Internet Bill of rights: nuovi diritti che vanno condivisi e riconosciuti
Stefano Rodotà – Direttore del Master di secondo livello in "Diritti della persona e nuove tecnologie" presso l’ Università degli studi di Roma La Sapienza e Presidente del comitato consultivo per la Governance di internet
Questa conferenza è soprattutto il risultato di uno sforzo che da diverso tempo il Comitato Consultivo sulla Governance di Internet sta portando avanti. Qual è il bilancio?
11 Ottobre 2007
Stefano Rodotà – Direttore del Master di secondo livello in "Diritti della persona e nuove tecnologie" presso l’ Università degli studi di Roma La Sapienza e Presidente del comitato consultivo per la Governance di internet
Questa conferenza è soprattutto il risultato di uno sforzo che da diverso tempo il Comitato Consultivo sulla Governance di Internet sta portando avanti. Qual è il bilancio?
Dopo Atene, il successo del seminario sulla Carta dei Diritti di Internet è stato portato avanti in maniera "diffusa" da numerose Dynamic Coalition che sono nate spontaneamente sulla rete proprio per sviluppare e far progredire il dibattito su questo tema. Ci si è dunque interrogati sull’opportunità per l’Italia di prendere un’iniziativa specifica in occasione della seconda sessione dell’Internet Governance Forum che si terrà a Rio de Janeiro a Novembre. È così che è stato pensato ed organizzato un "Dialogue" sui Diritti di Internet che si è svolto il 27 settembre scorso e che ha avuto un successo notevole, testimoniato dalla partecipazione di ben 53 delegazioni ufficiali e 70 Paesi. Il bilancio è stato sicuramente positivo in quanto abbiamo accertato un interesse diffuso che va al di là dei soli Paesi tecnologicamente avanzati, come testimoniano i diversi interventi di Ministri dei Paesi africani. Allo stesso tempo anche l’interesse dei Paesi più "ricchi" non è stato da meno e vi sono stati interventi rilevanti come quello del Ministro degli Esteri Francese.
Un interesse trasversale dunque?
Esattamente, ho segnalato questi due elementi, proprio per rispondere a due obiezioni che sempre più spesso ci si sente rivolgere quando si comincia a parlare di una Carta dei diritti di Internet. La prima accusa è che discorsi di questo tipo prendono in considerazione solo gli interessi del mondo tecnologicamente più avanzato. La seconda è che anche tra i Paesi che fanno parte del mondo sviluppato, le resistenze sono numerose, in particolare riguardo al fatto che l’introduzione di regole possa essere un freno alla crescita dell’industria tecnologica. In realtà questa conferenza ha smentito sia il primo che il secondo tipo di critica mettendo in evidenza un grande interesse da parte delle imprese e consentendo alcuni chiarimenti importanti.
Tra l’altro i fatti sconfessano la seconda obiezione: Microsoft, ad esempio, ha pubblicato i suoi Privacy Principles; Google dopo aver dichiarato che conserverà i dati degli utenti al massimo per 18 mesi ha addirittura chiesto l’attivazione di un Global Privacy Council presso le Nazioni Unite, cioè di una specie di Garante che controlli la corretta applicazione di queste norme; Microsoft e Google, poi, insieme a Yahoo e Vodafone hanno annunciato per la fine dell’anno una loro carta a garanzia della libertà di espressione in rete. Ora di fronte all’attivismo del mondo imprenditoriale le istituzioni pubbliche, evidentemente, non possono rimanere in silenzio. Soprattutto perché, per quanto apprezzabili, queste mosse corrispondono, ovviamente, all’interesse dell’impresa.
Dato che non si attendevano documenti o dichiarazioni condivise siglate dalle varie nazioni, qual è il risultato concreto che porterete a Rio?
Oltre alle difficoltà e alle obiezioni che le ho appena citato, sullo sfondo si nota un terzo tipo di preoccupazione e cioè il timore che l’obiettivo di questi incontri sia l’avvio di una vera e propria negoziazione secondo le convenzioni internazionali, e in questo senso le Nazioni Unite non si sentono – ovviamente – pronte.
In questa impostazione c’è, però, un equivoco piuttosto evidente: data la natura della rete, infatti, nessuno ha mai ipotizzato un percorso di questo genere nel breve termine. Quello che è realistico pensare, conformandosi alla struttura della rete, è produrre delle proposte in grado di innescare una discussione di carattere generale. È proprio questo che ci si può aspettare da Rio ed è proprio questo che noi chiederemo: partire dal lavoro delle Dynamic Coalitions per cominciare a fare chiarezza sui possibili contenuti di una Internet Bill of Rights.
È evidente, però, che partire dal basso oltre a richiedere uno sforzo enorme, rischierebbe di tagliare fuori tutti coloro che probabilmente hanno più bisogno di questa carta. Come procedere dunque?
