La complicata conversione in legge del Decreto Semplificazioni
Quali sono le modifiche più significative apportate dal cosiddetto “Decreto Semplificazioni” alla materia dei contratti pubblici? Ma soprattutto, rispondono davvero all’obiettivo di “semplificare” che avrebbe dovuto animare l’intervento normativo d’urgenza? Ecco alcuni esempi emblematici che sembrerebbero andare nella direzione opposta…
17 Settembre 2020
Paola Conio
Avvocato, Senior Partner Studio Legale Leone
Come ampiamente prevedibile, per rispettare il termine di 60 giorni per la conversione in legge del decreto n. 76/2020, la Camera dei Deputati ha approvato il testo definitivo così come licenziato dal Senato dopo l’apposizione della fiducia.
Le modifiche apportate in sede di conversione sono tante – troppe, come lo stesso Presidente della Repubblica ha osservato, rimarcando la presenza di disposizioni che risultano del tutto estranee alle iniziali finalità del decreto, come ad esempio le modifiche al Codice della Strada – ma, soprattutto, alcune di esse appaiono difficilmente conciliabili con gli intenti semplificatori che avrebbero dovuto animare l’intervento normativo d’urgenza.
Non è questa la sede per affrontare un’approfondita disamina di tutte le norme incise dalla legge di conversione e, quindi, ci si limiterà a riferire delle modifiche più significative apportate alla materia dei contratti pubblici, con un focus su alcuni esempi emblematici di come disposizioni aventi il dichiarato fine di “semplificare” il quadro normativo esistente abbiano l’effetto pratico di complicarlo e mettendo in luce alcune delle schizofrenie che sembrano caratterizzare ormai da tempo i provvedimenti che regolamentano il settore, i quali da un lato ampliano e dall’altro restringono, da una parte complicano, dall’altra semplificano, con un modus operandi che rende estremamente difficile cogliere una linea strategica e un disegno organico di riforma.
La conversione in legge e la disciplina degli appalti sotto soglia
Con una norma molto discussa, il decreto semplificazioni aveva innalzato – seppure in via temporanea sino al 31 luglio 2021 e, dunque, senza un intervento strutturale di modifica dell’art. 36 del Codice dei Contratti pubblici – la soglia dell’affidamento diretto di lavori, servizi e forniture sino a concorrenza di 150 mila euro e comunque entro la soglia di rilevanza europea. Si rammenta, difatti, che per talune tipologie di stazioni appaltanti (ad es. le Autorità governative centrali) la soglia di rilevanza europea è più bassa di 150 mila euro e, quindi, non sarebbe stato comunque possibile per questi soggetti applicare la semplificazione introdotta dal decreto in questione ad appalti sopra soglia.
La rilevanza di tale importo, soprattutto se rapportato alla soglia “ordinaria” applicabile, per il biennio 2020-2021, agli appalti di servizi e forniture (ovvero 214 mila euro) aveva sollevato molte perplessità, a causa della conseguente sostanziale sottrazione al confronto competitivo della quasi totalità degli affidamenti in questione.
La legge di conversione, quindi, ha ridimensionato l’importo massimo dell’affidamento diretto per i servizi e per le forniture portandolo a 75 mila euro ma, di contro, ha esteso di ulteriori sei mesi il limite di applicazione temporale della disposizione, prorogando il regime provvisorio fino al 31 dicembre 2021, con un esempio di quella schizofrenia di restrizione/ampliamento di cui si è già fatto cenno.
Al di sopra dei limiti di affidamento diretto – 75 mila euro per servizi e forniture e 150 mila euro per lavori – la legge di conversione conferma il ricorso alla procedura negoziata “di cui all’art. 63”, ribadendo il riferimento già reintrodotto nell’art. 36 dallo sblocca cantieri ed in precedenza eliminato dal decreto correttivo n. 56/2017 per l’obiettiva ambiguità. Incomprensibilmente, tuttavia, la legge di conversione introduce anche l’obbligo che la “procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando” (essendo questa la procedura descritta all’art. 63 citato) sia invece sempre preceduta dalla pubblicazione di un avviso di indizione. Si tratta, evidentemente, di una complicazione che, peraltro, se astrattamente giustificabile ove la stazione appaltante intenda procedere a individuare gli operatori economici da invitare attraverso una “indagine di mercato”, risulta del tutto inutile se, viceversa, l’amministrazione procedente attinga (come espressamente consentito anche dalla stessa legge di conversione) ad elenchi di operatori economici già esistenti. Anche in questo caso si nota, quindi, un atteggiamento schizofrenico del legislatore: da un lato si semplifica, dall’altro si complica.
