La rivoluzione dei pagamenti elettronici che stiamo aspettando
22 Settembre 2015
Tommaso Del Lungo
Il passaggio definitivo
il pagamenti elettronici è uno snodo cruciale del percorso di innovazione della
PA, sia dal punto di vista della domanda (cittadine e pa) che dal punto di
vista dell’offerta (impresa e banche) e non sono tollerabili ulteriori ritardi
come quelli concessi dalla recente proroga di 12 mesi annunciata dall’ AgID – Agenzia per l’Italia
Digitale e dal Dipartimento della Funzione Pubblica per offrire servizi di
pagamento.
Ciò vale tanto per le
cifre in gioco – basti pensare che le entrate da imposte da parte dei cittadini
ed imprese si aggirano attorno ai 60 miliardi l’anno di cui l’80% circa viene
incassato da Regioni ed Enti Locali – quanto a livello di strategia.
Il pagamento elettronico è, infatti, un tassello irrinunciabile della catena che lega cittadini e imprese da una parte e uffici pubblici dall’altra, senza il quale non si potrà mai parlare veramente di abbandono della carta (il famoso switchoff dell’analogico), né tanto meno di digitalizzazione completa del ciclo PA-fornitore attorno a cui si gioca la delicata partita delicata della semplificazione, trasparenza, monitoraggio e controllo della spesa e programmazione economico-finanziaria.
In questo contesto i pagamenti alla pubblica amministrazione rappresentano solo una parte del mercato molto più vasto dei pagamenti digitali, ma vale la pena soffermarsi proprio su questi e dedicargli un’attenzione particolare per due di motivi.
Il primo è che la direttiva
Pagamenti dell’UE (Payment Services Directive) che entrerà in
vigore gradualmente nei prossimi anni dedica una linea di azione proprio a
questo settore, come leva per la diffusione di sistemi di pagamento on line che
aprano la strada all’e-commerce e alla creazione del Mercato Unico Europeo.
Il secondo è che
l’interlocuzione con la pubblica amministrazione è uno degli elementi centrali
per la costruzione di cultura e fiducia nel digitale in grado di far cambiare
passo all’intero Paese.
Proviamo allora a vedere a che punto siamo di un percorso che sarebbe dovuto iniziare più o meno 10 anni fa quando l’Italia si dotò di uno delle norme più all’avanguardia in materia di digitalizzazione: Il Codice della PA digitale che obbligava tutti i soggetti pubblici ad accettare i pagamenti anche “con l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione”.
Già nel 2005 – quindi – le amministrazioni erano state chiamate al vincolo delle tecnologie digitali per pagamenti, ma la norma non fonriva indicazioni chiare sugli strumenti da utilizzare. Nel 2010 un primo aggiornamento introdusse una serie di specifiche sugli strumenti operativi e consentì di avvalersi degli operatori privati, aprendo di fatto un nuovo mercato dei servizi. L’apertura al mercato creò, però, anche problemi di compatibilità e standard ed ecco che nel 2012 vide la luce il Nodo dei Pagamenti-SPC, ovvero la piattaforma tecnologica su cui poggia l’intero sistema assicurando l’interoperabilità tra pubbliche amministrazioni e Prestatori di Servizi di Pagamento (PSP). Le regole e gli standard per l’effettuazione dei pagamenti sono definite nelle apposite Linee guida.
Sempre nel 2012 il Decreto Crescita 2.0 (n° 79/2012) ha previsto l’obbligo di adesione al sistema per tutte le PA centrali e locali entro il 31 dicembre 2015 (mentre come già detto l’attivazioen dei servizi slitta al 31 dicembre 2016). Ad oggi, però, hanno aderito solo 284 enti pubblici e 30 PSP per un totale di oltre 30mila transazioni nei primi sei mesi del 2015.
Numeri decisamente scarsi, soprattutto se si considera che 268 dei 284 enti che hanno aderito al sistema sono ancora in fase di sperimentazione. Inoltre, fatta eccezione per la Basilicata, nessuna Regione e o ente territoriale del Mezzogiorno ha aderito al Nodo. Insomma siamo ben lontani dal traguardo finale delle 70.000 amministrazioni pubbliche connesse.
Governo e AgID non sembrano, però, scoraggiati e pensano di affrontare le prossime scadenze ricorrendo all’integrazione tra la piattaforma di pagamento e gli altri strumenti che andranno a comporre i servizi di identità digitale del cittadino primo fra tutti Italia Login che permetterebbe di unire un sistema “end to end” di pagamento ad uno di notifica scadenze.
La sfida principale, quindi si giocherà sulla cultura digitale e sulla creazione di un rapporto di fiducia con gli utenti finali: i cittadini e le pa. Sono proprio questi due, in effetti, gli anelli deboli del sistema: ad oggi meno del 36% dei cittadini ha accesso al proprio contro corrente tramite servizi on line (contro l’86% delle imprese) e la percentuale scende ancora sul lato PA dove meno del 20% delle amministrazioni dichiara di aver avviato processi di innovazione nella gestione dei pagamenti (dati Osservatori Digital Innovation Politecnico di Milano).
Siamo di fronte ad una rivoluzione antropologica: le norme, la strategia nazionale e gli strumenti tecnici come il Nodo di interscambio sono la strada su cui camminare per attuare la rivoluzione, ma dobbiamo lavorare sui “rivoluzionari”: gli amministratori pubblici, chiamati a risolvere problemi complessi in un settore delicato come quello della riscossione e contemporaneamente schiacciati dall’impossibilità di nuovi investimenti; e i cittadini a cui viene chiesto uno sforzo di fiducia notevole per modificare le proprie abitudini riguardo i propri soldi, rispetto ai quali sono stati maggiormente abituati a “prendere fregature” dal pubblico, piuttosto che trarre vantaggio.
Benvenga quindi PagoPA, il marchio registrato dall’AgID per comunicare e diffondere consapevolezza sui vantaggi dei pagamenti elettronici e benvengano gli accordi internazionali come quello con il circuito europeo MyBank: se i cittadini non aumenteranno la domanda, difficilmente il sistema decollerà e questo non ce lo possiamo permettere. Come ha detto Maria Pia Giovannini, responsabile dell’Area PA di AgID in una recente intervista “Identità e pagamenti digitali sono il pilastro dell’ammodernamento della PA”.