sostengono che il degrado sociale e morale possa essere curato solo se si ricomincia ad occuparsi anche delle cose apparentemente minori, che però se abbandonate, saranno foriere di degradi sempre crescenti. Insomma se non si riparano le finestre rotte si darà adito a romperne altre e a pensare che romperle non sia più né sanzionato né socialmente riprovevole. Mi pare interessante su più fronti.
[4] E’ necessario contestualizzare l’articolo che parla del giuramento all’interno dell’intero disegno di legge che si chiama: “Disposizioni in materia di semplificazione dei rapporti della Pubblica amministrazione con cittadini e imprese e delega al Governo per l’emanazione della carta dei doveri delle amministrazioni pubbliche”, collegato alla manovra finanziaria per gli anni 2010-2013.Siamo quindi alle prese con un ddl che comporta anche la delega per una sorta di nuovo Testo Unico che viene così descritto dal Ministero:
La “Carta dei doveri delle amministrazioni pubbliche” raccoglierà in un unico provvedimento i diritti dei cittadini e i doveri delle pubbliche amministrazioni nei loro confronti, in modo da definire con chiarezza quali comportamenti l’amministrazione è obbligata a tenere o a evitare nello svolgimento delle proprie attività e nell’erogazione dei servizi, con individuazione delle sanzioni da applicare in caso di mancato adempimento degli stessi obblighi. [5] D.M. 28-11-2000 – Codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni.
[6] A tal proposito val la pena di rileggere il cosiddetto “Manifesto del Merito” proposto da Letizia Moratti che mi pare del tutto condivisibile e che ben farebbe al caso nostro.