Analoga schizofrenia caratterizza la previsione della eliminazione totale dell’obbligo, per gli affidamenti diretti contenuti entro il limite dei 40.000 euro, dell’avviso di avvenuta aggiudicazione, che determina la completa uscita dai radar di questa non infrequente tipologia di affidamenti. Se dunque, da un lato, il legislatore della conversione si preoccupa di ridurre l’ambito dell’”area grigia” degli affidamenti diretti, dall’altro ne favorisce in parte il totale occultamento.
Con la legge di conversione viene anche – in questo caso opportunamente – chiarito che l’affidamento dei servizi ad alta intensità di manodopera, di quelli di progettazione e più in generale di natura tecnica e intellettuale, nonché delle forniture e dei servizi di carattere innovativo debba avvenire nel rispetto della disposizione di cui al comma 3 dell’art. 95 del codice, ovvero obbligatoriamente con il ricorso al criterio del rapporto qualità/prezzo, sempre che l’importo di affidamento sia pari o superiore a 40.000 euro.
Nel quadro della dichiarata semplificazione viene, di contro, introdotto con l’art. 8 comma 5 l’obbligo – anziché la mera facoltà – di inserimento delle clausole sociali di cui all’art. 50 del Codice anche agli appalti sottosoglia, di qualsiasi importo.
La conversione in legge e il sopra soglia
La legge di conversione perde l’occasione di chiarire i dubbi sollevati dalla formulazione dell’art. 2 del decreto ed aggiunge allo stesso alcune ulteriori complicazioni.
Emblematica in questo senso appare la modifica apportata al comma terzo dell’art. 2 del D.L. 76/2020. La norma in questione era, di fatto, del tutto inutile ai fini pratici in quanto si limitava a ribadire quanto già previsto dalla normativa vigente (nonché dalle linee di indirizzo fornite dalla Commissione Europea), ovvero la possibilità di ricorrere alla procedura negoziata senza bando di cui all’art. 63 del Codice per i settori ordinari e art. 125 per i settori speciali nella misura strettamente necessaria quando, per ragioni di estrema urgenza derivanti dagli effetti negativi della crisi causata dalla pandemia COVID-19 o dal periodo di sospensione delle attività determinato dalle misure di contenimento adottate per fronteggiare la crisi, non sia possibile il rispetto dei termini ordinari. Non vi era, in questa disposizione, alcun tipo di semplificazione o di novità sostanziale rispetto al quadro normativo scaturente direttamente dalle direttive del 2014 e dal successivo provvedimento di recepimento. Al più si poteva ritenere che, con la disposizione in commento, si volesse richiamare l’attenzione delle stazioni appaltanti sulla legittimità dell’utilizzo della procedura negoziata senza bando ove ne ricorressero – come nella situazione contingente e nelle ipotesi descritte – i relativi presupposti.
Sorprendentemente, tuttavia, la legge di conversione ha ritenuto di aggiungere un obbligo di preventiva pubblicazione di un avviso di indizione della gara, che non esiste né nelle direttive europee né nel Codice e che, evidentemente, è divergente rispetto alla natura stessa della procedura negoziata, appunto, senza bando. Inoltre, la legge di conversione inserisce anche l’obbligo del rispetto del principio di rotazione. Quindi, in sostanza, se la disposizione di cui all’art. 2 comma 3 del decreto semplificazioni non ci fosse stata, le stazioni appaltanti avrebbero potuto comunque applicare la procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando di cui all’art. 63 (o art. 115 per i settori speciali) in tutti i casi in cui vi fossero ragioni di estrema urgenza anche legate alla pandemia, mentre, all’indomani del decreto semplificazioni come convertito in legge lo potranno fare solo previa pubblicazione di un avviso e con applicazione del principio di rotazione, quindi sostanzialmente con maggiori vincoli di quelli previsti in precedenza.
