Il white-fi adesso! Non nel 2013…
Il passaggio al digitale terrestre ha liberato (o dovrebbe farlo a breve) una larga fetta di spettro che prima veniva utilizzato dalle emittenti televisive. Cosa fare di queste frequenze libere? L’Europa dice di darle agli operatori di telefonia, in Italia qualcuno protesta e dice che sarebbe più utile utilizzarle per la larga banda. Il progetto tutto italiano delle valli di Lanzo, però, si spinge più in là e ribalta il punto di vista. Ne parliamo con Roberto Borri Direttore Ricerca e Sviluppo di CSP.
12 Novembre 2010
Tommaso Del Lungo
Il passaggio al digitale terrestre ha liberato (o dovrebbe farlo a breve) una larga fetta di spettro che prima veniva utilizzato dalle emittenti televisive. Cosa fare di queste frequenze libere? L’Europa dice di darle agli operatori di telefonia, in Italia qualcuno protesta e dice che sarebbe più utile utilizzarle per la larga banda. Il progetto tutto italiano delle valli di Lanzo, però, si spinge più in là e ribalta il punto di vista. Ne parliamo con Roberto Borri Direttore Ricerca e Sviluppo di CSP.
Il passaggio dalla tecnologia analogica a quella digitale, tra i molti effetti che ha avuto, ha “liberato una parte delle frequenze che prima venivano utilizzate dalle emittenti televisive e che, ora, dovrebbero risultare abbandonate. Si tratta del cosiddetto white space. Dato che le frequenze elettromagnetiche sono di proprietà pubblica e vengono date in concessione per un utilizzo specifico, in tutto il mondo ci si sta interrogando sulle modalità di ri-assegnazione di questa parte dello spettro divenuta “bianca” (il cosiddetto dividendo digitale). Il dibattito è acceso e la sperimentazione tecnica del CSP dell’ottobre scorso nelle Valli di Lanzo, oltre a fornire un supporto tecnico, ha illuminato un elemento della discussione raramente preso in considerazione: lo spettro televisivo può essere usato per eliminare il digital divide delle zone montane… senza aspettare i soldi (e le frequenze) del dividendo digitale. Vediamo come.
Il dibattito in Italia e all’estero
L’Europa ha recentemente indicato (direttiva 2007/65/CE) che le frequenze liberate dovranno essere destinate al settore della telefonia mobile per servizi innovativi, fissando al 2013 il termine ultimo per la definizione delle norme nazionali. Altri Paesi però, come gli Stati Uniti o l’Australia, si sono mossi in altre direzioni optando per sfruttare lo spettro libero per far transitare esclusivamente dati e realizzare, così, una sorta di “super wi-fi”. In Italia sembra si sia optato per una via di mezzo. Dopo una prima delibera in cui l’Agcom proponeva di mettere all’asta il dividendo digitale tra gli stessi operatori TV, si è arrivati a giugno scorso al Piano frequenze, nel quale si pone maggiore attenzione agli indirizzi comunitari. Infine il presidente Calabrò si è recentemente espresso in netto favore delle decisioni europee sostenendo che parte degli introiti derivati dall’asta dovrebbero, però, essere vincolati ad investimenti sulla rete stessa (mentre il Ministro Tremonti ha ipotizzato di utilizzare questi fondi per la copertura del disegno di legge sulla stabilità).
In attesa che i decisori decidano proviamo a vedere cosa si può fare con questo spazio bianco.
La sperimentazione del CSP: il white-fi
Pochi lo sanno, ma l’Italia è uno dei pochissimi paesi europei (e forse mondiali) che sta sperimentando una tecnologia per far viaggiare i pacchetti di dati IP sulle frequenze radiotelevisive. A capo di questo test c’è Roberto Borri, Direttore Ricerca e Sviluppo di CSP innovazione nelle ict, un organismo di ricerca che svolge, tra le altre cose, attività di speri mentazione tecnologica per le pubbliche amministrazioni del Piemonte.
“In pratica – ci spiega Borri – abbiamo testato una tecnologia che ci permette di far transitare, entro un canale di una certa ampiezza, informazioni di tipo telematico. Si tratta di una tecnologia che in maniera informale potremmo chiamare white-fi cioè wi-fi entro lo white space. I risultati che abbiamo ottenuto ci fanno ben sperare”.
Il white-fi sperimentato dal CSP oscilla – a livello teorico – tra i 6 e i 10 Mb/s e le previsioni fanno pensare ad una velocità reale di 3 o 5 Mb/s. Se a questo aggiungiamo il fatto che la trasmissione è su ampio raggio e che gli ostacoli fisici la disturbano meno, otteniamo uno strumento formidabile per azzerare il divario digitale in zone montuose isolate e scarsamente popolate (meno utenti che si dividono la banda vuol dire anche maggiore velocità).
Banda larga sulle frequenze TV ora!
Il valore della sperimentazione del CSP non è, però, solo tecnico. “Per noi – ci spiega Borri – l’esito di questa sperimentazione è ancora più significativo per via del fatto che non è stata testata su un reale white space, ma su una frequenza assegnata ad un operatore, che però, per motivi di opportunità commerciale, non veniva utilizzata in alcune zone del territorio. Un’anomalia nell’anomalia che però apre scenari interessanti ai decision maker. La sperimentazione nelle Valli di Lanzo, infatti, offre un esempio di cosa si può realizzare semplicemente riusando una risorsa che un’emittente ha aggiudicata, ma che non sfrutta o non ha intenzione di sfruttare”.
Ciò che dice Borri, in sostanza, è che anche senza aspettare i soldi del dividendo digitale (per altro estremamente contesi in questo periodo di ristrettezze finanziarie) sarebbe già disponibile oggi una tecnologia in grado di azzerare il digital divide delle zone montane a costi contenuti.
“È difficile fare delle previsioni accurate su quanta banda si libererà e quando questo avverrà. Per una serie di motivi noti, infatti, credo che le logiche che accompagneranno questo processo di liberazione non saranno molto dissimili a quelle che hanno visto lo sviluppo del mercato televisivo italiano fino a questo momento. Da una parte ci saranno soggetti che tenteranno di accaparrarsi queste nuove frequenze, e dall’altra altri soggetti che saranno restii a lasciarle libere, magari dimostrando che sono indispensabili al proprio business o al territorio”.
Probabilmente, quindi, piuttosto che aspettare regole nazionali ed elemosinare briciole di frequenze sulle quali attivare reti white-fi, gli amministratori locali hanno maggiore chance di ridurre il divario digitale sul loro territorio adottando meccanismi di governance che coinvolgano le emittenti locali in modo da ottimizzare la gestione delle risorse (economiche ed elettromagnetiche).
“Coinvolgere le emittenti locali – chiude Borri – potrebbe avere anche un valore in termini di sviluppo locale, orientando queste ultime verso business innovativi.”