Innovazione digitale: al centro il cittadino

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Credo che il cambio di vertice debba essere l’occasione per fare prendere coscienza, alla futura classe politica, di quanto la digitalizzazione sia da considerare come il processo chiave per il rilancio del nostro Paese. In questa prospettiva si incardina il progetto interassociativo di ANORC e ANORC Professioni: una “Road Map” del digitale che ben si inserisce nel “libro bianco” da consegnare al nuovo governo a cui FPA sta chiamando a lavorare reti e associazioni. Pochi e semplici punti, accessibili e implementabili, che vi presento in questo articolo.

28 Febbraio 2018

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Andrea Lisi

«La rivolta consiste nell’amare un uomo che non esiste ancora » è una citazione (di Albert Camus) che credo possa rappresentare appieno la sensazione nutrita dalla fitta schiera di “addetti ai lavori” al cospetto dell’attuale macchina istituzionale, che nelle sue diverse articolazioni, arranca nel gestire il processo di innovazione digitale (di cui si continua a parlare da più di venti anni). In questi mesi occasioni per fare il punto della situazione in tema di digitalizzazione e privacy non sono davvero mancate. Abbiamo assistito all’inanellarsi di una serie di passaggi e scadenze cruciali: dalla pubblicazione della ennesima “nuova versione del CAD”, alla Legge di bilancio 2018, per concludere con la piena applicabilità del GDPR che, è bene ricordarlo si avrà dal 25 maggio 2018: eppure la sensazione è sempre quella di brancolare nel buio, di procedere per tentativi, di non avere un indirizzo preciso.

A breve saremo chiamati alle urne e nel mezzo della campagna elettorale si continua spesso ad inserire le parole “digitalizzazione” o “agenda digitale” (e simili) a casaccio in svariati slogan, tramutandole in domini esclusivi dello storytelling diffuso.

Credo che il cambio di vertice debba essere invece l’occasione per fare prendere coscienza, alla futura classe politica, di quanto la digitalizzazione sia da considerare come il processo chiave per il rilancio del nostro Paese e non sia più tollerabile classificarlo come un onere o – piuttosto – rispolverarlo quale accessorio da propaganda per raggiungere il maggior numero di consensi possibile, per poi essere accantonato in corso d’opera.

I discorsi sul digitale sono spesso soggetti ad una sorta di dicotomia: o se ne parla, in maniera superficiale (e gli argomenti trattati in questo caso sono sempre i soliti, in grado di far leva sull’emotività della maggior parte dei cittadini), oppure lo si evita (con “scuse” legate al tecnicismo, non sempre digeribile ai più). La causa? Una pessima informazione sul tema. Scarse competenze. Pochi professionisti. Pochi che agiscono per promuovere concretamente il cambiamento. La classe politica si è finora dimostrata disorganizzata, con la mancanza di un piano d’azione definito e non semplicemente volto ad evitare sanzioni.

In questa prospettiva si incardina il progetto interassociativo di ANORC e ANORC Professioni: una “Road Map” del digitale che ben si inserisce nel “libro bianco” da consegnare al nuovo governo. Pochi e semplici punti, accessibili e implementabili, esattamente come la digitalizzazione dovrebbe essere, come si spera che la normativa che la supporta possa diventare, spogliandosi di quell’ipertrofia da interpolazioni, aggiunte, abrogazioni e rimaneggiamenti che hanno reso la materia difficilmente interpretabile anche per i tecnici del diritto (figurarsi per il comune cittadino che ne subisce gli effetti).

Ecco i punti fondamentali rintracciati nella “Road Map”. Lo ripeto sono (volutamente) pochi, ma comprensibili a tutti:

1) Investire nella creazione di una Governance chiara e funzionale

Il processo di crescita digitale del nostro Paese non dovrebbe essere gestito con soluzioni di comodo, esternalizzando una materia che invece necessita di permeare in modo quanto più coordinato possibile, in tutti i ministeri.

Il Presidente del Consiglio dovrebbe perciò assumere direttamente un ruolo forte di Chief Digital Officer (o Manager della Transizione Digitale del Sistema Paese) disponendo di un Team di coordinamento sulle materie della digitalizzazione, avvalendosi del supporto di un’autorevole agenzia tecnica (qual è AgID) evitando di demandare tali mansioni ad un Ministero delegato o a un Commissario Straordinario.

2) Semplificazione normativa e abrogazione del CAD

Ci occorre un testo recante pochi principi generali della materia, resi chiari e “autoconsistenti” di modo da fornire un saldo riferimento a cui attingere. Il Codice dell’Amministrazione Digitale nella sua attuale formulazione, appare martoriato da una sequenza di interventi normativi che non hanno fatto altro che rendere manifesta l’imperfezione del testo ab origine. Converrebbe ripartire da principio: il CAD dovrebbe essere abrogato e ridimensionato in maniera tale da garantire la stabilità che il rango di Codice impone.