Nessuna modifica chiarificatrice, infine, è stata introdotta relativamente al quarto – e più problematico – comma dell’art. 2, che prevede una deroga generalizzata di “ogni disposizione di legge diversa da quella penale” per gli appalti legati all’emergenza Covid, “nonché nei settori dell’edilizia scolastica, universitaria, sanitaria e carceraria, delle infrastrutture per la sicurezza pubblica, dei trasporti e delle infrastrutture stradali, ferroviarie, portuali, aeroportuali, lacuali e idriche, ivi compresi gli interventi inseriti nei contratti di programma ANAS-Mit 2016-2020 e RFI-Mit 2017 – 2021 e relativi aggiornamenti, nonché gli interventi funzionali alla realizzazione della transizione energetica, e per i contratti relativi o collegati ad essi”, cui la legge di conversione aggiunge anche la riqualificazione degli edifici pubblici sedi di attività istituzionali, estendendo anche in questo caso sino al 31 dicembre 2021 il periodo di applicazione. Lo stesso comma, per i predetti appalti, fa altresì salvo il rispetto delle disposizioni del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché “dei vincoli inderogabili derivanti dall’appartenenza all’Unione europea, ivi inclusi quelli derivanti dalle direttive 2014/24/UE e 2014/25/UE, dei principi di cui agli articoli 30, 34 e 42 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 e delle disposizioni in materia di subappalto”.
Non è quindi molto chiara la portata della deroga, sotto due diversi profili. Da un lato, sarà comunque il RUP a dover interpretare quali siano “i vincoli inderogabili” ai quali è soggetto, vincoli che saranno presumibilmente diversi per i settori ordinari e per quelli speciali. In particolare, per i settori speciali, sembrerebbe dal richiamo alle diposizioni della direttiva 2014/25/UE, che mentre le norme a recepimento obbligatorio indicate nella citata direttiva debbano essere rispettate, le disposizioni del Codice che hanno inasprito i vincoli posti per tali settori operando una sostanziale equiparazione degli stessi a quelli ordinari possano essere senz’altro disattese, così come una totale libertà – salvo il rispetto dei principi fondamentali del Trattato – sembra esservi per quanto attiene agli affidamenti sotto soglia (non disciplinati a livello europeo) e alla fase esecutiva del contratto, salvo per quanto concerne il subappalto e le modifiche contrattuali (queste ultime espressamente disciplinate dalla direttiva richiamata). Per i settori ordinari, invece, dovrebbero essere applicate le norme a recepimento obbligatorio della Direttiva 2014/24/UE. Tutto ciò sempre che si interpreti come “vincolo inderogabile derivante dall’appartenenza all’Unione europea” l’applicazione delle norme a recepimento obbligatorio delle predette direttive. Considerando che il mancato o inesatto recepimento delle predette disposizioni espone lo Stato membro alla procedura di infrazione, dovrebbe concludersi che si tratti in effetti di vincoli inderogabili.
Ulteriore problema sull’ampiezza della deroga si pone per le altre norme contenute in articoli diversi dello stesso decreto semplificazioni. Stando al tenore letterale della disposizione in commento – che secondo le regole dell’ermeneutica dovrebbe comunque costituire il primo e principale riferimento dell’interprete – sembrerebbe doversi concludere che neppure le norme contenute nel medesimo D.L. 76/2020, disciplinanti a vario titolo l’affidamento e/o l’esecuzione dei contratti pubblici, trovino applicazione nei casi previsti dall’art. 2 comma 4 citato.
Se, da un lato, potrebbe apparire incoerente dal punto di vista sistematico ritenere che, proprio per quegli appalti evidentemente ritenuti maggiormente strategici al fine di traghettare il Paese al di fuori della crisi economica che è conseguita a quella sanitaria, non trovino applicazione le disposizioni adottate nel decreto in quanto (nella mente degli estensori) “semplificatorie” e “acceleratorie” degli appalti pubblici, dall’altro è a questa conclusione che sembra condurre la lettura testuale dell’art. 2 comma 4.