È un lavoro certamente difficile, ma non impossibile. È chiaro che non si può pensare di riuscire a coinvolgere tutti puntualmente (si parla di miliardi di utenti) ed è anche chiaro che scegliendo il criterio della rappresentanza si pone un problema di "peso": ad esempio ci può essere una Dynamic Coalition composta da tre persone che – ovviamente – cercherà di incidere quanto una che ha dietro le spalle una grande organizzazione. Questo però non è un problema che mi preoccupa particolarmente, perché tutto quello che succede in rete non può essere valutato col metro di giudizio tradizionale. Il vero problema, invece, è cercare di alimentare la discussione sui diversi aspetti del problema, in modo da poter individuare quelle che sono le questioni effettivamente rilevanti e, solo in un secondo momento, vedere se su ciascuna è possibile raggiungere forme di consenso. In questo percorso è fondamentale la partecipazione della rete con le sue caratteristiche di mulistakeholder, che non esclude nessuno dei soggetti interessati, a qualunque livello. Questo ultimo termine va inteso nel senso che seppure la prospettiva ottimale è quella di arrivare ad una convenzione internazionale, ciò non esclude, ma anzi richiede, che ci siano interventi a livelli diversi corrispondenti alla diversa maturità di alcune questioni.
In questo senso nel suo intervento, dunque, parlava della Carta dei Diritti di Internet come un framework di frameworks?
Questo passaggio, a dire il vero, era emerso già nella discussione di Atene: così come Internet non è un’unica rete, bensì una rete di reti, allo stesso modo un passo che oggi si può realisticamente fare è realizzare una specie di inventario di tutta la documentazione che già c’è a diversi livelli e con differente valore giuridico e partire da qui, provando a vedere dove arriviamo. Non è detto, infatti, che il punto finale debba essere necessariamente una "convenzione" come sarebbe nella logica tradizionale. L’Internet Bill of Rights potrebbe essere benissimo il risultato di una molteplicità di strumenti collegati tra loro formalmente o informalmente. Più che essere un documento fisico, in questo senso, la "Carta" potrebbe essere una serie di relazioni e di collegamenti tra una molteplicità di strumenti giuridici che alla fine arrivano a tutelare libertà e diritti: un framework di frameworks, appunto.
Ma quali sono questi diritti? Un uomo gode di diritti particolari perché è nata la rete?
È ovvio che i diritti fondamentali dell’uomo sono già stati sanciti da numerose carte internazionali, ma è altrettanto ovvio che la nascita di internet ha fatto emergere una serie di problemi nuovi o che comunque non erano mai stati affrontati nella maniera in cui si pongono oggi. Il diritto alla connessione, ad esempio, potrebbe anche essere considerato uno sviluppo della tradizionale idea del servizio universale già affrontato per il telefono, ma è evidente che nel momento in cui Internet diventa il grande spazio pubblico planetario, è necessario riconoscere anche alla rete lo stesso status di servizio universale, se non qualche cosa di più.
Internet, inoltre, è un luogo di produzione e conservazione di conoscenze ed ecco subito un secondo diritto da individuare in maniera non equivocabile: il diritto di conoscere e di produrre conoscenza. In realtà già nella Dichiarazione delle Nazioni Unite si dice che "ciascuno ha il diritto di riceve e diffondere informazioni ed idee", ma questo va ribadito e contestualizzato nel momento in cui si pongono alcune questioni di importanza fondamentale, come la disciplina dell’identità digitale e, parallelamente, dell’anonimato, che, ad esempio, è l’unica garanzia per chi parla o scrive contro un regime e, soprattutto, per i familiari rimasti nel Paese di origine.
Un ulteriore diritto che assume delle caratteristiche di novità è quello della conoscenza come bene comune che si esplicita nell’interrogativo se, e fino a che punto, la conoscenza presente in rete debba essere sottoposta alle tradizionali regole del mercato legate agli istituti tradizionali del brevetto e del copyright.
Abbiamo, infine, lo sviluppo della protezione dei dati personali, diritto tipico di quest’epoca.
In questo senso il merito di aver spostato il Dibattito sulla Governance di Internet da una questione tecnologica ad una di diritto è, indubbiamente, dell’Italia.
Ma il tentativo può dirsi riuscito?
Certamente l’Italia ha dei meriti in questo "spostamento", ma questa impostazione, a mio giudizio, corrisponde a quelle che oggi sono le esigenze ed i problemi reali che sono sentiti a livello internazionale. Giusto per citarle due veloci, la prossima settimana si terranno due incontri uno a Ginevra l’altro a Bruxelless a cui sono invitato a tenere una relazione proprio su questo tema. Nel primo verrà presentato il lavoro delle Nazioni Unite per la stesura di un rapporto annuale sul ruolo dell’ICT nei Parlamenti, con un’ottica completamente diversa dal passato: il centro del rapporto non sarà più, come avveniva in passato, il ruolo dell’ICT nell’attività parlamentare, bensì l’utilizzo che si può fare dell’ICT per garantire una serie di libertà e di diritti. Nel secondo incontro, invece si parlerà di "Reinventing data protection".
Come vede c’è una tendenza generale a compiere quello "spostamento" cui accennava lei, tendenza che dovrebbe essere in condizioni di emergere proprio a Rio. Il passo ulteriore sarà, poi, quello di chiedere che il tema della Internet Bill of Rights divenga uno degli assi portanti dell’Internet Governance Forum di Nuova Delhi (2008) con una o addirittura più sessione trasversali dedicate.