Alla luce delle esperienze maturate in ambito europeo, dovremmo mutuare un impianto normativo accessibile e non ipertrofico, contenente principi di ampio respiro e di indubbia valenza. Le Regole Tecniche dovrebbero a loro volta costituire un apparato collaterale e di supporto, per permettere il costante “aggiornamento tecnico” del Codice e orientare con la giusta cadenza il cambiamento digitale sempre nel rispetto di quel nucleo fondamentale a cui ci si dovrà costantemente riferire.

3) No alla digitalizzazione a costo zero

La onnipresente clausola di invarianza finanziaria, ha di fatto tarpato le ali al processo evolutivo a cui tendiamo. Una corretta gestione della materia, promette di restituire quanto investito, anche a livello di tempistiche. In totale contrapposizione con la promozione della crescita digitale del nostro Paese, sono poi gli investimenti dispersivi disposti dalla legge di bilancio 2018 che peccano di una reale convergenza di intenti, oltre che di poca oculatezza nella scelta dei destinatari. Ci si deve inoltre allontanare dalla prospettiva del volontariato a costo zero, gratificando la costruzione di infrastrutture e competenze.

4) Sì all’alfabetizzazione e alla formazione

Da qui sorge spontanea l’esigenza di programmare piani formativi pervasivi destinati ai cittadini digitali, così come ai dipendenti ed ai dirigenti pubblici. L’obbligo formativo deve essere poi esteso alla classe politica, di modo da garantire contezza della materia a chi di fatto si occupa della normazione della stessa. La formazione permetterà ai cittadini digitali di smussare la diffidenza verso la materia, aumentando conseguentemente l’interesse a la partecipazione attiva, stimolando l’utilizzo di strumenti che fino ad ora hanno avuto davvero poco risalto (Spid ne è un esempio).

5) Sanzioni

Il nostro Paese ha bisogno di stimoli importanti: è necessario diffondere un messaggio fondamentale, ovvero che le mancanze comportano conseguenze. I cittadini continuano a confrontarsi con situazioni pregne di arretratezza e disinformazione, ormai ingiustificabili. Bisogna quindi definire un apparato sanzionatorio forte, in materia di digitalizzazione e protezione dei dati personali. A proposito di quest’ultimo, il GDPR potrebbe essere un ottimo riferimento da cui trarre ispirazione.

6) No alla centralizzazione a tappeto

Devono essere garantiti snodi nazionali diffusi, in grado di dialogare con i vari sistemi delle PA, basati su standard precisi di interoperabilità. La centralizzazione risulta essere controproducente oltre che in contrasto con i principi fondamentali contenuti nello stesso attuale Codice. La razionalizzazione dei data center deve garantire che il patrimonio informativo nazionale non sia consegnato a un numero ristretto di colossi del digitale, pena la stagnazione del sistema ed il sovraccarico delle realtà destinatarie.

Del resto, riteniamo fermamente che occorra ancora credere nel nostro mercato fatto di PMI capaci e innovative, le quali andrebbero orientate in un sistema aperto. Le parole d’ordine dovrebbero essere non “piattaforme abilitanti” (pessime e inutilizzabili perché disegnate dall’alto e in mano ai soliti noti) ma:

a) usabilità

b) interoperabilità

c) riuso

d) apertura

e) qualità.

7) Approccio multidisciplinare

Il cambiamento deve avvalersi, quindi, di una prospettiva open, attenta a garantire la sicurezza e la protezione dei dati, in linea con gli standard europei, che non si traduca in “semplicismo informatico”. Il processo di digitalizzazione richiede l’apporto di diverse professionalità complementari, in cui ogni figura professionale costituisca un tassello necessario alla gestione razionale del nostro patrimonio informativo: occorre eliminare l’improvvisazione, già troppi danni sono stati fatti e troppi fondi sono stati spesi a fronte di risultati poco incoraggianti.

Concludo riproponendo la citazione iniziale, ossia «La rivolta consiste nell’amare un uomo che non esiste ancora» abbiamo sì bisogno di una rivolta che non si traduca con l’azzeramento di quanto – faticosamente – fatto finora , ma che ci porti a strutturare un uomo che non esiste ancora, il cittadino digitale che, forte delle sue competenze, sia finalmente in grado di muoversi liberamente all’interno di una macchina istituzionale completamente digitalizzata.



* Andrea Lisi, avvocato -Presidente di ANORC Professioni, Coordinatore Digital&Law Department e Direttore Master online Unitelma Sapienza

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