La PA crea valore, se non è digitale

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Il digitale è e deve essere considerato uno strumento a disposizione di una PA rinnovata, che prenda atto semplicemente della necessità del suo cambiamento. Altrimenti il digitale diventa un alibi

13 Maggio 2019

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Andrea Lisi

Ufficio di Presidenza Anorc Professioni

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Sembra una provocazione questo titolo, ma se pensiamo davvero che possa crearsi valore nella nostra complicatissima PA semplicemente attraverso il digitale abbiamo perso in partenza. E continueremo ad avere tantissimi siti web istituzionali non visitati, applicativi inutili e open data distribuiti, ma non fruibili e non utilizzati dai cittadini.

Il digitale è e deve essere considerato uno strumento a disposizione di una PA rinnovata, che prenda atto semplicemente della necessità del suo cambiamento, proiettandosi su nuovi binari, governandoli e possedendoli nei suoi obiettivi, che devono rimanere quelli di servire il cittadino in modo trasparente. Altrimenti il digitale rischia di diventare un alibi per continuare a posticipare quel cambiamento che attendiamo da anni. E infatti contro i malanni del sistema amministrativo sono più di 150 anni che si cerca di rispondere con un’iniezione massiccia di efficientismo, non sembrando essere possibili altre soluzioni[1].

In verità, per innovare la realtà pubblica occorre puntare su una profonda e trasparente semplificazione dell’agere amministrativo e solo allora gli strumenti IT potranno diventare utili per modificare profondamente qualcosa e garantire efficienza.

Le parole d’ordine dell’innovazione digitale le conosciamo da tempo: trasparenza, interoperabilità, usabilità, riuso, protezione dei dati personali, open data, procedimenti amministrativi informatici (…) così come conosciamo da tempo gli strumenti che dovrebbero garantirli come SPID, PEC, firme elettroniche, siti web (…). E’ dal lontano 2005 che tutto questo è previsto (e inattuato): il Codice dell’amministrazione digitale, pur rimaneggiato di anno in anno, è rimasto pressoché un indice di strumenti e desideri irrealizzati, aggrovigliati in regole tecniche su cui si continua a lavorare di anno in anno.

In realtà, è sbagliato proprio il presupposto. Non ci può essere un “Codice dell’amministrazione digitale”, senza che ci sia invece una pubblica amministrazione efficace, trasparente, semplificata ed efficiente al servizio di cittadini, imprese e professionisti, la quale si serve con attenzione e consapevolezza di strumenti innovativi per garantire i diritti di questi ultimi. Al centro del nostro ordinamento non dovrebbe essere quindi un Codice – monolite, ormai tristemente eroso ed esilarante nella sua inattuabilità, ma i diritti di cittadini, imprese e professionisti nel rapporto con le PA in un contesto digitale e dinamico. Se non cambiamo prospettiva, a partire dai presupposti che dovrebbero servire per cavalcare il (necessario) cambiamento, non andremo da nessuna parte.

Quindi occorre partire dall’eliminare dal nostro ordinamento un Codice “dell’amministrazione digitale” ripetitivo, sterile e ampolloso e che soprattutto non serve allo scopo e invece disegnare una Carta fondamentale “dei diritti di cittadini, imprese e professionisti”, generale, astratta, agile e adatta a un contesto digitale. Ovvio che per rendere operativi tali diritti occorre conoscerli e renderli attuabili, anche in modo coercitivo. La parola d’ordine deve essere consapevolezza. E la consapevolezza si regge su pilastri culturali.

I cittadini, le imprese, i professionisti devono essere alfabetizzati sui loro diritti e sul modo di poterli praticare. I dipendenti delle PA vanno resi edotti di questi diritti e delle basi normative, tecnologiche e organizzative di una PA in dimensione digitale. I team più verticalizzati e multidisciplinari che dovranno trainare questa trasformazione devono essere già da ora formati a dovere, attraverso percorsi specifici, utili a costruire le competenze necessarie (giuridiche, archivistiche, informatiche, manageriali) per sostenere il cambiamento e portarlo avanti. Non ci sono scorciatoie e servono anche i fondi giusti per farlo. Il cambiamento costa.

Del resto, e per fare un esempio, si continua parlare di riuso e di open source. Strada che può essere corretta e opportuna per una PA che voglia muoversi su binari digitali. Ma per poter comprendere se una soluzione sia utile a noi, riconoscerla, rapportarsi con un fornitore, selezionarlo, spiegare cosa vogliamo, analizzare comparativamente più alternative praticabili, indicare la strada più corretta per proteggere i propri dati, indicare dei livelli di servizio (e così via) occorre conoscere i presupposti di una PA e indirizzarli in un contesto digitale che si conosca nelle sue sfaccettature. Quindi occorre conoscenza profonda.

Il cambiamento pretende consapevolezza. La consapevolezza si acquisisce con la conoscenza. La conoscenza ha le sue radici in percorsi di formazione specifici di natura multidisciplinare. I semi del cambiamento, se lo vogliamo davvero, vanno quindi ripiantati del tutto e lasciati, con pazienza, germogliare, dosando bene le cure necessarie. Occorre capire se abbiamo voglia di farlo, con le giuste risorse.

Occorre preparare il terreno adeguato… e non è (solo) digitale.

LEGGI IL DOSSIER

“La PA crea valore se…”: tutti i contributi

Contributi, riflessioni e spunti per rispondere alla domanda: “Quali sono le iniziative prioritarie perché l’amministrazione pubblica possa creare 'valore pubblico' in una prospettiva di sviluppo equo e sostenibile?”. I risultati di questo processo di ascolto, arricchiti dai contributi che sono stati raccolti durante FORUM PA 2019, saranno raccolti in un white paper finale da sottoporre poi a consultazione pubblica

18 Ottobre 2024


[1] Proposte per un lavoro pubblico non burocratico di Umberto Buratti, 2013 ADAPT University Press – Pubblicazione on line della Collana ADAPT.

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