L’ignoranza non è una virtù… Neanche per i legislatori!
Ho detto più volte, anche negli ultimi editoriali, che da questa crisi non si esce né con la rottamazione di mobili, automobili e frigoriferi né con una politica per l’edilizia di cui temo dovranno pagare le conseguenze le prossime generazioni. La chiave è sì l’infrastruttura, ma quella intelligente della rete in cui siamo drammaticamente tra gli ultimi in Europa per disponibilità e per uso.
11 Marzo 2009
Carlo Mochi Sismondi
Ho detto più volte, anche negli ultimi editoriali, che da questa crisi non si esce né con la rottamazione di mobili, automobili e frigoriferi né con una politica per l’edilizia di cui temo dovranno pagare le conseguenze le prossime generazioni. La chiave è sì l’infrastruttura, ma quella intelligente della rete in cui siamo drammaticamente tra gli ultimi in Europa per disponibilità e per uso. Leggo, quindi, sospeso tra rabbia, sospetto e sconcerto le ultime proposte di legge che provano maldestramente a regolamentare Internet e che entrano, con pressappochismo peloso, su temi delicati con l’eleganza del classico elefante nella cristalleria.
Visto che a volte non sono riuscito ad essere chiaro, magari per l’uso di qualche artificio retorico (vedi il mio ultimo editoriale e i suoi commenti), oggi voglio dirlo senza metafore: considero la proposta di legge dell’On.le Carlucci sul divieto di anonimato in Internet, quella attribuita all’On.le Barbareschi sull’antipirateria e l’emendamento D’Alia sulle responsabilità dei provider di Internet (se non le conoscete le trovate tutte in un nostro articolo di qualche settimana fa) come delle iatture pericolose che denotano un oscurantismo e un’ignoranza non ammissibile dei meccanismi della rete e del suo stesso spirito, che nasce e cresce insofferente di ogni barriera. (per capirne di più vi consiglio un paio di articoli: quello di Alessandro Longo su Repubblica.it e quello di Arturo Di Corinto su Wired e un blog, quello dell’Avv. Scorza, grande esperto di Internet e dei suoi diritti).
Perché dico che questa ignoranza è anche un po’ sospetta: perché dietro ci leggo con chiarezza le manovre dei grandi broadcaster per stringere ancor più la morsa rispetto alla tutela dei diritti d’autore e, quindi, rispetto alla libera circolazione della conoscenza in rete. Su questo personalmente non ho mezze misure: se è vero che il rischio pirateria è reale, un controllo poliziesco delle informazioni che passano in rete è pernicioso non solo per la libertà degli utenti, ma anche per la stessa economia. O cambiamo paradigma e entriamo nell’economia che vede nella riproducibilità e nella non-scarsezza i suoi presupposti, o rischiamo semplicemente di restarne fuori. Cosa che per altro, almeno in parte, sta succedendo.
Altrettanto trovo fortemente negativa la proroga per tutto il 2009 del cosiddetto “decreto Pisanu” (dal nome dell’allora Ministro dell’Interno). Il decreto impone varie cose. Chi offre accesso a internet in un pubblico esercizio o in un circolo privato è tenuto a registrarsi presso la Questura. Deve inoltre tenere un registro dei dati dei propri clienti o soci che si connettono a internet. C’è l’obbligo a un’identificazione certa degli utenti della propria rete (tramite carta d’identità o numero di cellulare) e a custodire i dati sul traffico che hanno fatto su internet (il cosiddetto "log"), perché le forze dell’ordine, all’occorrenza, possano consultarlo. Il tutto vale non solo per gli internet point, ma anche per qualsiasi privato che, da un esercizio pubblico o da casa propria, voglia dare accesso a internet a terzi. Non è così che supereremo il pesante gap che ci separa dai nostri competitor europei per la diffusione di Internet, non è così che porteremo intelligenze e imprese a spendersi per il nostro futuro digitale.
Certamente la sicurezza è un valore e la pedo-pornografia un’abiezione – chi potrebbe negarlo? -, ma stiamo attenti a “rimedi” di dubbia efficacia che, per evitare borseggiatori sulla strada, si propongano di impedire a tutti di passeggiare liberamente (tutti, tranne qualche privilegiato, si intende).
Che fare allora contro questa crassa ignoranza dei nostri eletti che, come tutte le vere ignoranze, ha scarsa consapevolezza di sé? Forse si potrebbe scegliere con maggior cura i nostri rappresentanti, ma visto che una sciagurata legge elettorale ce lo impedisce (scanso equivoci l’ignoranza è sommamente bipartisan!), magari proviamo a educarli un po’. Nasce da questa idea un po’ naif di insegnare ai parlamentari la logica e i rudimenti base della rete, il progetto – promosso dall’Istituto per le politiche dell’innovazione – per far conoscere il pianeta Internet a chi fa le leggi. Per saperne di più il sito è www.internetperparlamentari.org: ho accettato di tenere una lezione su Internet per la PA. Vi racconterò come è andata.