Ciò premesso, tuttavia, non è scontato, anche ove si abbracci l’ipotesi dell’interpretazione letterale, se le disposizioni del Decreto semplificazioni che, ad esempio, dettano norme relative alla costituzione del Collegio tecnico siano da considerare disposizioni in senso stretto pertinenti alla “esecuzione” dei lavori e, quindi, come tali derogate, oppure piuttosto debbano ritenersi disposizioni di carattere organizzativo o latu sensu di prevenzione del contenzioso e, quindi, non derogabili.
Altre disposizioni sui contratti pubblici, in particolare le verifiche antimafia
Oltre le disposizioni sopra richiamate, ve ne sono molte altre che meriterebbero una trattazione ampia che, per ragioni di spazio, non può essere fatta in questa sede. Se ne citeranno, quindi, solo alcune senza alcuna pretesa di esaustività
Come si ricorderà, il decreto semplificazioni ha previsto l’applicazione transitoria – fino al 31 dicembre 2021, secondo la legge di conversione – di disposizioni semplificatorie in materia di verifiche antimafia, tra cui “il rilascio” di una liberatoria provvisoria che consente di stipulare subito il contratto, salvo verifiche ulteriori. Senonché la formulazione letterale della disposizione induce alcuni dubbi sulle modalità pratiche con le quali le stazioni appaltanti possono procedere.
Innanzitutto, la norma fa riferimento alla “informativa liberatoria provvisoria” anziché alla “comunicazione e/o informativa” o meglio ancora “documentazione” che comprende sia la comunicazione che l’informativa, secondo la terminologia del Codice antimafia. Il che potrebbe far sorgere il dubbio che la semplificazione sia limitata alla sola “informativa antimafia” e non anche alla “comunicazione antimafia”. Se così fosse, tuttavia, si produrrebbe una paradossale inversione del rapporto tra importanza dell’affidamento e rigorosità dell’accertamento antimafia che non sembrerebbe trovare alcuna logica giustificazione.
Inoltre, la disposizione fa espressamente riferimento al “rilascio” della liberatoria provvisoria, che autorizza alla sottoscrizione del contratto. Il termine “rilascio” – che è lo stesso utilizzato dal Codice antimafia – sembra comunque fare riferimento ad un documento di cui la stazione appaltante è destinataria. Diversamente, si sarebbe potuto semplicemente prevedere che le stazioni appaltanti fossero autorizzate alla stipula dei contratti sotto condizione risolutiva non appena espletata la consultazione della banca dati nazionale antimafia e senza attendere il rilascio di nessun documento. Si osserva anche che il comma 2 dell’art. 3 fa riferimento alla consultazione delle ulteriori banche dati di cui al comma 3, il quale a sua volta menziona l’interrogazione “di tutte le altre banche dati disponibili” senza chiarire né di quali banche dati si tratti né disponibili per chi. Perplesse sono anche le considerazioni dell’ANAC sul D.L. 76/2020, laddove l’Autorità, sul punto specifico, afferma: “Con riferimento alle semplificazioni introdotte in merito alle verifiche antimafia l’Autorità valuta con interesse la scelta del legislatore di prevedere una clausola di salvaguardia che consente di effettuare gli accertamenti non solo mediante consultazione della banca dati nazionale unica della documentazione antimafia ma anche mediante acquisizione delle informazioni presenti sulle ulteriori banche dati disponibili. Tuttavia la norma non chiarisce le modalità di acquisizione di tali informazioni. Peraltro, l’Autorità segnala che l’informativa liberatoria provvisoria non è acquisibile attraverso AVCPass e non sono disponibili servizi di interoperabilità che ne consentano l’acquisizione automatica da parte delle stazioni appaltanti attraverso AVCPass. Si suggerisce, al fine di garantire l’effettività e la tempestività dei controlli, di rivedere l’attuale formulazione” (vedasi “Esame e commento degli articoli del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76 «Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale» in tema di contratti pubblici, trasparenza e anticorruzione”). In concreto, quindi, non è semplice comprendere come le stazioni appaltanti debbano procedere.
Paola Conio approfondirà il tema del decreto semplificazioni e, in particolare, degli affidamenti sotto-soglia nel corso di tre incontri online, organizzati da FPA Digital School. Una formula interattiva, che prevede sessioni di Q&A con la docente. Per informazioni e richiesta di iscrizione scrivere a fpadigitalschool@fpanet.it